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Eugenio De Signoribus, Principio del giorno Garzanti, Milano, 2000, pag.162, lire 25000 Il
testo di De Signoribus, caratterizzato, nelle sue scansioni, da un'accurata
ed efficace intelaiatura, da una capacità architettonica che lo
rende armonico nel suo dipanarsi e compiuto, così come è
sorretto da una notevole capacità progettuale, vede il suo autore
proteso, attraverso le varie voci narranti a presentarci, avvalendosi
di un linguaggio poetico colto ma non aulico, complesso e, a tratti, dolentemente
ironico, che spesso si avvale della rima essenzialmente per ribadire segmenti
e campi semantici, verso una poetica che, con la consapevolezza di cui
si diceva, trova la propria programmaticità, proprio nel titolo
Principio del giorno: con questo s'intende sottolineare che, lungo
tutto il percorso, che si offre da seguire al lettore, vi è sempre
presente, anche se le tematiche sono tra loro spesso del tutto differenti,
un tono, una dizione, sempre sospesa tra angoscia e speranza, chiaroscuri
e tracce opposte, che sono tipiche appunto nella vita del poeta (ma anche
di tutti), di quello spettacolo che si staglia agli occhi al risveglio,
in una luce aurorale o prealbare che tanto potrà evolversiin
ombra, quanto in solarità, nelle ore successive di ogni giornata:
luce simbolica, dunque, a rifrangersi speculare sugli umori e le aspettative
dell'uomo del 2000 e, in un certo senso, visti anche i temi praticati dall'autore,
come quello degli spatriati in Italia, o quello dei Campi degli immigrati
clandestini, si potrebbe anche dire, zona neutra di passaggio tra il secondo
e il terzo millennio, con tutte le luminose prospettive di chiarità,
imbevute, però, purtroppo, di inevitabili paure e spettri di cadute
già presenti o future; il discorso e il messaggio del testo, quindi,
trova così un’estensione dall’io del poeta, ai lettori e anche ai
non lettori, innescandosi così, un discorso, che va così
dal soggettivo alla sua oggettivazione, da un esempio singolo, a un qualcosa
che riguarda tutti. Quello
che si nota, nella misurata e precisa dizione di De Signoribus, nelle immagini
che la disposizione delle parole forma, è un senso di distacco non
solo stilistico ma anche, si potrebbe dire contenutistico, nel senso
che non si entra mai centralmente nel merito di quello che viene fatto
presumere dai titoli delle varie scansioni, ma le descrizioni dei nuclei
dei significati non sono mai centrali, ma sempre avvicinate per altre immagini
che, da possibile contorno, divengono l’asse portante del discorso. Se
infatti leggiamo il componimento suggestione che è il primo
della sezione Campi, al posto di immagini di espatriati, di volti addolorati
e interroganti ci viene presentata così la scena: si potrebbe dire
dall’esterno verso l’interno, con una tensione forte e nello stesso tempo
sfunata-“/ nel campo illimitato/ va, va il vagone carico di…/ carico… nel
campo assolato…// del rosso profuno dei cocomeri?…/ eh no, purtroppo non
è lì/ né qui dove pare salga…// nella vibrazione dei
finestrini/ o forse nella camera degli occhi/ perché scatta la malinconia?//
la quercetta sta nella pianura/ sola con l’ombra che non fa vedere/ se
c’è chi ascolta o chi parla// il filare di viti fa il confine/ sfreccia
di qua la ferrovia/ di là natura spegne il suo motore//..”. In
ogni caso, tutto il procedere ritmico e apparentemente distaccato di De
Signoribus si evolve per avvicinamenti, per approssimazioni e l’io poetante
non ha niente di egotico e si stempera di volta in volta in altre voci,
in altri contesti, pur mantenendo intatta la sua fisionomia. Un
elemento da sottolineare nella poetica dell’autore in questo testo, è
che egli costruisce differenti tipi di situazioni, alcune immaginarie altre
tratte dalla nostra storia odierna (come per esempio campi di cui
si diceva e anche Tavole genovesi nella quale si parla dei clandestini
insediatisi in Italia); questo procedimento, tuttavia, non intacca l’unitarietà
espressiva del testo complessivo, e il tratto comune, il filo rosso, è
sempre quel senso di provvisorietà, di luce composita che crea aspettative
di cose positive o dolorose. Nella sezione Arie e controarie molto
bello è il testo teatrino della veglia che, procedendo con
i suoi brevi ed eleganti distici, c’immerge nell’atmosfera purgatoriale
nella quale è immersa l’intera raccolta:-“quando dal soffitto cala/
una polvere assonnata// e sugli occhi è adunata/ creando deserto
in sala// lì, sul varco ti saluta/ una guardia sconosciuta// che
accosta accosta gli scuri/ ma di chiudere finge// finchè sul palco
respinge/ i grigi pesi e i figuri…// e ride squacquera sordo/ scollandosi
la divisa// sotto è un pagliaccio ingordo/ con una macchia incisa//
la strappa e scopre il cuore/di
pezza multicolore// e irridendo affloscia/ cavandosi segatura// la scena
si svuota e moscia/ è ogni idea futura// resistono gli occhi soli/
fari fissi e captaduoli/ giostrano tra sé e sé…/ e più
il sipario non c’è//-“; sembra così in questa composizione,
che quel principio del giorno tra notte, veglia e sogno, trovi nella maschera
inquietante, sullo spazio scenico di un evanescente teatro domestico, un
antefatto, un prologo adeguato e già vissuto, a quella che sarà
per tutti noi la luce sul giorno del risveglio, del principio del giorno,
appunto. Indice della sezione Indice generale Immagine: Antonio Belém, Phorbéa, Napoli 1997 Per informazioni, si prega contattare: Otto Anders |