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Da dove
tu sei, in
via Petrarca,
vedi la
stessa
nuvola, mi dici,
nel mio
da Piazza
Dante
scorgerla
e
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il
telefono a
unirci in voci
nel coro
di questo
postmoderno
occidentale.
dici
la nuvola
si
sfiocca in forma
di cavallo
candido
il cielo
sopra Napoli e
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sarebbe
bello se fosse Roma
o
Firenze, mia
Alessia
rosavestita
come le
nuvole di
Ischia della
villeggiatura
duale
delle conchiglie e
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oltre le
cabine
telefoniche incielate
dove
ridesti come
una donna
a inizio
primavera
nel deserto
riseminato
che ora
è il segreto
giardino
e
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non
chiedermi,
Alessia, tra i campi
di grano
profani se
è solo un azzurro
ad
accentuare la
voglia nel fieno
l’incanto
duale e
poi viene la nuvola
in forma
di pesce,
nuvole, nuvolette e
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piove,
Alessia,
amniotica pioggia
sul tuo
grembo per
redenzioni
ad ogni
passo e
resurrezioni e c’è
dio che
cammina in
lontananza e
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invita
alla gioia,
che poi ne sporga
anche
felicità per
quella foglia
d’alloro
sul tuo braccio
che prendo
per un
erbario
nuovo, dopo quello
archiviato
per le
teche e
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dietro
la densità
dell’aria in splendore
del tuo
volto,
Alessia, attimi fantastici
e
spicchi di
melarancia sul tuo amore
di viso
di madonna
barocca
in un
incrocio di
forme, a iridarti
degli
occhi la
bellezza ad estendersi
in quel
bianco
agglutinato e
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allo
sguardo dove
traspare di fiume un greto
e di
scalinata un’altra
nuvola, stavolta
grandiosa
che ci
ingloba in un’unica
messe
che dà pane
in salite fino al cielo e
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vedi,
Alessia,
sgronderà la pioggia e il tuo
di gioia
pianto
bagnerà i miei occhi per seminare
pari a
lente per
della nuvola la forma
mutarla da geranio
in rosa.
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