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Vico
Acitillo 124
Poetry Wave Recensioni e note critiche Che fine hanno fatto Teresa
Fattorini
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While I
was fishing in the dull canal
On a winter
evening round behind the gashouse
Dalla
poesia d'immaginazione e fantastica si passa alla poesia sentimentale:
"La poesia
sentimentale è unicamente ed esclusivamente propria di questo
secolo,
come la vera e semplice […] poesia immaginativa fu unicamente ed
esclusivamente
propria de' secoli Omerici, o simili a quelli in altre nazioni.
Dal che
si può ben concludere che la poesia non è quasi propria de'
nostri
tempi,
e non farsi meraviglia, s'ella ora langue come vediamo, e se è così
raro non
dico un vero poeta, ma una vera poesia. Giacché il sentimentale
è
fondato e sgorga dalla filosofia, dall'esperienza, dalla cognizione dell'uomo
e delle
cose, in somma dal vero, laddove era della primitiva essenza della
poesia
l'essere ispirata dal falso. E considerando la poesia in quel senso nel
quale da
prima si usurpava, appena si può dire che la sentimentale sia poesia,
ma piuttosto
una filosofia, un'eloquenza, se non quanto è più splendida,
più
ornata
della filosofia ed eloquenza della prosa. Può anche essere più
sublime
e più
bella, ma non per altro mezzo che d'illusioni, alle quali non è
dubbio che
anche in
questo genere di poesia si potrebbe molto concedere, e più di quello
che facciano
gli stranieri."
Torniamo
indietro e chiediamoci, ancora una volta, se Silvia e Nerina erano
veramente
e definitivamente morte. In verità, no. Erano solo partite. Erano
andate
via e, con loro, i pastori, le sampogne, le greggi, le fonti, i fiumi,
le
foreste,
le fronde: The nymphs are departed […] left no addresses .
Per ritrovarne
l'indirizzo bisogna seguire le tracce dei loro antichi compagni.
Non potevano
essere morte. Lo sapeva benissimo lo stesso Leopardi:
perché
"le illusioni per quanto sieno illanguidite e smascherate dalla ragione,
tuttavia
restano ancora nel mondo e compongono la massima parte della
nostra
vita. E non basta conoscer tutto per perderle, ancorché sapute vane.
E perdute
una volta, né si perdono in modo che non ne resti una radice
vigorosissima,
e, continuando a vivere, tornano a rifiorire in dispetto di tutta
l'esperienza
e certezza acquistata" . La contraddizione è nel cuore stesso
dell'uomo
e della sua ragione: pur conoscendo la vanità del tutto, egli la
ricerca
-questa
vanità- ma, nel ricercarla nell'unione di filosofia e di poesia
(una filosofia
che si
fa poesia o una poesia che si fa filosofia), l'opera del genio dà
all'esistenza
e alla
vita "il loro estremo vigore". "Questo significa che <la natura è…
smisuratamente
più forte della ragione>: prevale sulla ragione nell'atto stesso
in cui
la ragione crede di portarsi al di fuori di essa, smascherando e vanificando
le illusioni
che dalla natura necessariamente scaturiscono e nelle quali essa
consiste.
La natura che è <smisuratamente più forte> della ragione,
è la
<natura
assoluta>, la volontà di esistere, che per non essere negazione
di
se stessa
-per non essere <contraddizione formale>-, evita la verità e
produce
le illusioni,
nelle quali soltanto può consistere la felicità."
Il problema
è -allora- dove cercarle, le ninfe, se sono ancora in giro. E non
è
un grosso problema. Anzi è (o era: anche ai tempi di Leopardi, voglio
dire)
un problema
già risolto. Lo aveva implicitamente già risolto Giovan Battista
Vico.
Le Ninfe
non hanno abbandonato le selve. Sono le selve ad avere, piuttosto,
cambiato
fisionomia: nella <barbarie terza> "[…] gli uomini dovevan menare
la vita
nelle selve o nelle città come selve." Le N/ninfe e i loro
compagni,
semidei
e pastori di un tempo, vivono -mimetizzati- nelle selve delle città
moderne.
The river's
tent is broken: the last fingers of leaf
Clutch
and sink into the wet bank. The wind
Crosses
the brown land, unheard. The nymphs are departed.
Sweet Thames,
run softly, till I end my song.
The river
bears no empty bottles, sandwich papers,
Silk handkerchiefs,
cardboard boxes, cigarette ends
Or other
testimony of summer nights. The nimphs are departed.
And their
friends, the loitering heirs of city directors,
Departed,
have left no addresses.
Londra.
Le rive del Tamigi al cader dell'estate. Le ninfe e i loro amici sono rientrati
nella selva
urbana. La natura, con i primi freddi, è diventata inospitale: la
natura
un tempo
ricovero e sfondo amorevole per il poeta e i suoi sogni in versi ("Sweet
Thames,
run softly, till I end my song : Dolce Tamigi, scorri lieve, finché
non finisca
il mio
canto"). Inospitalità che fa da controcanto alla volgarità
degli ospiti estivi
che hanno
disseminato le tracce del loro passaggio (le testimonianze delle notti
estive)
lungo le rive del fiume: fazzoletti di seta, scatole di cartone, cicche
di
sigarette
o altre testimonianze di notti estive. Non a caso Eliot prende in prestito
da Edmund
Spenser l'invocazione al "dolce Tamigi" –l'immagine di un Tamigi
mitico/pastorale-
a costituire conforti di fronte agli squallidi scenarî delle mitologie
moderne.
Le ninfe sono andate via come figure del mito e come figure dell'epopea
contemporanea.
Silvia e Nerina hanno lasciato le fonti e le fronde. Si sono rifugiate
nel labirinto
delle città. Sono diventate impiegatucce in squallidi uffici. Il
sogno,
riscritto
in grigio e nero, ha perduto ogni fascino. Una consapevolezza finissima
e addolorata,
questa di Eliot, pronta a cogliere la discesa verso gli inferi delle
Silvie
e delle Nerine di un tempo. Perché per ritrovare il sentiero del
loro percorso
in discesa
e costruire il mito della loro degradata trasfigurazione bisogna fermarsi
in quella
stazione -la poesia di Eliot, appunto- in cui la capacità mitopoietica
e
non stancamente
letteraria della poesia riprende vigore. La cui poesia è strumento
per la
costruzione di altri miti al posto di quelli che non parlano più
al nostro cuore:
tanto per
usare il vocabolario dello stesso Leopardi.
Con l'autunno
gli alberi si spogliano, le rive del Tamigi perdono i loro colori e
i gitanti
occasionali rientrano nella città: The nimphs are departed e, con
loro
(All Lovely
Daughters of the Flood), their friends, the loitering heirs of city directors.
Quella
parvenza di temp de la nature che sembra sopravvivere attraverso i riti
del moderno
<tempo libero>, che trova la sua climax nel rito/mito del week-end,
ri-cede
il posto al temp de la société con il suono fesso e falso
dei suoi orologi
(With a
dead sound on the final stroke of nine : con un suono morto all'ultimo
tocco delle
nove), il tempo della <selva urbana> . Li abbiamo già trovati
,
Unreal City,
Under,
the brown fog of a winter dawn,
A crowd
flowed over London Bridge, so many,
I had not
thought death had undone so many.
Sighs,
short and infrequent, were exhaled,
And each
man fixed his eyes before his feet.
Flowed
up the hill and down King William Street,
To where
Saint Mary Woolnoth kept the hours
With a
dead sound on the final stroke of nine. ,
e li ritroviamo,
dopo la parentesi agreste, con tocco di arcadico controcanto
che rimbalza
dal verso di Edmund Spenser incastonato nel devastato
paesaggio
fluviale:
Sweet Thames, run softly, till I end my song
ancora a
Londra, <i loro amici>, <gli sfaccendati eredi di direttori della
City>,
a partire
dall'inquietante Priapo.
Unreal City
Under the
brown fog of a winter noon
Mr. Eugenides,
the Smyrna merchant
Unshaven,
with a pocket full of currants
C.i.f.
London: documents at sight,
Asked me
in demotic French
To luncheon
at the Cannon Street Hotel
Followed
by a weekend at the Metropole.
At the
violet hour, when the eyes and back
Turn upward
from the desk, when the human engine waits
Like a
taxi throbbing waiting
E ritroviamo
nel buio degli uffici, nel ventre della selva urbana, la nostra
ninfa mimetizzata
da stenodattilo, typist:
At the violet
hour, the evening hour that strives
Homeward,
and brings the sailor home from sea,
The typist
home at teatime, clears her breakfast, lights
Her stove,
and lays out food in tins.
Out the
window perilously spread
Her drying
combinations touched by the sun's last rays,
On the
divan are piled (at night her bed)
Stockings,
slippers, camisoles, and stays.
insidiata e preda di un <moderno> satiro:
[…] the
expected guest.
He, the
young man carbuncular, arrives,
A small
house agent's clerk, with one bold stare,
One of
the low on whom assurance sits
As a silk
hat on a Bradford millionaire.
The time
is now propitious, as he guesses,
The meal
is ended, she is bored and tired,
Endeavours
to engage her in caresses
Which still
are unreproved, if undesired.
Flushed
and decided, he assaults at once;
Exploring
hands encounter no defence;
His vanity
requires no response,
And makes
a welcome of indifference.
[…]
Bestows
one final patronising kiss,
And gropes
his way, finding the stairs unlit…
She turns
and looks a moment in the glass,
Hardly
aware of her departed lover;
Her brain
allows one half-formed thought to pass:
"Well now
that's done: and I'm glad it's over".
When lovely
woman stoops to folly and
Paces about
her room again, alone,
She smooths
her hair with automatic hand,
And puts
a record on the gramophone.
L'eros -il
gioco dell'attrazione e della fuga, dell'accoppiamento e dell'abbandono
pensoso
dopo l'amore (il biblico, post coitum omne animal est triste! )- si è
degradato
a <combinazioni> poste ad asciugare agli ultimi raggi del sole mentre
sul divano
(di notte è il suo letto) sono ammucchiate calze, pantofole, camiciole
e corsetti
(stockings, slippers, camisoles, and stays). Il satiro incalzante è
un
<giovanotto
foruncoloso>, <impiegato d'una piccola agenzia di locazione>,
<uno
del popolo a cui la sicumera si addice come il cilindro a un cafone arricchito>
e che,
dell'antico e audace semidio, conserva lo <sguardo baldanzoso>
(with one
bold stare) per conquistarla. L'antico giaciglio di fronde è ora
il divano
(di notte
il suo letto). La malinconia dopo l'accoppiamento, un rapido sguardo
nello specchio,
un pensiero half-formed che attraversa il cervello (è sorella, la
gemella
di Molly nella Dublino di Leopold Bloom?), l'amore un'incombenza
("Well
now that's done: and I'm glad it's over : Be', ora è fatta, ho piacere
che
è
fatta") subita come un triste dovere da compiere, un automatico ravviarsi
dei capelli,
un avviare un disco sul grammofono.
Nel disordine
urbano, le cose perdono la loro identità e si ammucchiano in un
disordine
dove l'epico e il quotidiano, il volgare e l'aulico, il raffinato e il
demotico
stanno
accanto accanto sullo sfondo di un generale squallore. La storia coincide
con l'antropologia
e la coscienza scende agli indefiniti margini profondi dell'inconscio.
La ragione,
con la sua <età della tecnica>, si capovolge in disordine e fallimento.
La Storia,
in catalogo assurdo. Riusciremo –ognuno di noi- a mettere in ordine
le nostre
terre: Shall I at least set my lands in order?
La Londra
di Eliot conserva, comunque, una sua epica. I <frammen-ti> con cui
Eliot puntella
le sue rovine sono frammenti che giungono ad esiti <alti> anche
quando
recupera materiali bassi e bassissimi: proprio per la carica di drammaticità
da cui
è investito il loro incondito accostamento e il senso di finis historiae
che
comporta.
Scampoli di fine stagione: con tutta la malinconia e il dramma che
il finire
d'una stagione comporta. Lo stesso <ultimo tocco delle nove>, su cui
la campana
di Saint Mary Woolnoth dà un suono morto, rivive con scatto mitico
la tragica
<ora nona> della morte di Cristo.
La Milano
di Carla Dondi fu Ambrogio si muove nel grigiore urbano setacciato
attraverso
la trama del neo-realismo elegiaco de Il posto di Ermanno Olmi: un
grigiore
da cui si esclude del tutto ogni residua nota mitica (sopravvive solo un
residuo
di stile epico nella prospettiva del narratore "omerico" che racconta,
a nome
di tutti, i fatti) e la stessa nota drammatica che, a tratti, sopravvive
si stempera
nel contesto piccolo-borghese delle situazioni. Non scatti mitici
o note
drammatiche:
Flowed up
and down King William Street,
To where
Saint Mary Woolnoth kept the hours
With a
dead sound on the final stroke of nine.
Lo
squallore quotidiano si conclude in se stesso, nella sua rappresentazione.
Ovvero
abbiamo il passaggio -tra Eliot e Pagliarani- da un binario stilistico
a
carattere
metaforico a uno a carattere metonimico, il passaggio dal riferimento
verticale
al riferimento orizzontale, dal richiamo simbolico e mitico al richiamo
contiguo:
per cui, se -come notava Roman Jakobson- lo sviluppo discorsivo può
snodarsi
lungo due linee sematiche diverse a seconda che segua un processo
metaforico,
ossia per similarità, o un processo metonimico, ossia per contiguità
(e, dunque,
il processo metaforico avrà prevalenza nelle creazioni poetiche
a
tendenza
romantica e simbolista, mentre quello metonimico avrà prevalenza
nelle correnti
letterarie realiste con la poesia, tendenzialmente, metaforica e
la prosa,
tendenzialmente, metonimica) il discendere -in Pagliarani e altri
dell'Avanguardia
63- verso il metonimico è il segnale di direzione di una poesia
che vuole
essere prosa.
All'ombra
del Duomo, di un fianco del Duomo
i segni
colorati dei semafori le polveri idriz elettriche
mobili
sulle facciate del vecchio casermone d'angolo
fra l'infelice
corso Vittorio Emanuele e Camposanto,
Santa Radegonda,
Odeon bar cinema e teatro
un casermone
sinistrato che sarà la Rinascente
La ninfa
Carla Dondi non ha più memoria della lontananza da cui proviene
e coglie
dolorosamente
solo la superficie della miseria in cui è caduta:
S'è
lavata nel bagno e poi nel letto
s'è
accarezzata tutta quella sera.
Non le
mancava niente, c'era tutta
come la
sera prima - pure con le mani e la bocca
si cerca
si tocca si strofina, ha una voglia
di piangere
di compatirsi
senza comprendere l'abisso in cui lentamente stava scivolando.
Carla Dondi
fu Ambrogio di anni
diciasette
primo impiego stenodattilo
all'ombra
del Duomo
Sollecitudine amore, amore ci vuole al lavoro
sia svelta, sorrida e impari le lingue
le lingue qui dentro le lingue oggigiorno
capisce dove si trova? TRANSOCEAN LIMITED
qui tutto il mondo…
è certo che sarà orgogliosa.
Signorina,
noi siamo abbonati
alle Pulizie
Generali, due volte
la settimana,
ma il signor Praték è molto
esigente
-amore al lavoro è amore all'ambiente- così
nello sgabuzzino
lei trova la scopa e il piumino
sarà
sua prima cura la mattina.
UFFICIO A UFFICIO B UFFICIO C.
Perché
non mangi? Adesso che lavori ne hai bisogno
adesso che lavori ne hai diritto molto di più
S'è
lavata nel bagno e poi nel letto
s'è
accarezzata tutta quella sera.
Non le
mancava niente, c'era tutta
come la
sera
prima - pure con le mani e la bocca
si cerca
si tocca si strofina, ha una voglia
di piangere
di compatirsi
ma senza fantasia
come può
immaginare di commuoversi?
Tira il
collo all'indietro ed ecco tutto.
Gli stessi
"satiri" che la insidiano o potrebbero insidiarla non hanno alcuna
grandezza,
anche laida (come quella di Mr. Eugenides) o stravagante (come
quella
del giovane pustoloso impiegato di una piccola agenzia di locazione),
ma la timida
aggressività dello studente povero al primo approccio amoroso,
l'impacciata
arroganza del collega d'ufficio o esibiscono la prosa impolverata
e cantilenante
del <catechista>:
Sollecitudine
amore, amore ci vuole al lavoro
sia svelta, sorrida e impari le lingue
le lingue qui dentro le lingue oggigiorno
capisce dove si trova?
un <decalogo>
che scade immediatamente nella miseria sostanziale di un
miracolo
economico fragile e provinciale. Più di facciata che sostanziale:
Signorina,
noi siamo abbonati
alle Pulizie
Generali, due volte
la settimana,
ma il signor Praték è molto
esigente
-amore al lavoro è amore all'ambiente- così
nello sgabuzzino
lei trova la scopa e il piumino
sarà
sua prima cura la mattina.
UFFICIO A UFFICIO B UFFICIO C.
Un registro
perfettamente omologo, nella rassegnata povertà lessicale e
morale,
alla soluzione esistenziale e morale che le propone la madre,
quando
ritorna a casa dal primo giorno di lavoro:
Perché
non mangi? Adesso che lavori ne hai bisogno
adesso che lavori ne hai diritto molto di più
Carla Dondi
si lava nel bagno, si tocca: quasi per ri-trovarsi, per vedere se è
ancora
quella che era quando è uscita al mattino per il suo primo giorno
di
lavoro.
Vorrebbe piangere ma le manca la percezione della drammaticità
della sua
condizione di ninfa decaduta:
ma senza
fantasia
come può
immaginare di commuoversi?
Tira il
collo all'indietro ed ecco tutto.
E, anche
quando incoccia nel suo Mr. Eugenides, la sua reazione non è più
quella
annoiata e stanca di chi -comunque- pre/sente il tuono lontano del dramma:
She turns
and looks a moment in the glass,
Hardly
aware of her departed lover;
Her brain
allows one half-formed thought to pass:
"Well now
that's ddone: and I'm glad it's over".
When lovely
woman stoops to folly and
Paces about
her room again, alone,
She smooths
her hair with automatic hand,
And puts
a record on the gramophone
ma quella
intimidita dei poveri che cercano, innanzitutto, di non perdere
il posto
di lavoro:
A Praték gli vanno bene anche le donne
e Lidia
che era furba lo sapeva
e l'ha
passato mica male, il tempo, sullo sgabello della macchina
con le
sue cosce grasse
Ma la moglie coi soldi che è gelosa
vigila
sulla serenità delle fanciulle
[…]
[…] Ho
paura, mamma Dondi ho paura
c'è
un ragno, ho schifo mi fa schifo alla gola
io non
ci vado più.
Nell'ufficio
B non c'era nessuno
mi guardava
con gli occhi acquosi
se tu vedessi
come gli fa la vena
ha una
vena che si muove sul collo
Signorina
signorina mi dice
mamma io
non ci poso più stare
è
venuto vicino che sentivo
sudare,
ha una mano
coperta
di peli di sopra
io non
ci vado più.
Schifo,
ho schifo come se avessi
preso la
scossa
ma sono svelta a scappare
io non
ci vado più.
[…]
La vedova
signora Dondi
forse si
sarà spaventata
ma non
ha dato tempo a sua figlia
Non ti
ha nemmeno toccata
gli chiederemo
scusa
fin che
non ne trovi un altro
tu non
lascerai l'impiego
bisogna
mandare dei fiori
alla signora
Praték.
[…]
Domenica
con un fascio di fiori
[…]
con un
fascio di fiori più pesante
di una
sporta di pane e di patate
in visita
ai signori Praték.
Ma madama
è squisita, dice belli
ai fiori,
bravi ai ragazzi, dice che sciocchezze
dice che
Aldo è un giovane per bene
che sono
proprio divertente
forse dice
tra i denti almeno questo
le facesse
la guardia l'impiegato.
Autour des
neiges, qu'est ce qu'il y a?
Colorati
licheni, smisurate
impronte,
ombre liocorni
laghi cilestri,
nuvole bendate,
risa dell'eco
a innumeri convalli
la vita
esala fiorissce la morte
solitudine
imperio libertà.
Il contro-canto
elegiaco di Carla segna il residuo stimolo a riemergere
dell'antica
vita ninfale. Ma il ritorno della vita antica fallisce. L'elegia trascorre
in un impasto
parodico. Non ci sono altre selve. La selva è questa. A Carla non
rimane
che integrarsi. Mettere il rossetto, infilare calze di nylon, dire ai colleghi
a testa
alta <buongiorno> con l'aggiunta <a tutti>, quando al mattino ci
si
incontra
in piazza prima di andarsi a chiudere nel buio del'ufficio.
Quanto di
morte noi circonda e quanto
tocca mutarne
in vita per esistere
è
diamante sul vetro, svolgimento
concreto
d'uomo in storia che resiste
solo vivo
scarnendosi al suo tempo
quando
ristagna il ritmo e quando investe
lo stesso
corpo umano a mutamento.
Ma non basta
comprendere per dare
empito
al volto e farsene diritto:
non c'è
risoluzione nel conflitto
storia
esistenza fuori dell'amare
altri,
anche se amore importi amare
lacrime,
se precipiti in errore
o bruci
in folle o guasti nel convitto la vivanda, o sradichi dal fitto
pietà
di noi e orgoglio con dolore.
Non c'è
riscatto: in alcun senso e per alcuno di noi. Un coro-poltiglia di commenti
chiude
il poemetto. "La situazione umana è lasciata aperta al proprio consumo"
.
Che fine
ha fatto Carla Dondi fu Ambrogio, di anni diciasette, stenodattilo?
Scomparirà
"la ragazza Carla", e –per ora- l'abbiamo già persa di vista i questi
ultimissimi
tumultuosi decenni. Ricomparirà, comunque, un giorno altrove e
–si presume,
se il destino di Silvia e Nerina ci dice ancora qualcosa- sotto altra
veste.
Come Silvia e Nerina ricomparirà perché "[…] <la natura
è […] smisuratamente
più
forte della ragione>: prevale sulla ragione nell'atto stesso in cui la
ragione crede
di portarsi
al di fuori di essa, smascherando e vanificando le illusioni che dalla
natura
necessariamente
scaturiscono e nelle quali essa consiste. La natura che è
<smisuratamente
più forte> della ragione, è la <natura assoluta>, la volontà
di esistere,
che per non essere negazione di se stessa -per non essere
<contraddizione
formale>-, evita la verità e produce le illusioni,
nelle quali
soltanto può consistere la felicità."