Ho imparato l'addio
Ho
imparato l’addio dalla mia culla d’acqua,
l’amnio che
mi nutriva e mi narrava la mia storia
nella lingua
degli uomini.
Innocenza e
sogno era ancora lo sguardo
dentro il
blu della notte,
quando
l’infanzia raccontava di stelle
che
sfilavano via e nell’incanto,
nel mistero
del brillio c’erano tanti si.
Si per la
mia piccola vita di bambina,
si per
quelle notti a cielo aperto sfolgorante,
si
purchè finisse lì, senza domande.
Il sonno mi ha raggiunto
Il
sonno mi ha raggiunta mentre percorrevo
strade di rose, e non so ancora se fosse sogno
o se camminassi in un mondo parallelo
dove tutto è leggero, persino allontanarsi
da se stessi; con un battito di ciglia
salutare ciò che rimane intorno,
ciò che di noi veniva raccontato
e continuava. Adesso il battito cessava
o, forse, s’era assopito per un poco
e non c’era coscienza del distacco
nè dolore (come accade quando qualcuno
se ne va e non c’è nessuno a salutarlo).
Vorrei, quando la pioggia diventasse neve,
e poi la neve fango scuro,
addormentarmi tra le rose.
La bambina kamikaze
Io
volevo essere scoppiettante, scintillante,
una stella a
cinque punte,
essere una
fioritura di luce e gelsomini,
vestirmi di
lucciole e di luna,
andare in
alto come fanno gli aquiloni,
contare fino
a dieci e poi scoppiare
in atomi di
luce, essere io la luce
in un gioco
immaginifico,
un giogo che
mi ha stretto dentro il buio ,
dopo lo
scoppio mi ha trascinato in mezzo ai morti,
nel buio
nella cenere nel nulla.
Io che
volevo essere unica.