Ogni
poesia è un pre/testo, un'energia, che si muove
per approssimazioni, per piccole e inavvertite sottrazioni, per
aggiunte di
respiro e di voce; un gioco a somma zero, la cui regola, rigorosamente
binaria
(come quella dell'interruttore), egrave; acceso/spento,
memoria/profezia,
quotidiano/immaginario.
Ed è in questa
prospettiva, in cui un termine sta nell'altro, come l'immagine della
cosa (e
della parola) sta sì nella cosa (e nella parola), ma è
cosa (e parola) essa stessa,
senza perciò necessariamente rinviare alla sua origine, che va
letta, con la
voce, più che con lo sguardo, Poesia.
Non è casuale, quindi,
la dedica a Emilio Villa, a questo artifex maximus di un
Novecento
generoso di poeti stitici e stizzose zitelle in odore di Nobel che non
arrivano
mai.
Essa testimonia la
fedeltà del testo ad una pratica della poesia, in cui è
la durata del respiro
(e dell'immagine) a deciderne, di volta in volta, la direzione e
l'esito,
sempre provvisori, per altro, e del tutto casuali.
O tu che
leggi
mia ipocrita sorella che a me somigli
io di qui null’altro tengo o tutto tengo
per dentro o per mattìa che sale a guaio senza sospetto
qui nel pastragno io solo un po’ alla larga
mi scapola la voce
e dietro ai passi sparla
la notte che fui di sopra e ci ebbi notte
tra supplici ingrati e le zitelle
tra becchi porri e le giulive usanze
e muto sì muto
che il sole non mi impiastri e bruchi il cul
ma tu non fare
che ancora sgraffia il cielo e sbatte a mollo
e grama nell’aria l’aria al saggio
che trova gioia e a chi la perde
con che frugagne o ingonìe ritorte mi morderò la
coda
o mangerò come si canta
se privo di idiozia e senza pinze
si spappola il nuovo e anche l’antico dietro
all’antico
che l’antico tolse
e mise su un gran baldàno per domineddio
che ancora ardisce gridare al tosco
fuggi fuggi mentre fugge
ma io son della tua terra io son campano
e non spero di tornare perché non torno
dove la notte si avvita e si contorce
e son carezze e colpi d’anca e odor di sperma
ma tu lascia qui mutande gregne e sbreffi
riposa adagio nel tuo sonno e poi confessa
che vuoi la luna a piene mani e vuoi un messàle
tu vuoi una pamela di carta e di cobastro
tutto tu vuoi purché sia tutto e già nel mezzo
e io condoni di non aver né qui né là
di non averci più stupidità
ora che pari e patta per ogni dove
sul dritto e sul rovescio io vengo al dunque
e senza credere e anche credendo
che tu credi che credo anch’io
vengo come la pioggia con misura e con sgugni
quando sgreta dalle nubi e dalle gronde
e mi tocca versarla sul tuo volto e battezzarti
col nome di un uccello o di un giullare
e potrei per strigna con trepida dolcezza
convincere anche te a vivere sputando contro vento
perché io non spero dl tornare e già non torno
dove fui più volte e furono molte le cose
che io vidi e non comprendo
ma tutto comprendere non si può
non è giusto non si deve e non convéne
da chi le sue idee le ha scialacquate tutte
divorandole a colazione a pranzo e a cena
quasi uova sbattute a nolo
o anche idee
e così pare che pare a me e a chi so io
che a distanza in loco o per difetto
s’aggromma su se stesso e fa suggello
senza fiatar perché a fiatar la voce manca
i coglionati della malsana scorticata istoria
che mite et losca et imparziale
or dazza e or impéglia quasi a dispetto
come già mi urlò senza più amore
una che d’amore amai e fui disdetto
o nini o che tu fai o non t’avvedi
che la Cina l’è una gran cosa ma pe’ Cinesi
e poi continuando di fuori al foro
i libri li hai letti tutti or qui sei triste
e quindi vengo al quindi
mentre tambura il cuore e il cuore della sera
si rampica sul convento della Lobra e tra i miei
denti
ed è la sera che dolcissima ridonda
nelle curve del bargetto e della tronna
e a manca e a retro e già s’aggrugna e tinta
e salta fuori e ancora lippa
e là per dove
e là per qui che brividi più non abbiamo
se non a computo
null’altro abbiamo o altrove l’abbiamo
noi che dal nudo asilo siam nati ieri
ma siam già fatti vecchi
ma cosa siamo appena uno se la goda o spera
nulla sappiam che siamo
o che ci ho la gola secca che ci ha
chi ce l’ha che non beve
o troppo beve e come la gola
che come la pietra che sono le mani tue e potrei
dirti
se amico mi fosse chi ti è amico
o anche
questo è l’autunno
ma ora basta
sfava la rava e tira a coppa
di ramaglie combricche e lustri a fondo
e su e giù
in fuga in largo e in tondo
finché ti viene gusto
e carezzi piano sì ma piano
per dopo che dopo che dolci gli occhi e le parole
e i pomodori rossissimi dell’agro
sì ma piano
che sfrange il vento e non ritiene
e il lungo e il largo c’è da capire o altro c’è
che ancora scampa e che sospetto d’altro
che altro è dall’altro che è l’altro
che ancora sfalla
e qui m’appunta alla question mia prima
e anche alla nona
ma tutto tu hai
una casa tu hai
padre marito figlio e odor di buono
che come il pane è buono che vien dal forno
e oro e zacchi e ciuffi e treppe e glisse
sul divano e dentro il letto
mentre noi solo tarocchi deteniamo
e libri di rarissima stupidità
per l’ora che verrà che chi ce l’ha ce l’ha
che tracchi il giusto il mite e chi pensa troppo
tracchi la pulzella l’orefice e chi fa di sé
guadagno
perché la mano sfaglia e prende rocca
e musica che mozzica è sovvenirsi
che assai amammo e senza averne onde
noi che ci condanammo tutto fuorché il patire
amore mio dolcissimo
mia bubà mea Betsy mea non credibile come-ti-chiami
che in memoriam o in presenza pur mo’ svaneggi
ma che diamine fai che ci dovevam lasciare
ma non fare
ma no
ma fa tutto o niente
che chi ci ha empietà ci ha onore e urbanità
e sbregna la gerla a quei che non abbocca
sbregna la cosa e il fondo della cosa
la foglia la diossina e la lumaca
perché a rispondere la materia è sorda
e sordo io che nato uomo uomo già fui e ancor lo
sono
ancorché non veda a che mi serva e come
piova o faccia azzurro ogni mattino
e scroscia la sgargìa sui nostri sensi
come la trina il giorno sacro accolta
che sposa fosti e or sei fatta matta
tra santi berberi e gente un po’ cojona
che d’ogni risma d’ogni cupa chiocca
danno a sé rende il bene e il male altrui
e lustra e svanvera e non sa darti sì o darti no
e così sembra che così sia così
e d’ogni finezza noi d’ogni malizia ci facciamo
carico
o troppo tardi perché rapini la vita all’ultima
fermata
o dentro la corteccia che c’è la polpa
che c’è la substantia
che c’è l’animula tremula et vulgivaga che c’è
la notte che io trasumanai perché a doler ne avessi
con cose da fare
e cose
che ad ogni cosa si resta soli
a smoccolar su santi e fanti
mentre tu saluti come quei che ha fretta
per ingenita premura
di recuperare ciò che perde
e già si pente che tarda e ancora più ritarda
tanto il tardare piace
ed il pentérsi d’essere così come si è
dove si è perché si è che si è alla fine
o proprio qui inizia
un altro esperimento un’altra invenzione un altro
mutamento
si è nel pieno del nostro cammino
nel pieno della guerra e della pietà
ed è già gran tempo che sveggiamo
senza conoscere che c’è
di là dal qui e di la dal là e per di dove per di
là
del garbuglio del furore e dei presagi
che presaghi siamo solo di ciò che non accade
e se accade
sì ma lentamente
sì ma a caso
ci strulla e ci sondaglia così che è così
o è solo la quotidiana sbugiardata voglia di un
affetto
a farci sventolare nel nostro cranio
nel cranio della notte
che senza quiete or mareggia e or s’impunta
l’alta nobilissima metafisica notte
che scende sui nostri corpi ignudi
scende sulle poiane le cimase
e i preservativi dell’epoca
la materia lo spirito l’unità e la differenza
sugli sproloqui belli che ieri ci illusero
e ancora sproloquiamo e più non ci illudiamo
sulla bola e sulla folla
che pulla e ripulla per tutto e per nulla
la notte di poeti santi e maghi
che di sandracca e biocca si fa corvina e senza
luna
e fa le vacche nere e le fa magre
fa baldracca e fa pantano
fa mattanza e fa canappa
senza trampolini ionosfera né puntelli
ma io puntello
sì che sul più bello
o sul men bello o sul bello che è sempre il bello
muoia Aldo
perché ha profetato
e due donne da far femmine sono affar serio
muoia del suo serio e del cinismo
che ci vuole a essere cinici e seri
muoia perché è giusto che così muoia
chi d’ogni batticuore nascostamente accaffa
chi se la sbatte e dice sempre
tu vai per le tangenti e già trascuri
il solido spessore delle cose
che dà bando alle tue ciance
e muoia Maria
perché lei mette becco
e due maschi da far uomini non fanno colpa e conto
muoia del suo bisogno e della morte
che ci vuole per chi ne ha bisogno
muoia perché è giusto che così muoia
chi si liscia le gambe e ha il cuore in bocca
chi impara maestà e la fa da parte
chi troppo sa che nulla sa ma dice sempre
siamo tutti uguali anche i diversi
muoiano Carmen Elvira Raffaele Rosa Gennaro e il
cane
chi è maestro di fanfare e rappresaglie
chi ha la gnucca calva e chi coi peli
chi l’io ce l’ha intatto e chi diviso
chi fa vero e chi fa falso
chi la dà che le piace che piaccia a Dio
chi la dà che le piace che piaccio io
chi di morir ha voglia e chi non vòle
chi è veneto di Florenzia o è campano
e anche di Lecce
chi vien d’Apulia di Soria o dalla luna
chi vien di Marte di Venere e chi è di parte
chi fa sì e chi fa no e chi non fa
chi è chionzo e chi è paffuto
chi è mencio e chi è sparuto
chi s’illude per poesia per dogma o per donna
muoiano tutti
perché in molti e in tutti è bello morire
e anche sbagliare
ora che a sbarellare di già son pronto
e più non spero di tornar perché non spero
e a nostro danno penso e discerno che tu sii saggia
ma garba ad un tempo e gaia
e qui mi insegni
con quali azioni invece di canzoni andremo a
zizzole
se ognuno si lissa come se stesso con se stesso
e tutti lissiamo nel mondo come tutti
perché insegnare tu mi devi
come sa di sale l’amore altrui
o come con che sale si ripaghi
se dentro e con quanto zelo lavora il verme il
mollo
né ha discordia che ci ha la musica
che ci ha la vita che la rovina
la scossa e la pispiglia
senza gusto
e viene giù un rutto
e tanto per cambiare la tiritera che
è chiaro che è inutile che è chiaro che aver
sbagliato
non torna a capo al punto o al tutto che è proprio
tutto
e già a buon punto e
a capo
e allora andiamo
che la via lunga è sempre la più lunga
se ad ogni passo fermi il passo
e pensi che altre vie ci sono
che sì smarriti ora che l’età nostra è quasi piena
vie non abbiamo se non questa d’andare
come quei che va e ritien di stare
ora che tocca l’ora della sera
e volge il disio a chi ne è volto
e incrudelisce il core che manco è d’ardore
e di prudenza
perché a nulla resta o forse a tutto
o forse tutto è nulla
e pari quel che vendi e che tu acquisti
pari se tu spacci e se commetti
e pari noi che di troppo sentire siamo già sazi
anche chi mai sentì né volle
che dalla vita non ci ha il talento
non ci ha il gusto e la perdenza
che ci ha chi vuole e sente
e ci ha se non talento almeno il gusto
che poi lo perde
e perde a soprassello anche l’olfatto e il tatto
che son dei nostri sensi quelli più propri
e quelli più
che più non se ne può d’udire
e di vedere e mai toccare
mai aver né rancio o lezzo se non del nostro
che nostro è dubbio se lo sia di iure oppur di
fatto
o se non sia di contro tutto un ghezzo
e nostro è solo il nostro
ovvero un flatus vocis ovver di ventre
o vero è che è vero solo il vero e vero è
che arròsi siamo e con paffuta solennità
a interrogarci
in do’ lo folle tempo sgugna e in do’ finisce
che ragione comincia
o se comincia
che ci comincia la follìa d’averci senno
e il senno che ci ha la casalinga
che pesa sale e pesa pasta e poi si sbizza
per noia terrestre e intelligenza
che lievita al fondo del secolo o dentro l’utero
da cui tutti fummo gittati al tutto
uno per uno
a far la guerra
che si fa chi s’ama
per morte gaudio o carestia comune
ora che a morte io t’amo
ed è stagion de doler tanto
a ciascun omo che di doler talenta
e per chi no non c’è diverso
accidente non c’è che per goder lo può mostrare
che torcia il quotidiano e già soggòla
per strada il dì di festa e dentro al cesso
noi che tristi siamo nell’aria dolce
che da noi s’attosca
e più non abbiam cognitio o recusatio
ma il male sì
quello che è bell’e pronto né costa arra
quello che non fa rischio e fa l’uomo dabbene
quello che è male sì ma di necessitate viene che
viene
quando la vita inzolfa e mo’ grilletta
che poi si grippa e annarca e fa la grisa
come ora che per un po’ di fumo
e un po’ più di solo
s’è matto il cervello e dà di baggio
il baggio della quinta e della nona
il baggio di chi si smangia il vivo e spella
addosso
sì che giunto all’osso
hoc est al fondo
ma al fondo fondissimo e fonduto
al fondo di tutte cose di tutte umane cose
che movono a tornar in do’ son rose
bene non c’è né gioia
che c’è il willie o più semplicemente il macht
che ad uso mio e non di dio traduco verbo
e faccio chiosa
che appena ieri c’era ma or dov’è che più non c’è
e s’è fatto accidente il mondo
e accidenti tu che io chiamo amore
ma amor non hai
che ti falla col verbo anche il valore
e non ci hai vertute e canoscenza che son le
qualità
che fanno d’ogni animal
uno che viene sempre tardi
a quel che altrui ha già dismesso
ma per risarcimento ci tiene l’io che tiene
chi senza risicar si pappa il tutto
né ci ha chi risica del proprio e il proprio rosica
che proprio e proprio poco senso non da né salute
se non quel che occorra
ancora a risicar senza merzede
che poi prende grande smarrimento
e io dico io come se poi lo fossi
e non ambissi a conti fatti anch’io a un non-io
come fan tutti che per cortesia sociale
se lo fanno e danno
senza temere il danno che temo io che a dir chi
sono
son reso muto né mudo penne
che di mudar non ci ho piacere
se per piacer ci sono stretto
a domineddio agli òmini e all’amor mio
che se poi mudo o crepo
non cangia stile il mondo né tanto men si fende
che dio l’è sempre dio e omo l’omo
e l’amore mio rimane amore
ossìa un palpito del core e della mente
che mi trema dentro il tutto e si spaura
se sol mi guarda e mostra che non si scorda
che poi si scorda né muta usanza
se a saper che sapor ci abbia che non ci ho
l’altrui e il suo
mi succio il sangue mio che è del polso o d’altra
parte
io che tutte le ho conosciute le notti
che ti mozzichi i denti per il dì che tarda
e poi che ce l’hai davanti tutto davanti proprio
davanti
è un bell’affaire o è solo un à faire e basta
che è molto già se lo si fa
molto che lo si fa
e lo si fa che non si sa né c’è altrimenti
poi che tutte le ho conosciute le strade
che toggiano in do’ si parte
che si va si torna e non si trova
fuor che la morte nulla se non la morte
che dentro e fuori c’è morte sorella morte
morte e ancora morte e sempre morte
che vita abbandona e non condona
noi che frusti siamo né fatti domi
a chiedere ragione al tempo del suo tempo
e a dio d’essere dio e all’omo omo
mentre l’amore mio rimane amore
ossìa e chi lo sa perché ti amo
e chiamo amore te che non ci hai core
ma l’ardore quello sì e al calor rosso
che dai sensi viene che viene
oh sì tu vieni
oh sì sì sììì
e vengo anch’io
in fondo e dentro all’utero o alla tua gola
sversando con lo sperma ogni ragione
ma il talento quello no che resta intatto
e io sol uno
ancor m’appresto
a sostener la guerra che sempre tocca
quei che smessa la pietà per sé e per gli altri
nel mezzo del cammin della sua vita
che è solo sua e non è certo nostra
si trova solo e uno dentro il letto
e sol e uno lo è anche per strada
la sera del dì di festa e del feriale
se piove mangia caga o se s’ammatta
se fuma fotte parla o se sta zitto
che morte lui ci ha dentro che lo respira
e morte anch’io ci ho dentro e insieme amore
ma tu amore mio
amore bianco e vermiglio
amore senza simiglio
amore e a cui m’apiglio?
amore bianco e immondo
amore volto giocondo
amore dolc’e placente
amore di me dolente
amore mio amor tu mi dai morte
spisciolandomi sul core e sulle idee
così che giunto al fondo dove or mi tengo
or vedo e qui m’infollo
e qui m’incaglio
che quanto piace al mondo non son le fòle
con cui da solo si lede chi quello fere
ma balocchi profumi e quanto è bono
a chi del suo letame a sé fa strame
come strame fai tu amore del mio amore
or che dipana l’anno e io maledico
il mese il giorno e l’ora che fosti amore
ossìa un palpito del core e della mente
che or sì strutti
salute più non tengo o canoscenza
né ci ho vertute o altro
o altro vuoi
ma che altro vuoi da me che non sia sempre lo
stesso
e dolci baci e languide carezze e viole
e cattleyes al tuo adulterio
che a mescolar la scena e un po’ di vero finisce
che si prende poi sul serio
il serio della scena e non del vero
che a dirlo e farlo nessuno mette becco
ma becco è quel biondin ch’è tuo marito
e becco anch’io che chi lo sa chi sono
e qui a frusto a dindi eppure a pappa
non ci ho nella beltà ristoro al male
ma il male sì
sottile
in cui m’arrocco
del secolo dell’omo o solo mio
da quando iddìo segnòr del tempo e d’ogni eterno
sé disse dio dell’omo e dell’omìno
che sapiens o insipiens non sciacca lucco
pretende ancor per sé il cul dell’ens
e però sciamanni chi lo vòle il suo di giorno
lo faccia pur di notte a canca e batta
foresto urbano esperto o imperito
che tutto scorre come fu già detto
e poi gli fu obiettato che invece è fisso
per cui mi doccio
e sento gran doglianza di dubitare
e aver motivi al dubbio
se corre cola scola
oppur sta saldo
che mo’ mi par d’un modo e mo’ d’un altro
sì che mi sfolce il senno
e mi rimane quel tanto
che mi dolga ancora d’averne
e dunque non c’è dunque su cui puntelli
e a te sì a te amor che indugi e strappi
da entro al petto mio ogni dolzore
a te sì a te amor che ad amor mi movi
io grido che non ci ho rimedio al male
ma ci ho il furor ch’è mio e sempre allide
chi dell’urlo suo di sè fa eco e loppia
sì che giunto dove son giunto
ovvero al punto
che fu già detto Tiche
che mater est puttanissima
mater dell’omo e dell’omìno
mi vien la voglia che ci ha chi ha in uso citare
come esempio i casi suoi
e giudicando
che non al postero pertiene la sentenza
s’arroga di diritto di fatto o di suo arbitrio
di far con la quistion il punto e la vendetta
per cui ad un villan che stupido s’inurba
hoc est a tuo marito e a te medesma
qui dedico a mo’ di omaggio
quanto già appresi tra le cosce tue
sebben da te io sappia e dal tuo biondino
che son parole solo né ci hanno senso
come il mio amore e tutto ciò che è mio
ma tutto insegnarmi tu non puoi o l’unica qui è di
fare
alla fine un po’ alla volta
o di non fare
per dopo che dopo è foglia passa che è una vita
che non abbiam ragione o torto o legge o fede
e siamo senza ordine e senza rivoluzione
a spisciolar e a lustrar sul dosso
poi che fimbria l’intelletto nella schiena
e fimbria negli ideologici stupori
e adagio nelle notti che pontano
berciando senza dolore
e negli angoli quegli angoli là dove
il dove è dove
ma dove siamo
che nell’immemore equilibrio immemore
che ci ha il domani
non c’è domani non c’è sfizio né virtù
né argomento
neanche un lecca lecca o una lattìmma
c’è che non sia già qui
et nostalgia di pietra et arcata sopraciliare
et panico et straforo et testicolo et lume
et rameggio et christ che dir si voglia
et l’assolo
et l’uccel di dio
et propizievole molto la figa
et il gotto col suo stampino et il coro
et il cataclisma et la dolce ferita d’amore
et la mutanda che non viene giù
et il poietico
et la téta
et Liliana & Marco et nessuno et molti
et il neuma et crac et sì et cetera
et erà et rà et à ohi rombolà per cui si sa
che
ci ha messo che
ci ha messo l’alto e il non potere dell’occidente
che tutto può ma non posso io
ci ha messo l’unghia e il pelo d’aria
di lampegno di febbrile e di fatica con gran fatica
un quarto di manzo e di fuso orario
e lente sferze e dura biocca alla rigogna
che non si vede un mesone che è un mesone
ma già è la notte sui tuoi dolci seni
sul culo del bue e della vacca
che malinconica
che rude
che rotta
che dirotta per dove dirompe
che io passai con tanta piéta la notte che fui
per far di me gibetto
e dentro e lungo e al largo e su nella palanca
in cui si scarica lo spirito lemonato della vita
tra alunni gesuiti e ciance allegre
o tra llà llà in corso Italia e a via Manzoni
a cor di gridi lagni e dolci lai
ma tu chiedilo a Maria se tuo marito può e sa
e non sa che tu sì
sì ma raramente
sì e se ti vien la voglia che viene
a chi da solo se la toglie
perché a soffrire e anche a godere
da soli si è sempre soli
si è che si perde pietà e civil rispetto
e tu fai finta d’averci un incubo
che un po’ per suo piacere ma più per il tuo
indugia a dartelo perché tu ne abbia smania
e di più ne abbia
e l’abbia come quella l’ha che l’hai veduta in TV
che ci avevi la notte da passare
che ci ha chi a Monza l’ha
o come me l’ha
che ci ho il frutto il seme e l’ago
che ci hanno chi si fa per troppo o poco o che
sciutto
come il morto del vivo dell’astratto e del
geometrico
distinguere non seppi
se tenero mi davi oppur foppìgno
che greve è come castagne
l’autunno che perdi capelli foglie e voglie
e per una pillola del giorno dopo
per una pillola di estrogeni sintetici e
progesterone
per una pillola una piccola pillola
è fatto selvaggio il cuore
o è un’anomalìa
o è che altro è che qui
neanche un lecca lecca o una lattìmma
c’è che non sia già qui
che è qui che tu già vieni
certo veniamo
vengo vengo subito e vengo anch’io
senza un movimento apparente e senza ragione
a scongiurare la notte dolce e un po’ baldracca
di indugiare
per un pompin per un pompin d’amore
sulla favola bella sull’orto e Le Sieur de Machy
ora che io t’ho insegnato tutto
anche come si gode a goder d’orgasmo
e lo spirito dell’epoca lo esige e tuo figlio anche
che si commòve a spenger la torta
mentre Aldo clic con la Canon ferma l’istante
per Maria concepita per far peccati e farli fare
Maria la dolce la pigra la piena di grazia
tra donne senza grazia
e ciò sia detto bene
e bene anche il frutto del seme loro
che sì si perda ma adesso ma subito
che vorrei che il mondo per scissione nucleare
saltasse
a tempo a prestissimo e con dolcezza
ma adesso ma subito
che non c’è più orina nello scroto
c’è invece che ti guardo morderti il labbro
tra Regate Fieste e Liliane ciarline
d’ogni formato e poppa
con reggiseno calze e slip trapunti a telle a fili
e a punti
c’è che dove sperpero là raccolgo
e là e qui e dove il domani che io non potrò
dopo una lezione un caffé o uno svuotino
baciarti polpastrelli e ciglia
e quella zona sensibile del collo
così sensibile
dietro l’orecchio
e poi vivere di che bisogna vivere
oltreché pensare poi che non apprendemmo bene
a pensare a credere e manco a vivere
noi che della carica animale facemmo maschera
e perché no? arte sottile
noi gli iperenziali gli aujourd’hui
dell’immaginazione
i patematici che d’ogni violenza d’ogni motivazione
con colla fumetti e traumi tecnologici
auscultammo al tatto le Variazioni di Webern
e la favola bella che ieri ci illuse
ed è sempre più bella ma sempre men ci illude
noi sapienti
e troppo
per distinguere i priapismi dell’intelletto
da quelli del buon senso
e io fra tanti cui il lavoro-vita ora incalza
che incalza te che amo e son scalzato
per un buco nero del cuore
in cui dopo ponderata riflessione ora ci imbuzzo:
clinica
aeritalia servi di cristo e di berlicche
Poesie a Tiù che non traduco più
aiax scopa vileda
l’intellettuale che fa da sé solo per tre e son sempre
tre
chi non lo è che fa per tre che fa per sé e son
più
di tre
4 aborti una figlia un divorzio
istorie tante tutte con sante
11 anni di lavoro
3 corsi di lingue in cassette con relative dispense
Perhaps Love di Domingo tuo regalo di Natale
1/2 bastoncino Findus ancora surgelato e un pollo
Arena
40 compresse di Mogadon per quando l’insonnia è
tanta
39 compresse di Mogadon per quando la vita è poca
7.5 grammi di pakistano
un canto di Pound un canterò un canterai
la maritata che tra le maritali cosce arremba
eppur si sghemba
la vergine che più non lo è se non per te
chi di potta s’astiene
che ci ha la bocca che non ci ha chi pura l’ha
che fa di Q o fa di D o fa dada ma sempre fa
come fai tu e non godi più
se non con me e non sai perché
3 Marlboro 1 ciondolo a forma d’uccello 3/4 di idee
2/4 d’ora 1 ventilatore 1 IUD 3 spezzaunghie
3 R3 che usai con te
2 R2 a prevenir la lue
6 R6 che usai con lei
Panorami Espressi Confidenze che più non se ne può
foto di El con capezzolo+ombelico+pelo
un po’ del tuo e un po’ del suo
e anche del mio e di chi so io
i favolosi anni sessanta
un figlio di Maria
un così sia e un sia diverso
un sia uguale e un sia e basta
un malnato un malmenato un malvivo e un mar morto
e poi perché sia pieno il conto e io sia imparziale
c’imbuzzo anche tuo padre
ma con rispetto ma con permette? e guanti gialli
che sempre tuo padre è
l’umile et paziente et onnivoro pater
che pater et pater familias oh pater
di che tu labi
sì tu proprio tu mio dolce amore
propriamente tu mea Betsy
mea non dicibile che pur sei detta
che amante che amica
che sì che no che sì e no e altre ni
e ora sì e ora no
e trac di nuovo
a capo
a marcire nel weel-end
come in una cattedrale che riapre
per il millennio e solo per chi crede
o altrove e in funzione di sedia
o presso francesca mia figlia
che è di già anni sette nata d’ottobre
e che allo stato dei fatti e della materia
è un nuovo corso della storia che è poi l’antico
che ci ha il sonno che ci ho io
che non l’ho mai vista dormire
per cui non spero di tornare finché non torno e
spero
che a chi rimane torni a fare la circense animula
e la mentula e una rinnovata sapienza ermetica
che inaridita distrutta infinita impropria
carezza alla superficie dell’involucro
con necessaria e banale angoscia
per tutto ciò che si è inteso per leben e glosse
varie
mentre El ancora tambura tra le ciglia
il pomeriggio che con tanto amore
amore deglutì e sperma e birra
sì che fu incinta
per cui nutrite schiere di talpe
innumerevoli e indefesse
scavarono cunicoli molti dritti e curvi
privi di sbocco ai margini della memoria
e vissi fumando erba
le altre vite che vissi e furono eguali
il movimento romantico della materia
la nascita di mia madre
la gabbietta di Ezra e l’estate pisana
senza più spirito sociale e nobile humanitas
e convinzione che la logica sembra essere fatta
per smentirsi
e smentire che soli siamo come un libertino senza
slip
dove c’è la confusione che c’è dove
c’è il supermarket e la sublimità e l’altezza
che ci ha il lucido diamante della ragione
inflessibile
che ci hanno la tesi sadica di uomo subpremo
e i capricci del ventre e dei condotti spermantici
e dove sotto il velo del profondo mistero
dell’inerzia e dei particolari il particolare c’è
che siamo
che stranieri siamo alla nostra estraneità
e al domillennio che ne sfrasca
e sfrasca il comunista il cattolico
e chi non lo è che cazzo è
la trippa d’oro il profano e il deretano
monsù che sai tu e so pur’io
sfrasca la poiesi il malgioglio e il maltolto
e sfraschi anche tu amore mio
che amore mio sei mio come amore e come mio
e non hai né qui né là non hai nemmeno
stupidità
ma abbastanza cinica
per non militare nell’acido
o più semplicemente nella poesia
che sono principio e fine d’ogni principio e fine
per cui mi dico ora e sempre
in articulo vitae et mortis et cojonis
che son minore e non ho gusto
non ho fatti non ho idee
non ho decenza o libertà
non ho malizia né bontà
e ascolto
ascolto che si fa sera
che è un bel pezzo cho ascolto e si fa sera
da che invasi campo e mestiere e donne ai vivi
perché istrione io sono e anche ovvio
e già mi scapola la voce che dietro ai passi sparla
che ancora son di sopra tra lazzi sorbi
e guerra d’ogni guerra che sono guerra
ed è sempre la guerra
e dunque ardisco lanciarti un’ipotesi
un ultimatum
un testamento
è
bello ciò che ami, il resto è solfa
ciò che ami rimane qui con te, è il tuo domani
il mondo non appartiene a nessuno, solo al tuo
amore
il centauro è una formica nel suo mondo di draghi
strappa
da te la paura
non fu dio o tuo padre a creare
l’ordine la rivoluzione e l’inerzia
strappa da te la paura, fa’ presto, strappala
impara dal soffrire quale sia il tuo luogo
nella vanità della vanità o nel coraggio del
coraggio
sei una
donna bastonata sotto la legge
un’aguglia gravigrada senza più becco
metà tutto metà niente
né distingui un dado da una sua faccia
come
è meschina la tua paura nutrita di passione
avida di distruggermi, avara d’amore
strappa
da te la paura, fa’ presto, strappala
ma aver
avuto paura in luogo di non averne avuta
aver con
dubbio fatto perché ancora ci fosse a fare
questo non
è errore
qui l’errore
è in ciò che non si farà
nella paura
che non farà fare