Tre
i viaggiatori. Incontratisi per caso. Come avviene spesso quando i
corpi
di tre anime indipendenti si incrociano per un solo attimo. Si
catturano,
talvolta, per frazioni di tempo non valutabili. E stringono parti e
costruiscono
mondi. Con le regole di un mondo che solo il Mancino conosce da sempre.
E ci sono albe e tramonti e moti di rotazione e rivoluzione. Ed
esplosioni
finali. Così
accadde fra i tre viaggiatori. Ma uno
dei tre aveva un altro futuro ed un'altra galassia. E un giorno riprese
la sua orbita.
Te ne sei
andato
arrabbiato
come al solito, lo sappiamo e lo supponiamo
dolce fino
alla nausea
quando
fingevi di essere il padre
di noi
figli tuoi coetanei solamente.
Sei morto
come succede nei libri
dove contano
i fatti
e le
descrizioni
e tutto
di può raccontare
perché
ci sono le parole
e
l'onnipotenza
dell'alfabeto.
Sei morto
senza una patria
come succede
a quelli della tua specie
che
costruiscono
case e castelli
e capanne
nei territori
sonori
di due
parole ripetute in rima
arrogante
come un gesuita
che segna
il mondo e noma le cose
et le erbe
et i pesci
et le piante
et i frutti
et i mari
et i fiumi
l'inchiostro
nero e rosso
quasi a
separare l'infinito e il provvisorio.
Sei morto
come una parola lasciata a metà
che è
peggio di un pesce senza pinne
nell'infinito
del verbo
che ci
travolge a caso
e a caso
finge regole e futuri
e sensatezze
esauste e buoni sentimenti.
Sei volato
via come una foglia lieve
che noi
crediamo
per l'autunno
volata.
E forse
era la foglia
a farsi
destino e ribellione e volo di distacco
ché
i mondi sono miliardi
e tutti
belli e tutti in disaccordo
nella
sinfonia
che il Mancino dirige
fra la
veglia e il sonno.
Forse tu
fosti la parola senza pinne
che per
magia ci prese
di grande
amore e riverenza
nei pomeriggi
che Partenope ossuta e spigolosa
si dipanava
nella giovinezza nostra.
Forse lo
sei ancora dopo tutto
dolce teppista
ché
ora ti nascondi ad arte, lo sappiamo,
come le
parole che con sacri percorsi cancellavi
per il
gusto di renderle
immortali.