Seamus
Heaney,The Spirit Level, a cura di Roberto Mussapi
Mondadori,
Milano, Ottobre 2000, lit.27.000
In equilibrio
tra terra e cielo
The
Spirit Level è il primo libro di poesie di Seamus
Heaney dopo il Nobel del ’95. Edito da Faber and Faber in Gran Bretagna,
e a stretto giro di tempo da HarperCollinsCanada e Ferrar,
Straus and Giroux in America, è ora approdato in Italia
(Ottobre 2000) nella collezione “Lo Specchio” Mondadori, che già
ne aveva pubblicato Station Island, Veder cose e North.
Nella
postfazione il curatore Roberto Mussapi suggerisce le ragioni della
rinuncia a tradurre il titolo, che indica la livella a spirito o
bolla, “lo strumento che garantisce l’equilibrio di un piano” ma
adombra anche “ un’intraducibile intenzione di misura della condizione
spirituale del proprio tempo”.
Il libro infatti
oscilla tra terra e cielo, esaltando l’equilibrio, base necessaria
di ogni costruzione, pur se attraversato da una forte corrente ascensionale,
variante aerea della verticalità caratteristica dell’autore
. Nella celebrata Digging (in Death of a naturalist,1966),
Heaney aveva fatto dello scavo la sua metafora principale, suggerendo una
volta per tutte il suo legame alla terra, pur avvalendosi, a differenza
dei suoi avi contadini, non della vanga, ma della penna . Si scava
per far riemergere ciò che è sepolto ma non va dimenticato,
perché condizione del nostro futuro, come il seme interrato
è garanzia del nostro raccolto.
In questo
libro Santa Brigida diventa così anello di congiunzione tra miti
celtici di vegetazione e tradizione cristiana nell’equivalente della nostra
Candelora in Una cintura di Brigida , mentre la fatica di Atlante
reggitore del mondo trova un suo gentile prosecutore nell’umile santo
(San Kevin e il merlo), che restando immobile per settimane
consente lo schiudersi della covata dei merli che hanno nidificato sulla
sua mano mentre era assorto in preghiera. Heaney sembra voler sottolineare
la continuità tra la profondità della terra e l’altezza del
cielo: a riprova si può scegliere l’emblematica In cima al pozzo,
dove la musicista cieca dalla nascita che diceva di ‘vedere’ tutto dalle
voci, alla lettura che il poeta le fa “di una poesia con dentro il pozzo
di Keenan” dice :
“ Vedo il cielo sul fondo, adesso.”
Alto
e basso si alternano e si integrano, facce necessarie della stessa moneta.
Come si alternano distruzione e costruzione, morte e rinascita, nella celebrazione
di strumenti primordiali come la cazzuola di Prugna, che molte
affinità ha col pugnale, non meno crudele per essere sacrificale.
Distruttori e costruttori si avvicendano: i predoni Agamennone e Ulisse
contro le tenaci figure di muratori, architetti, fabbri, sarti, vasai.
La violenza
ha anch’essa i suoi ritorni, come la primavera e le maree,
e la Cassandra di Scolta a Micene ha gli stessi elementi
d’identificazione della piccola adultera di Punishment (in North,1975):
la testa rasata e quasi scorticata, la complessione esile e i segni di
denutrizione, e come quella, seppure in modo rovesciato, ha a che fare
con l’adulterio, per il quale viene ‘punita’ dalla vera adultera Clitennestra.
Entrambe giovani capri espiatori, entrambe testimoni che valicano
la dimensione del tempo, l’una riportandoci al passato barbarico tramite
il proprio cadavere mummificato, l’altra anticipando il futuro per
mezzo della parola.
La preveggenza
è il leitmotiv del libro: il marchio distintivo della terra
e del poeta che da essa attinge la sua forza: “ Mio padre sta arando (…)
io sono tutto preveggenza./ Della poesia come un vomere che ruota il tempo/
e lo capovolge” (La sedia del poeta ). Il testo è disseminato
di presagi, sogni, visioni , che il poeta ha il munus (dono-compito)
di tradurre in realtà , non sottraendosi alla fatica e alla
responsabilità che questo comporta, perché, come la
sentinella di Micene che sa, ma non parla, rendendo possibile l’esecuzione
del re, il silenzio non è meno colpevole della parola. “Non esiste
spettatore innocente”. Ecco allora l’insistenza sulle figure di contatto:
messaggeri, angeli, streghe, fantasmi. Occorre tuttavia saper distinguere
quando tergiversare rispetto al compito è colpa , come per
il cane che non riporta in tempo l’ambasciata degli uomini condannandoli
così all’irreversibilità della morte (Un cane latrava
nella notte anche nella contea di Wiclow) o saggio tempismo, come nella
poesia subito precedente, L’ambasciata, dove l’autore ragazzo rimane
al suo posto ribattendo la palla al padre che voleva scorrettamente distoglierlo
dal gioco con un incarico strumentale.
Al pari
del Bagatto dei tarocchi il poeta non crea, ma opera sulla base di
una materia data: traduce la visione dandole una forma, imprimendo
la propria cifra stilistica alla combinazione di lettere alfabetiche che
ne costituiscono la malta. Ecco allora l’insistenza sulle ‘figure’ della
scrittura: lo stampo, la forgiatura, l’incisione (sia essa la scia
indelebile del bastone del padre sulla spiaggia, siano le iscrizioni in
caratteri runici ad uso dei turisti nella torbiera di Tollund) , o sulla
traduzione vera e propria, che compare in varie forme (le scritte della
torbiera in danese e in inglese, il Braille della vicina cieca, la
cartolina del nipote spagnolo), e che talvolta viene espressamente chiamata
in causa (Colonne ricordate, Tirare avanti).
In due poesie particolarmente significative viene direttamente praticata
in forma di riscrittura: dal romeno di Marin Sorescu (Le prime parole)
e dall’olandese di J.C. Bloem (A un vasaio olandese in Irlanda).
Nella prima viene adombrata la condizione del poeta interprete della natura:
“Per me bere è intendere dal fondo del cervello/ciò che gli
uccelli e l’erba e le pietre bevono./ E che ogni cosa scorra/ fino ai quattro
elementi,/fino all’acqua e alla terra e al fuoco e all’aria”. Una condizione
di adesione istintiva, che sa ‘sentire’ anche in una lingua che non conosce,
o tradurre in visione ciò che non vede ( Il bastone della
pioggia, che apre la raccolta, è una scintillante metafora del
fare poetico, e, ancora, in M., come il fonetista sordo sa ‘tradurre’
le vibrazioni sonore dell’osso di un parlante, l’autore riesce a
immaginare, dal semplice contatto con un mappamondo, il gelo siberiano
e “ il russo tenace di Osip Mandelstam”).
Nella seconda il bellissimo incipit-exergo allude ad un’altra
esperienza chiave del libro: la metamorfosi, del resto già
implicita nella condizione ‘‘liminare” che giustamente Mussapi designa
come caratteristica della poesia di Heaney “perennemente al confine:
tra presente e passato, mondo esterno e mondo interiore, tra la realtà
storica e quella fossile, la lingua umana e quella della linfa e dell’acqua,
la visione e la realtà concreta, (…) tra la rivelazione e
il travaglio del cesello, la scoperta della vena d’acqua e il lavoro di
vanga che la precede.” La metamorfosi qui presente, con la
straordinaria pregnanza sintetica della migliore poesia, è a un
tempo quella dell’argilla in ceramica attraverso la cottura, quella
dell’idea cristallizzata in forma linguistica, e in quella, ancora
rinnovata, della traduzione, in un’esplosione di leggerezza che solleva
la pietra tombale e la scaglia lontano per il trionfo della Resurrezione
, cambiando nel profondo anche il suo testimone: “ Poi entrai in una stanza
blindata del vocabolario/ dove parole come urne giunte dal fuoco/ stavano
nelle alcove asciuttissime accanto a un forno// e ne uscii cambiato, come
la guardia che aveva visto / la pietra muoversi nel diamante sfiammante
dell’aria/ o le porte di corno dietro le porte d’argilla.”
Si torna allora alla ricerca dell’equilibrio:
tra la pesantezza della terra, della pietra
e del ferro e la leggerezza dell’aria, tra le virtù purificatrici
del fuoco e quelle dell’acqua, tra la persistenza della memoria e la rapidità
del transito che deve contentarsi di ricostruire una fugace visione in
itinere come in Postscriptum, il componimento che chiude
la raccolta: “ E trova il tempo prima o poi di guidare verso ovest / in
County Clare, lungo Flaggy Shore,/ in settembre o in ottobre,/ quando
il vento e la luce confliggono,/ e da una parte l’oceano si scatena/ di
schiuma e di bagliori, e nell’interno tra i massi / la superficie di un
lago grigio ardesia è illuminata dal fulmine atterrato
di uno stormo di cigni,/ le penne irruvidite e arruffate, bianco su bianco,/
il lungo capo con lo sguardo ostinato/ piegato o increstato o occupato
sott’acqua./ Inutile pensare di parcheggiare e catturare tutto/ più
interamente. Non sei né qui né là,/ urgenza in cui
passano l’estraneo e il noto,/ mentre grandi sbuffi ventosi raggiungono
soffici la fiancata/ e colgono il cuore fuori guardia, lo fanno esplodere.”
Cuore esplosivo, dunque, quello di Heaney, ma anche costante, nei suoi
amori e nei suoi temi, pur nella perdurante ambiguità , come
in Punishment, di “artful voyer”.
“Finchè il sole risplenderà
sulle sciagure umane” si potrebbe concludere con Foscolo, o forse meglio,
finché risplenderà il cuore di Heaney, parafrasando dei versi
‘riscritti’ dal citato Bloem: “ Ritmo della marea, invariabile./ Che cos’è
il cuore, che ebbe paura/ sapendo che torna la primavera liberatrice, /cuore
splendente, costante come la marea?”
1 gennaio 2001
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Immagine:
Antonio
Belém,
Phorbéa,
Napoli 1997
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