La
relazione tra un
buon allievo e un buon insegnante è un sentimento. Non si tratta
di amore. Non è amicizia, e nemmeno simpatia, se non
genericamente. La loro relazione è un’altra cosa: un rapporto di
nuovo padre e
nuovo figlio, per esempio; oppure: è la fusione delle
età, se il dialogo è
felice, come quello di Curtius e Gass.
Quando
la Germania
delira e muore per un uomo chiamato La Guida, Gass scrive: «Sono
così
fermamente convinto che il mio rapporto con Lei come Suo allievo sia
solo agli
inizi. – Mi auguro di cuore di poter avere la Sua guida in una nuova
fase della
vita» (1942). Non è un caso che Dante chiami Virgilio padre,
quando non
lo chiama duca (guida, Führer) e maestro,
e che Virgilio
chiami Dante figlio, e anche dolce figlio. La Comedìa
parla
chiaramente, ad esempio in Inf., VII 115 («Lo buon maestro
disse:
“Figlio, or vedi”…»): sapere tutta quanta la tragedìa
di
Enea è la base della relazione con il nuovo padre, alternativo a
quello
carnale; e in realtà – dal punto di vista poetico, cioè
della grandezza – Dante
non può avere altri padri. Per questo il duca è Virgilio,
e per questo il
guidato – il figlio – è Dante.
Una cosa
è certa,
fin dall’inizio: Gass non è un genio mondiale, ma solo un ottimo
allievo, e un
uomo sensibile; il genio mondiale è Curtius. Ma nella loro relazione
–
vista come può apparire settanta anni dopo e in un’altra lingua
– si mostra ciò
che non conosciamo più: l’informazione perfetta («Devo
essere nello stesso
tempo dappertutto, leggere Sant’Agostino accanto agli Inni Orfici,
Rosenroman
e così via»: Curtius, 1943), il
sentimento perfetto («Il dialogo si eleva a
un altro livello se si ha qualcosa in comune che si ama»: Gass,
1934; «La
quiete e la passività del puro accogliere deve essere
l’atteggiamento
fondamentale del critico»: Curtius, 1944), l’idea perfetta – e
delirante, con
lo sguardo del materialista – che la vita sia degna solo in quanto destino,
come sa Nietzsche («Se viene annientata la scienza umanistica
tedesca tutta la
scienza umanistica finisce. Perché solo noi possiamo pensare
davvero in senso
storico. Lo studio della storia, della filologia, della filosofia vive
solo
nella terra di Herder e di Winckelmann»: Curtius, 1944). Gass sa
la stessa
cosa, riscritta sul piano individuale:
«Se l’uomo stenta un’esistenza di massa, il suo lato migliore si
atrofizza
sebbene egli possa ancora fare grandi cose. Ma il suo più nobile
compito resta
quello di sviluppare, nel mutamento della sua esistenza, la sua sfera
vitale a
unica e inconfondibile»: Gass, 1944). E Curtius si spinge a dire
che «nella
storia della letteratura, ciò che conta non sono le correnti, ma
i singoli
individui» (1942): al punto che lo stesso – cosiddetto –
«Dolce Stil Novo è una
croce», una crux filologica, «forse un’invenzione
di Dante» (1943).
Oggi la
serie delle
perfezioni – praticate nel tempo in cui Europa cavalca il toro nero –
esalta un
altro destino: quello che vive più nel futuro che nel presente,
e quindi
pratica una vita activa che ad altri occhi appare come un gran
rifiuto.
Per esempio, oggi, io – non io solo – non voglio oppormi ad un governo
che non
è mio, ma che è irresistibile, e ha già i suoi
poeti, sia a favore sia contro:
tutti suoi, in un caso e nell’altro, perché dominati.
Ognuno avrà
la sua Guida e il suo Padre, e anche la morte che merita, insieme al
destino.
In nessun tempo
«l’essere colpiti» può essere
insegnato. «Questo non lo può nessuno dei
maestri. Ma gli allievi possono purificare le loro
conoscenze-esperienze sulle
esperienze del maestro» (Curtius, 1944). E se il maestro manca,
come oggi? Come
si purificherà l’esperienza? Moltiplicandola, con precisione e
amore, in vista
di un progetto non informe («senza scelta nessuna forma»:
Gass, 1944): non c’è
altra via. Avere solo la vita non basta più e non basta a tutti.
Qui parlo già
da attore, imbestiato nelle imbestiate schegge: sapendo che recitare non è
di questo mondo.