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DOMENICO CIPRIANO: “Il continente perso” introduzione di Plinio Perilli nota di Paolo Fresu 2000, Fermenti editrice, Roma pag. 112, Lire 18.000 Il trentenne Domenico Cipriano, in questa composita raccolta, vincitrice della sezione ''Proposte” del premio Camaiore,, ci trasmette un messaggio maturo e profondo, da analizzare nelle sue varie sfaccettature, specchio di una voce originale, di una dizione elegante e sicura, dove temi, desideri, storia e natura si compenetrano, sottesi ad uno stile sicuro che fa di questo autore una tra le presenze giovani più interessanti del panorama poetico italiano. Il testo, scandito in diverse sezioni, o, per usare un termine musicale 'movimenti', visto che esiste una musicalità nel dipanarsi dell'unitarietà di questo libro architettonicamente ben calibrato, presenta, e probabilmente ne è emblema anche il titolo 'Il continente perso', una forte tensione giovanile che si proietta, (non per niente è un'opera uscita all'inizio del terzo millennio), verso un'ansia di libertà, di storia nuova, per sconfiggere l'alienazione, per cercare un senso profondo: se poi quel continente potrebbe essere delineato per traslazione, nella dimensione temporale, anche in un secolo, il '900 che ci lasciamo alle spalle, ma che nemmeno un rappresentante, nato dopo le guerre, può guardare con indifferenza, non si può non avvertirne il senso di perdita, che anzi può stimolare il poeta, in un'epoca ancora consumistica, caratterizzata anche dall'avvento prepotente nel bene e nel male di Internet e e-mail, a sviluppare con strumenti e procedure raffinate il suo discorso, a scrivere, scavando, un'immagine della 'sua' realtà e della realtà occidentale, trasfigurata e ricomposta, attraverso la scrittura, per essere più vivibile e umana. Si respira in questi versi la presenza di un fare, di un 'poiein' immediato e fresco, ad un primo livello di lettura, di osservazione, quando poi, ad un livello più profondo, si notano gli strumenti di uno stile consapevole, proiezione di un'intelligenza, di una cifra raffinata.. Quando la percezione della natura si delinea in un tempo remoto, che però non può essere rimosso, proprio per divenire capaci di delineare la propria condizione generazionale alla ricerca della propria identità, ci accorgiamo dell'armonioso equilibrio di temi dei quali si diceva: “ Verrà un 29 (ventinove)/ di uva matura negli orti/verrai, dissidio con gli avi/-poeta- a raccontarti.*** Sono figlio/ della libertà dei popoli/ amo il rispetto /della gente,/della fede./ Dell'infinità di questi luoghi/ verso profumi e parvenze/ ti attendo, ispirazione, a denudarmi”: in questo, che è il componimento di apertura, è detto tra le righe l'intento, velatamente programmatico del giovane poeta, di essere una persona che sappia vivere, in pieno il proprio tempo, cercando, come punti di riferimento, come bussola, la constatazione di essere un figlio della libertà, con la consapevolezza, d'altro canto, però che in quel giorno dell'uva ormai matura, quando verrà il poeta (che potrebbe essere Domenico stesso), ci sarà un dissidio con gli avi, precursori di avvenimenti che il giorno del raccolto non può dimenticare, anche nell'incantevole aprirsi di una natura che non può finire... “Non liberiamoci del passato/ le famiglie hanno sofferto/ la Storia. Ogni epoca/ pena la guerra, la nostra/ senza fucili contro la natura./ I padri sanavano ferite/ senza aiuti nelle famiglie/ sempre immuni dal peccato./ Hanno portato le sementi/ della vita, noi sicuri della libertà/ le abbiamo sbiadite. Gli anziani/ in compagnia del fuoco/ che non arde, custodiscono/ ciò che non torna nei ricordi.”; anche in questo componimento, le ferite dello stacco generazionale si fanno sentire, un'afasia, uno sfasamento memoriale (gli anziani che hanno immagini da custodire, pur avendole dimenticate), vive il suo dramma in un giovane che , come i suoi coetanei, si confronta criticamente con la vita che è anche provenienza e apertura verso prospettive e valori, aspettative che vengono spesso tradite in questo postmoderno che spesso disillude e trova, come in questo caso un riscatto morale nella poesia, nella parola. Il tema del riscatto, che serve a Cipriano a ritrovare la propria identità di uomo e di poeta, è in stretta connessione con la musicalità e ritmicità di questi componimenti, alla quale sopra si accennava e che coinvolge i rapporti tra poesia e musica; scrive Paolo Fresu in una nota a questo testo:- Non credo di sbagliare nel dire che è ancora una volta il Jazz, attraverso il linguaggio della poesia, lo strumento del riscatto di Domenico Cipriano. Un Jazz alcune volte accarezzato, sussurrato alcune volte imposto o volutamente sottolineato nella forma ritmica del testo o nell'apparente casualità e consequenzialità di un ordine fonetico della parola.- Non a caso l'ultima sezione del libro s'intitola Free Jazz (L'assolo gioca strabiliato/ la granularità del fiato/ canto orfico notturno/ vacilla dallo stereo d'auto/ del pianista sfiancato taciturno/ nel triste viaggio di ritorno...). Quella tensione, quel gioco libero e arioso e nello stesso tempo sorvegliato, nel quale emergono assonanze e rime e che si nota anche nelle altre sezioni del libro, qui si fa, incalzante, vibrante, come un brano jazzistico, a dimostrazione della poliedrica scrittura di questo autore che anche dal rapporto della parola poetica con la musica riesce a filtrare e a definire testi luminosi e intriganti. 10 gennaio
2001
Indice della sezione Indice generale Immagine: Antonio Belém, Phorbéa, Napoli 1997 Per informazioni, si prega contattare: Otto Anders |