|
||
Annamaria
Ferramosca,
Il versante vero, Roma, Fermenti, 1999, pp.96, Lire 20.000
Si
stenta a credere che Il versante vero di Annamaria Ferramosca sia un libro
d’esordio: la scrittura è precisa e lievitata insieme, le immagini
limpide, il dettato profondo e circostanziato, con qualcosa di magico che
scatta in balenii lirici e subito
si riavvia in narratività pacata, in partecipata “confessione”
. La
prima sezione, Le tracce, i fuochi , portano il lettore in una scorribanda
inquieta di luoghi reali e tuttavia ogni
luogo subito
diventa momento dello spirito, radura in cui s’addensano ansie e lacerazioni,
esaltazioni e ripensamenti. Il viaggio compiuto da Annamaria non si muove
secondo coordinate stabilite e seguite a puntino, ma come un andare alfieriano
avido di conoscere ma più avido ancora di raggiungere esperienze
per ripartire alla conquista di altri luoghi, magari inesistenti, inventati,
Luoghi dell’anima.
Istanbul così appare trasformata nel desiderio
e diventa città del proprio essere, fantasma e illusione di una
rigenerazione che in questo libro non perde mai di vista l’orizzonte. Se
ci si fa caso, l’orizzonte torna e ritorna in queste poesie, soprattutto
in Domande ritmiche, a dimostrazione
del fatto che la poetessa si pone nell’impossibilità di andare sempre
oltre se stessa e oltre la realtà, alla ricerca di quella veritàche
sembra a portata di mano quando lei è nel momento di grazia e che
invece le sfugge di mano come un’anguilla appena vi entra o con dolcezza
o con prepotenza. Le
ore disarmanti Va
segnalato, dunque, con forza, Il versante vero, e non come una promessa,
ma come una realtà che ha già una sua identità forte
e decisa, una sua voce autentica e compatta.
Indice della sezione Indice generale Immagine: Antonio Belém, Phorbéa, Napoli 1997 Per informazioni, si prega contattare: Otto Anders |