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Tanto per cominciare, puoi dirci qualcosa a proposito della tua giovinezza nel Bronx e delle tue origini familiari? I miei nonni erano Ebrei russi, ma i miei genitori sono nati a New York City. Sono cresciuto nel Bronx in un ambiente sociale in prevalenza fatto di Ebrei e Italiani, nella strada dove Amadon Diallo fu ucciso barbaramente dalla polizia (quella strada, Wheeler Avenue, è oggi abitata da Afro-americani o immigrati africani e caraibici come Portoricani o Haitiani). La mia famiglia è sopravvissuta alla Depressione e alla Seconda Guerra Mondiale. Mio padre, Steve, faceva l'agente assicurativo. Mia madre, Nellie, non lavorò fino alla fine della guerra, così io avevo la sicurezza di mia madre a casa per me e mia sorella Cynthia. Non avevamo molti soldi, ma il lavoro di mio padre sembrava sicuro. Mia madre diceva che eravamo "bassa classe media", ma in realtà mio padre era solo un operaio in fuga dalla miseria del Lower East Side. La mia famiglia aveva molti amici e c'era un forte senso di comunità nella strada. Mio padre era attivo come capitano di ronda anti-aereo durante la guerra, era noto come persona divertente nel quartiere e come un tuttofare. Aveva grande energia, era un uomo capace di grande compassione ma a tratti tirannico; ha avuto una grande influenza su di me. Quando cominciò a scrivere una colonna per il "Pythian Newsletter" in uno stile che imitava Walter Winchell, aprì per me un mondo di giochi di parole e puns. Quali furono
le circostanze che determinarono la nascita di una consapevolezza politica
nella tua adolescenza? Avevo 12
anni quando la guerra finì e non conoscevo virtualmente nulla del
mondo politico e intellettuale. Dopo la guerra mi unii a una banda di Ebrei
chiamata "i Maccabei", che si incontrava nei clubs o negli scantinati del
vicinato. Nell'aria c'erano in quel periodo i processi ai Nazisti e la
sfida rappresentata dalla nascita di Israele, ma io ero meno consapevole
di tutto ciò che del semplice stare con un gruppo di amici facendo
cose insieme. Stampavamo un piccolo periodico in lettere viola su di una
pagina lucida, è stata proprio la mia prima esperienza con la stampa.
In occasione della festa di quartiere per la fine della guerra, scrissi
la mia prima poesia, per quanto ricordo, una poesia-canzone dal titolo
Ring, Ring, Ring the Bells of Freedom, che ho anche cantato. Eppure
la mia consapevolezza politica all'epoca dei clubs era virtualmente nulla.
Come la maggior parte, ero interessato a fumare, e, quando negli anni seguenti,
la banda (che giocava a softball e hockey) fece alcune sciocchezze con
gli spacciatori che aveva attirato nel Bronx da downtown, mi ritirai dalla
scena e divenni un adolescente solitario. Quali furono
i tuoi primi modelli poetici? Avevi una qualche percezione del panorama
poetico contemporaneo, Williams, Pound, etc.? William
Carlos Williams sedette vicino a me in una lezione di poesia al CCNY (il
college più radicale di New York all'epoca) nel 1953. Era venuto
lì per parlare e leggere. A quel tempo, non ero addentro al suo
lavoro. Allora, ero più attratto dagli Europei, come Dylan Thomas
e Paul Eluard. Per quanto
riguarda Pound, all'epoca del suo processo, ebbi dei terribili alterchi
con mio padre che lo condannava come traditore e, ciò che era peggio
ai suoi occhi, anti-semita. Io naturalmente stavo con Hemingway e Frost
nella loro difesa di Pound in considerazione della sua "follia". In effetti
rimasi su queste posizioni fino alla fine degli anni Cinquanta quando si
seppe che, per mezzo di uno studente neo-fascista della Columbia University,
John Kaspar, che stampava un foglio stile Klu Klux Klan, Pound scriveva
merdate fasciste dal suo ospedale a Washington, D. C. Da quel momento in
poi non ho mai smesso di denunciare quell'impostore che ha tanto fatto
per sostenere il razzismo delle istituzioni. Cosa ricordi
dei tuoi esordi poetici? Eri a conoscenza dell'esperimento del Black Mountain? Ho già
ricordato la prima poesia che scrissi e cantai. Nel college cominciai a
scrivere poesia - veramente nei turni di notte come fattorino dell'Associated
Press a New York (1951-55). Tra le mie prime poesie, pubblicate nella rivista
del college, Promethean, c'era un componimento in memoria di Dylan Thomas
abbastanza valido (sebbene chiaramente un'imitazione). Thomas aveva dato
la sua ultima lettura al CCNY prima della sua bisboccia finale e della
morte. Accanto
all'Associated Press c'era il Gotham Book Mart, un centro per Joyce-dipendenti
(e io stavo studiando Joyce all'epoca) e per cultori della poesia moderna.
Su di una scaffalatura vicino alla porta un giorno del 1952 o '53 m'imbattei
in un libro, In Cold Hell, di Charles Olson. Ricordo di aver notato la
libertà del verso e del fraseggio, ma io stavo evolvendo più
a sinistra e fui più colpito da "Let the Railsplitter Awake" di
Neruda, quella grande poesia sugli anni di McCarthy (l'"Ode on the Death
of Dylan Thomas" di Kenneth Rexroth e la poesia di Neruda sono le poesie
politiche "pubbliche" più importanti nelle Americhe prima di Howl
nel periodo postbellico). Quali sono
state le maggiori influenze, anche dal punto di vista formale, sulla tua
produzione negli anni Cinquanta? In Europa:
Dylan Thomas, il Rilke delle Duino Elegies, Paul Eluard e G. M. Hopkins.
In America, mi interessavano le compatte risonanze di Hart Crane, come
anche la sua idea di una poesia lunga, inclusiva di spazio e tempo e capace
di differire le trame del leitmotiv. Senza dubbio Joyce, che era un poeta
per quanto migliore in prosa, è stato un altro modello implicito. Quale fu
l'evoluzione del tuo rapporto con la forma aperta? La forma
aperta mi arrivò in maniera differente. Non sto parlando di "verso
libero", che già era dato per scontato. Ironicamente,
fu Majakovskij - in una traduzione di H. Marshall, con le sue buffe rime,
che miravano a un'apertura al livello della strada - ad attirare la mia
attenzione. All'incirca al tempo della pubblicazione di Howl mi feci dare
da un amico, Victor Erlich, la traduzione delle poesie futuriste di Majakovskij
(allora non conoscevo il Russo, lo avrei imparato in seguito). La mia intenzione
era di tradurre le poesie in "Americano", dal momento che la traduzione
di Marshall era troppo metallica nella sonorità. Più o meno
nello stesso tempo, siccome Ginsberg stava cominciando a portare all'aperto
molte differenti tendenze della poesia americana, e poeti come Robert Creeley,
Robert Duncan, Stuart Perkoff e altri, con Olson, venivano associati ai
nuovi metodi di composizione, divenni consapevole della "forma aperta"
nella poetica americana. Qual è
stata l'occasione del tuo accostamento al Communist Party? Non il Communist
Party ma il Communist Labor Party, un gruppo più piccolo ma con
più principi. Ho aderito a tale partito nel 1980, sebbene fossi
stato impegnato con i compagni saltuariamente dal 1977. Ho aderito perché
- parlo come poeta - (a parte il mio sviluppo come militante politico)
l'avanguardia culturale era morta, i Beats erano invecchiati e diventavano
accademici con nient'altro che la droga come weltanschauung (io avevo smesso
la droga nel 1967). La rivoluzione politica dei Sandinisti del Nicaragua
mi spinse a un impegno più diretto nel mio proprio paese. Il CLP
non era trotskysta, ma genuinamente marxista-leninista. Si è sciolto
nel 1992, non attraverso uno scisma interno, ma volontariamente, per ricercare
un altro terreno nella presente epoca tecnologica. Quattro anni più
tardi, dopo molte analisi, battaglie di strada, prigione, etc., fu fondata
la Lega dei Rivoluzionari per una Nuova America. Oggi sono membro di questo
gruppo. Qual è
stato il tuo coinvolgimento nei movimenti di protesta degli anni '60? Avevi
rapporti con le Black Panthers o con altri esponenti della contro-cultura? Si potrebbe
dire che, dalla crescita del Movimento per i Diritti Civili, il movimento
contro la guerra e gli attacchi della polizia contro le Black Panthers,
scrivevo per rabbia, nella rabbia, e che quella rabbia era parte della
New Left. Francamente, non mi identificavo consapevolmente in quanto tale,
mi identificavo fortemente con le lotte dei Neri. Ciò ha influenzato
profondamente la mia poesia. Ma non ho mai dato troppo credito a gente
come Leary, perché avevo l'intuizione - che si è dimostrata
corretta - che chiunque innalza la bandiera della droga e parla della rivoluzione
non realizza pressoché nulla politicamente. Qual è
stato il tuo coinvolgimento nel sistema accademico americano e perché
ne sei uscito? Feci alcune
cose "contro lo stato". Fondamentalmente, assunsi una posizione di guerra
contro la guerra del Vietnam, e cercai di risvegliare i miei studenti alla
realtà nella quale stavano vivendo (c'era un tavolo per il reclutamento
nell'esercito fuori dell'aula dove insegnavo). Fui licenziato lo stesso
giorno in cui ricevetti un riconoscimento dagli studenti per essermi distinto
nell'insegnamento; cioè, la riconferma nell'incarico fu rifiutata.
Ero così arrabbiato per l'ingiustizia subita, che volsi le spalle
all'insegnamento nel mondo corporativo, voglio dire il sistema universitario
statale degli U.S.A., e non ho mai, nemmeno per un istante, rimpianto quella
decisione. In ogni
caso, il mondo accademico è diventato più corporativo dagli
anni Sessanta; ma costante in questi anni - non potrò mai ripeterlo
abbastanza - c'è stato l'effetto dell'attacco alla comunità
intellettuale nei tardi Quaranta e primi Cinquanta da parte di Joe McCarthy.
Il suo attacco fascista ha lasciato il mondo accademico terrorizzato nel
rapportarsi alle verità elementari della lotta, in pratica le verità
elementari di ogni tipo. Il risultato è che gli accademici sono
fondamentalmente privi di coraggio quando dovrebbero essere vibranti di
inquietudine e protesta. Quali erano
le tue affiliazioni poetiche durante gli anni Sessanta? Le mie reali
affiliazioni poetiche negli anni Sessanta erano un in gruppo di poeti di
Los Angeles, San Francisco e Londra e di artisti verbovisuali. A Los Angeles:
Wallace Berman, George Herms, Dean Stockwell e Russel Tamblyn. A San Francisco:
David Meltzer. A Londra: Asa Benveniste. Leggevo naturalmente poeti come
Denise Levertov e Robert Duncan, e potevo identificare i miei sentimenti
di rabbia con la poesia di Amiri Baraka. E Allen Ginsberg naturalmente
è stata una figura profetica attraverso tutto il decennio. Nel mio
libro, Black Alephs, pubblicato a Londra nel 1969, che esprime le influenze
di quel decennio di viaggi e amici e lo sviluppo della mia consapevolezza
poetica e che è influenzato da tutti i suddetti poeti, c'è
una poesia che considero la più riuscita del libro. Si intitola
"Europe", e sebbene fosse concepita come un ditirambo concentrato e non
nella "forma aperta", vi si avverte un forte presentimento che io associo
alla figura di Charles Olson (che avevo nuovamente incontrato in Europa
negli anni Sessanta dopo averlo visitato a Gloucester nel 1961). Fu il
lavoro di Olson, dopo la sua morte, negli anni Settanta - o piuttosto il
presentimento di Olson in riferimento all'energia degli inizi - che è
parte dello sviluppo inconscio che è giunto a frutto con i miei
Arcanes. La maggiore influenza in queste poesie lunghe non è naturalmente
una persona o un poeta in quanto tali, ma una concentrazione sui potenziali
di una classe di persone e il loro processo di sviluppo in quanto tali.
Ma il presentimento di Olson - dal momento che il suo lavoro s'imbatte
nella scoperta, e mostra le radici indicando la luminosità orginaria
- è molto importante nella idea che ho della mia opera Arcanes. Quali sono
le origini del tuo approccio (iper)realistico all'oggetto poetico? Il populismo
americano d'inizio secolo, la fattografia di Majakovskji o l'oggettismo
di Olson? Mi piacciono
le poesie di guerra di Sandburg, quelle che leggevano i soldati americani
quando gli U.S.A. e l'U.R.S.S. erano alleati, ma né la sua opera
né quella di Lindsay hanno esercitato una vera influenza sulla mia.
Il "realismo" o elemento giornalistico al quale credo tu stia facendo riferimento,
nel caso del mio lavoro, deriva da due direzioni: primo, lo scrivere come
giornalista per un settimanale del Bronx quando avevo 15 anni e mezzo.
Il senso del "fatto" mi ha sempre interessato. In secondo luogo, la lotta
di classe è basata sulla comprensione, per usare le parole preferite
di Lenin, di ciò che sta veramente accadendo. In poche parole: la
classe lavoratrice e la nuova classe di proletari ti obbligano a interpretare
la vita (e le immagini) in una maniera realistica. In che modo
credi che abbiano influito sul tuo senso del ritmo poetico le forme del
jazz sperimentale e la poetica Beat? Le forme
del jazz hanno avuto un profondo effetto sulle mie poesie, anche se la
tessitura superficiale non lo rivela. La ragione è che il jazz come
forma d'arte - specie nella modalità strumentale - entra in tutta
la poesia americana. Addirittura, si potrebbe dire che la "forma aperta"
nella scrittura è un altro modo di rimandare agli effetti del jazz. L'argomento
è complesso. E' molto difficile scrivere una poesia jazz in quanto
tale. Ho letto infinite poesie sul jazz, sulle figure del jazz, ma solo
poche poesie che sono veramente poesie jazz. Allo stesso tempo, il jazz
strumentale, con le sue epifanie e il suo blues, è un invisibile
accompagnamento in molta poesia scritta nello stile della forma libera
dopo la Seconda Guerra. Ciò è naturale dal momento che il
Movimento per i Diritti Civili è il centro degli ultimi 50 anni. In che modo
è possibile fare poesia politica, senza cadere nel vizio della propaganda
o della retorica? Voglio dire, la tua poesia mi sembra realizzi un'ottima
compenetrazione tra il contenuto politico, l'imagerie surrealista e la
forma "proiettiva": come si realizza o in che direzione va ricercato questo
equilibrio? Ti riferisci
in particolare ai miei Arcanes, le mie poesie più lunghe, ispirate
al "campo" o al "processo", e ti ringrazio per il complimento. Ma nelle
poesie più brevi, le poesie scritte per cortei o anche per accompagnare
azioni politiche (come, per esempio, irrompere in un edificio sigillato
e occuparlo per conto dei senzatetto) ti assicuro che scrivo dichiaratamente
in un tono propagandistico. Credo nella retorica della persuasione politica,
e forse questo mi differenzia da altri poeti. La maggior parte di loro,
per esempio, nel mio modo di vedere la cosa, scrivono lo stesso propaganda
- ma una propaganda che dice: vedi come questo sistema corporativo-capitalistico
mi sta permettendo di essere sperimentalmente libero. E fanno a gara per
essere il poeta più sperimentale e innovativo di tutti, ma in questo
processo rinunciano alle loro reali responsabilità verso la nuova
classe di poveri e anche ai vecchi legami di classe. La Lega
dei Rivoluzionari per una Nuova America è molto interessata alla
"visione", a nuove visioni per il futuro, e questa è una delle ragioni
per cui al suo Congresso nel 1998, è stata ricordata la poesia di
Walt Whitman, come anche la poesia dell'italiano Ferruccio Brugnaro, presente
a Chicago per il Congresso. La questione
della "retorica" è per ammissione generale cruciale. La poesia stessa
è una forma di persuasione seduttiva, attraverso belle combinazioni
di suono o immagine, o l'ampiezza e profondità delle idee, o il
presentimento dell'io del poeta: seduce attraverso l'evocazione. Ma c'è
una poesia di più ampie identificazioni fisiche - vengono in mente
l'io democratico di Whitman e la quotidianità rivoluzionaria di
Mayakovskyi - in cui i confini retorici sono amplificati. Parlando
retoricamente, molto tempo fa ho abbandonato la scena letteraria con le
sue sciocche competizioni egoiche, per scrivere essenzialmente di e per
una nuova classe di persone, per aiutarle a capire che essi rappresentano
una nuova classe rivoluzionaria. Questo tipo di lavoro implica una persuasione
verbale che è più difficile del semplice recitare il proprio
io sulla pagina. In che modo
il Surrealismo ha contribuito alla tua pratica dell'immagine poetica? Tessiture
surrealiste sono sempre esistite in ogni fase della mia vita poetica. Un'amica
adolescente, Teri Winter, mi introdusse all'opera di Paul Eluard. C'era
il grande film di Cocteau, Orphée, una grande influenza su tutti
noi. Robert Kelly era alle stesse mie lezioni al CCNY e sebbene avesse
solo 17 anni era straordinariamente precoce e poeticamente addentro al
surrealismo. In seguito lui e Rothenberg misero insieme Francese e Spagnolo
- l'immaginario del duende di Lorca, per cercare di far progredire il surrealismo
negli Stati Uniti. Nei tardi anni '60 - a Los Angeles come in Europa -
ero in contatto con poeti e artisti (alcuni dei quali ho nominato più
su) che si sarebbero potuti dire surrealisticamente consapevoli all'interno
della crescente dimensione dei nuovi idiomi culturali americani. C'era
anche una sorta di Kabbalismo "hip" nei confronti delle lettere delle parole,
e delle parole come immagini visuali. L'opera di Wallace Berman risalta
fortemente in questo contesto, come anche quella di David Meltzer, l'opera
grafica poco conosciuta di Dean Stockwell, e le poesie di Asa Benveniste.
Noi della West Coast stavamo producendo cose differenti, i Deep Imagists
erano più dell'Est; noi eravamo più sul verbovisuale, eppure
una tessitura surrealista era alla base di entrambi i gruppi e, infatti,
poco prima che lasciassi Venice e l'area californiana per iniziare la mia
vita a San Francisco, pubblicai un pamphlet dal titolo Kabbalah Surrealism,
che illustra le mie affiliazioni poetiche, visive e politiche fino a quel
momento (1971-71). Quattro
anni dopo, a San Francisco, scrissi un saggio ancora inedito dal titolo
Kabbalah Cyricillism, che è basato sull'uso della lingua russa
- che avevo imparato nei miei primi anni a San Francisco - in riferimento
alla poesia, le strade, la vita a San Francisco. Chiaramente, nel gioco
di parole, un senso di surrealtà era ancora presente in me, sebbene
non fosse né la vecchia varietà francese né quella
del Deep Image o dell'Arsenal (Chicago). Il mio punto di vista era tale
che misticismo e Marxismo lavoravano insieme. Jerome Rothenberg
ha scritto che il rivoluzionario e il poeta sono spesso rivali nella storia,
ma che la loro unione potrebbe ricostituire il giardino dell'Eden sulla
terra: qual è la tua opinione del rapporto tra avanguardia politica
ed artistica? Gli ultimi
miei venti anni sono stati caratterizzati da un intenso impegno in un lavoro
culturale radicato nel movimento comunista. Ciò significa, semplicemente,
che, (lo spero) ho imparato alcune cose, perché l'impegno rivoluzionario
è una forma elevata di educazione. Per rispondere
alla tua domanda: tutte le persone sono poeti. Ciò che ancora non
c'è è la trasformazione storica che renderebbe possibile
a tutte le persone di realizzare questo fatto. Questa è una delle
ragioni - una ragione culturale - per cui mi sono unito a coloro che credono,
con Marx, che gli esseri umani possono cambiare le condizioni della loro
esistenza. Naturalmente,
il poeta e il rivoluzionario sono combinati al livello dell'azione - sia
essa azione culturale come forma di educazione, o azione politica (come,
per esempio, un corteo o uno sciopero nei quali la poesia è usata
come un'arma d'emergenza) - dal momento che entrambe sono implicate nello
sviluppo della vita visionaria, la parte più intima dell'io proiettando
tale vita in avanti, quella più esterna rendendo la proiezione palpabile. Qual è
la tua idea di ordine nel contesto della forma poetica? L'ordine
per me è qualcosa che si ottiene come presenza evocata. Presenza
di cosa? Di se stessa. Per me, la presenza poetica reale ha tre elementi:
il senso di durata nella poesia e la risonanza dell'immagine e dell'idea,
nella loro messa in scena drammatica nel movimento della poesia. Il terzo
elemento è il grado di interiorità - col quale intendo la
"verità" - che è capace di essere presa di petto e di emergere
nel processo dello sviluppo della poesia. Tutti e
tre elementi possono produrre un senso di ordine, non importa la lunghezza
o anche l'argomento della poesia. L'ordine
che chiamiamo caos (o anche disordine, se vuoi - per me, è semplicemente
un tipo di ordine artificiale delle cose, come anche di noi stessi) costituisce
semplicemente per noi una sfida ad entrare nella lotta per rivelare il
vero ordine naturale in quanto cosciente del processo della trasformazione. Come si
colloca la tua produzione poetica nell'ambito dell'establishment letterario
americano e del sistema editoriale? Fino a oggi
ho pubblicato - includendo le mie poesie, libri che ho tradotto e che ho
curato - più di 100 libri, fascicoli e pamphlets. La maggior parte
sono stati prodotti da piccole case editrici, alcuni li ho prodotti da
solo. Incontro un amico, salta fuori un libro. La scena "editoriale" di
New York mi fa cagare. Faccio una netta distinzione tra poesia e letteratura.
La maggior parte della roba di New York - tutta quella intelligentsia da
premio letterario - appartiene alla letteratura. Non vedo in realtà
una grande poesia oggi negli Stati Uniti. Se si giungesse a una svolta
rivoluzionaria, svuoterei le accademie di letterati e poetucoli per mandarli
alla scuola della strada. Forse da alcuni di loro potrebbe venire fuori
una poesia realmente visionaria. Ammesso che escano dall'universo dell'editoria
corporativa e accademica. Che sviluppi
possibili di un processo rivoluzionario su scala planetaria vedi nel presente
scenario mondiale? La capitalistizzazione
del mondo sta creando una nuova classe di poveri su scala globale, una
nuova strada. Le voci del futuro verranno da lì. La svolta
è in realtà già accaduta, e la prima consapevolezza
di ciò è riflessa (credo) nella resistenza della parte femminile
della coscienza - non importa se negli uomini o nelle donne - alle oppressioni
materiali compiute a danno dei poveri. Questo non è femminismo,
ma un'espressione d'avanguardia di questa nuova classe di proletari. Nuovi
poeti emergeranno con visioni delle possibili trasformazioni da realizzare
quando i popoli del mondo si uniranno come forza globale. Una domanda
scontata: quali sono state le tue posizioni in merito al ruolo degli U.S.A.
nella Guerra dei Balcani? Il mio Pristina
Arcane cerca di parlare di quella difficile guerra. Mettiamola in questi
termini: l'esistenza dell'Unione Sovietica - persino nella corrotta forma
revisionista del dopoguerra - è stata utile a tenere il coperchio
sulla diffusione sotterranea di quello stato razzista che è stato
la Germania nazista. Il Kossovo e la sua guerra etnica con la Serbia è
un altro esempio della diffusione di questa malattia. Attacchi razzisti
in Italia, Francia e Inghilterra (contro immigranti, zingari e gente di
colore) sono ulteriori esempi della malattia. La differenza è che
oggi l'origine bestiale della malattia sono gli U.S.A., dove gli attacchi
alla gente povera da parte della polizia sono una forma virulenta di razzismo
derivante dal fatto che gli U.S.A. contagiano il resto del mondo post-industriale
nella loro spinta alla modernizzazione, cioè livellano il mondo
a una superficie di "democrazia" consumistica borghese, mentre allo stesso
tempo catalizzano lo sviluppo di stati basati su legge-ordine-polizia per
proteggere il dominio del Dollaro - il cui segno sta mutando in una svastika,
un simbolo più morbido e rassicurante in quest'epoca di denaro e
prodotti globalizzati. In conclusione,
puoi dirci qualcosa sulla tua attività di traduttore di poesia,
specie in ambito italiano? Ho tradotto
le poesie di Ferruccio Brugnaro (Fist of Sun: Curbstone Press), perché
scrive da e per i bisogni reali in uno stile che è diretto, sincero,
potentemente impegnato e libero da balle letterarie. Credo che l'opera
di Ferruccio - poesie scritte ai ritmi della fabbrica - appartiene al tipo
della pura e semplice lotta che sta per emergere in altri in quest'epoca
di alienazione e disorientamento tecnologici. Penso che
Pier Paolo Pasolini è stato il più importante poeta italiano
di questa generazione. Quelli che dicono che è morto da 25 anni
dovrebbero rileggere la sua opera. E' stato un lucido profeta dei nostri
tempi, e non finisco di stupirmi per la sua lungimirante visione. Provo anche
un grande amore per l'opera di Rocco Scotellaro, che è stato il
primo sindaco socialista nell'Italia del dopoguerra. Il mondo di
cui scrive può essere "finito" nell'opinione dei più, ma
per me Scotellaro è ancora capace di evocare il confine tra contadino
e proletario che è una costante della sensibilità italiana. Infine,
ho anche tradotto e pubblicato in Sicilia nel 1980 l'opera del poeta siciliano
Santo Calì. Le sue opere - alcune tra le più belle poesie
d'amore mai scritte - in Siciliano come anche in Italiano - dovrebbero
(finalmente) essere conosciute dal grande pubblico. Della scena
culturale italiana, paragonata a quella americana, ho una visione chiaramente
soggettiva: sono un comunista e il mio paese mi ha emarginato per la maggior
parte della mia vita. L'Italia ha capito che appartengo all'"altra America",
quella dei 60.000.000 di poveri, per lo più senza una voce da levare
contro il crudo e crudele mondo del denaro. Certo, gli U.S.A. non hanno
contraccambiato i poeti italiani, che vengono per la maggiore parte accademizzati
e resi letteralmente inutili. Ecco perché sono particolarmente felice
di aver portato Ferruccio Brugnaro negli States. Un epocale incontro degli
Americani con un grande poeta della classe lavoratrice. Questi
sono i veri scambi culturali e spero che ce ne siano di più nel
futuro tra di nostri due paesi. Indice della sezione Indice generale Immagine: Antonio Belém, Phorbéa, Napoli 1997 Per informazioni, si prega contattare: Otto Anders |