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Poetry Wave
 
 

Recensioni e note critiche
Sulla poesia di Camillo Pennati
di Raffaele Piazza


Camillo Pennati, nato a Milano nel 1931, nella poesia italiana novecentesca ha sempre seguito un percorso autonomo, defilato dalle correnti e dalle mode, nettamente in controtendenza, anche se ricco di prove importanti, sugellato da tre raccolte pubblicate nella collezione di poesia Einaudi e una per lo Specchio di Mondadori.
Il primo dato emergente dalla lettura dei suoi testi, della sua opera, è quello di una ricerca, personalissima, si diceva, ma costellata dalla costante di una evoluzione verso una rarefazione del discorso; la sua poetica e il suo stile hanno subito, nel tempo sempre, attraverso un lavoro di approfondimento, un processo di perfezionamento, pur permanendo in lui la costante di un fare poesia particolarissimo, che non è caratterizzata da fasi differenti, da mutamenti nella sostanza, anche se il registro espressivo è stato sempre in evoluzione verso un tono più alto.

Il dato che, appunto, si vuole mettere in luce, il fondamento che si ripete di volta in volta nei suoi testi, è la natura, o meglio il rapporto del poeta, dell’io lirico, a volte anche idilliaco con il paesaggio esteriore che lo circonda; del resto questo si evince facilmente da alcuni dei suoi titoli, Erosagonie (1973), Sotteso blu (1983) L’iridato pasaggio (1985), Gabbiano e altri versi (1990) e La distanza inseparabile (1998). C’è un testo in Sotteso blu che esprime chiaramente quanto si diceva e fa trapelare, negli stessi versi, quella che potrebbe definirsi una dichiarazione di poetica: leggiamo nella sezione intitolata non a caso La bellezza sensibile, il componimento L’identica natura:-“/Mi scorgo in volto l’intero scorrere del tempo/ traverso gli anni della mia presenza in queste forme/ che vanno tramutandosi al pari di animali e piante/ là dove è esterna la parvenza ché appena addentro/ l’identica natura si smarrisce in un elucubrare/ insano nel raziocinante dove diviene mito/ il vuoto che ci stacca dalla fonte e ci separa/ una paura che si colma di preziose astrazioni/ in cui la mente salpa il suo terrore con mostruosi, mentre la vita attorno si ricompie in mutamenti…/. Qui s’incontra, immerso nelfluire di un tempo non precisato, il simultaneo accadere della condizione umana nel suo divenire, quella dell’io poetante, con quella degli altri elementi naturali, le piante e gli animali: non è una crescita o un mutamento che avviene solo, al di fuori, nell’involucro fisico, ma anche e soprattutto interiormente: si cerca inoltre quella sintonia, sempre nell’animo di chi scrive, con quellafonte della mente nel suo proiettarsi verso la possibilità di un armonia con il paesaggio, con l’etimo nascosto dell’alterità, non solo umana, ma anche vegetale e animale, tutto questo per giungere ad un senso più profondo della vita, pur nel limite irreversibile della sua temporalità. Lo stesso tema è quello di Erosagonie, testo nel quale si ci augura, appunto, per il poeta e e per ogni uomo, di raggiungere un essere compiuto, in questo nostro postmoderno così lacerato, come una freccia che raggiunga senza sforza il suo bersaglio, superando in ogni modo la cicatrice del disagio, il senso di solitudine e di inettitudine dei rapporti umani e con le cose.

Quella di Camillo Pennati è, dunque, una natura, e sottoliniamo che anche l’uomo è natura, che nel modo più assoluto non è pittura, ma è una condizione particolarmente avvertita, nei suoi versi luminosi, che va ben oltre una “poetica dello sguardo”, un lirismo fine a se stesso, una descrizione tout-court; nel discorso di Pennati, molto spazio viene lasciato all’intuito dell’uomo che tende a penetrare il senso e tutte le possibilità di sentirsi creatura, attraverso però, anche una cognizione fortemente denotata come psicologica ed espressione di una filosofia esistenzialistica, per cui,c’è, da un lato il movimento della natura che il poeta introietta, ma anche quello del poeta che, dal suo canto, si proietta, molto spesso gioiosamente negli spazi animati al di fuori di sé, per giungere ad un rapporto migliore con la vita in tutte le sue manifestazioni, per fare in modo che sia, / …vita e non esistere nuotando/…

Se già questi elementi mettono in luce l’originalità della poesia di Pennati, la stessa sua struttura formale e stilistica, presenta caratteristiche uniche: il verso è di solito lungo e le composizioni, anche se tutte generate dallo stesso nucleo ideativo del quale si diceva, comunque mai ripetitive e scandite sempre in sezioni, architettonicamente funzionali al significato, nella loro loro stesura sono sempre, o quasi, prive si segni d’interpunzione, il che dà velocità e musicalità; il dettato quindi pare fluire in un modo magmatico ma sempre sorvegliato, in modo che mai si creino ingorghi sintattici o semantici: attraverso illuminazioni continue, per accumulo, si crea una plastica articolazione, caratterizzata da un lessico spesso prezioso ma mai arcaicizzante; il ritmo è serrato e, prendendo in prestito un termine musicale, pare di essere di fronte all’espressione di una melodia infinita. 

L’interpretazione della poesia di Pennati, mai deve essere meramente, limitatamente, naturalistica, e la sua matrice più profonda la porta in ogni frase a cercare di rompere il silenzio espressivo della natura: l’istanza generativa dell’autore, dunque va sempre ad avvicinarsi verso un punto che l’autore stesso sa che non potrà essere raggiunto, una distanza inseparabile, dunque, quella dalla quale prende il titolo la più recente opera del poeta.

Il percorso di Pennati, di testo in testo va verso la direzione, attraverso un accanimento verbale, che, nella sua leggerezza presuppone uno sforzo della parola per dirsi, per esprimere pensieri e concetti: di volta in volta, di libro in libro attraverso il tempo, nella materia poetica si sottraggono segmenti narrativi, e lo scarto linguistico diviene sempre più evidente, nel dipanarsi nel tessuto verbale, di riflessioni filosofiche ed esistenziali, in una tensione di lucido sogno ad occhi aperti.

14 febbraio 2001


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Immagine:
Antonio Belém, Phorbéa, Napoli 1997


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