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Sanguineti
si distacca da Pasolini attraverso l’interpretazione prosaica (de-mitizzata)
del rituale poetico: cioè umiliando il più possibile il ruolo
di “vittima predestinata” (Dario Bellezza, Morte di Pasolini, Mondadori,
Milano 1995, p. 7; quindi, per Sanguineti, nell’intervista – Polemicain
prosa – sul numero speciale di “Liberazione” del 29 ottobre 2000: “[…]
ha avuto un peso decisivo la sua morte. Ne ha fatto per molti, soprattutto
per i giovani, una sorta di eroe pieno di pathos, sventurato, così
come è accaduto con Pavese”). A parte la questione dell’ideologia
(comunismo scientifico contro comunismo estetico) e/o delle forme (avanguardia
contro “largo esperimento”), Pasolini deve apparire il portavoce di una
ritualità che impone la differenza e la morte: in questo senso,
la morte fisica conclude una (auto)predestinazione poetica e profetica,
imposta nella scrittura (cfr. la parte mitica e sognata di Una disperata
vitalità, e in generale le ipotesi di Bellezza in Morte di
Pasolini e in Ferdinando Camon, Il mestiere di poeta, Garzanti,
Milano 1982, p. 220: “Lui ha voluto quella morte lì, l’ha cercata,
l’ha prefigurata, l’ha individuata, l’ha anticipata, l’ha raccontata, e
alla fine è avvenuta”).
L’evoluzione
di Sanguineti trasforma il rito suicida in una poesia-gioco, più
o meno grottesca e auto-riduttiva, sia nella potenza sia nella conformazione
dei temi: ad esempio, l’ostentazione della paternità e della famiglia,
cioè di una forma di vita activa che offre altra vita al
futuro, “(e il momento / più felice della mia vita, ho risposto,
sono stati tre momenti: e ho detto quali):” (Reisebilder). L’“Altro”
omicida e ‘sacro’ si tra-duce in un “altro” colloquiale e minuscolo (moglie,
figli, amici, sesso, incontri sporadici: Reisebilder più
forme di poesia depotenziata, giochi, acrostici, riscritture, ecc.). Lo
schema segreto per cui il sensibile (ateo ma religioso) è ‘mortale’
e l’insensibile (totalmente ateo) è ‘vitale’ trasforma il “genus
poetice narrationis” (Dante, Epistola a Cangrande, X [28]) in antropologia
‘ideologica’: o tragedia (dall’estetica – il corpo ‘sente’ – alla distruzione
del corpo: un canto “fetidus ad modum hirci”) o commedia (dal Laborintus
alla poesia di viaggio: “prospere terminatur”). O salute o malattia, secondo
le impressioni di Camon (Il mestiere di poeta, cit.): “voce malata”,
“occhi stanchi ma fermi”, “voce fievole”, “quando è provocato e
soffre” (Pasolini: p. 141); “colloquio calmo ed estremamente cordiale”,
“imperturbabilità”, nello “studio più bello in cui mi sia
capitato di trovarmi nella serie di incontri con poeti” (Sanguineti: p.
183). Nel secondo l’“imperturbabilità” si unisce facilmente al ‘gioco’
e al “travestimento”: la famiglia e l’ironia dis-‘angelicano’ e raffreddano
il poeta in quanto ‘diversità’ (vittima sacrificale, maudit,
schizofrenico)
Dante
e Guido Cavalcanti. Il dissidio per la “Vita Nuova” e il “disdegno” di
Guido, Salerno ed., Roma 1997) – lo scontro riguarda il primato della
Ragione rispetto alla Passione: l’armonia o la disarmonia (piacere-vita
o dolore-morte, continuazione o autodistruzione) nell’incontro con l’Altro
da sé. Nel momento della ricostruzione storica, tutto questo forma
un nuovo problema: l’esistenza nell’arte di questioni di ‘destino’, ‘rito’
e ‘mito’ – fenomeni di elevazione o crollo dell’io, che in questo eroismo-vittimismo
è un ultra-io esaltato – accanto all’‘espressione’, la cui altezza
dipende dal fenomeno opposto: la dissoluzione dell’io “dell’uomo Archiloco”
(“non genio”), da depsicologizzare in un “genio lirico” (Nietzsche, La
nascita della tragedia, 5). Il percorso vitale dello stesso Nietzsche
contiene entrambe le possibilità. 4 gennaio
2001
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