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Roberto Bertoldo, Nullismo e letteratura Interlinea, Novara 1998 Questo saggio ha una particolarità
che salta agli occhi prima ancora che la lettura abbia inizio: è
stato scritto da un poeta e narratore, un intellettuale che ha deciso di
spendere molte delle sue energie nel campo della scrittura creativa con
esiti importanti, e tutti sappiamo quanto sia raro che un poeta possieda
una cultura filosofico-scientifica quale quella che il nostro autore può
vantare e qui mette degnamente a frutto. La spina dorsale del saggio è
la polemica contro il nichilismo ("il nichilismo è stato un errore
ottico della cultura newtoniana, ossia moderna, ed è oggi, in più,
un'ingenuità, peggio: un'evasione dall'epistemologia e dai risultati
gnoseologici odierni") al quale viene opposto il "nullismo", una teoria
della conoscenza e della prassi, un atteggiamento nutrito dell'individualità
della persona prima che un metodo, che deve sostituire il nichilismo in
un'epoca di indeterminismo scientifico come la nostra. Il nullismo si propone
per sopportare l'ineluttabile dinamica della materia, e pone "progetti
e progettanti" come parte di quel tutto che è materia in continua
formazione, e che trova quindi il suo senso nell'azione (e non nei suoi
scopi). Con estrema e rara chiarezza - pur all'interno di un discorso tutt'altro
che semplice - l'autore descrive le differenze fra nichilismo e nullismo
("mentre il nulla ontico - leggi nichilismo -, che a rigor di logica non
è nulla, è l'annullamento, il nulla ontologico è il
tutto, il tutto della materia") ed individua il nocciolo del problema:
rivalutare il nulla in quanto "non è annullamento", "il vero nulla
è mai". Mentre per il materialista "il nulla è uno scopo
eterno, eternamente posticipato", per il nullista "il mondo non è
una prigione, lo diventa se gli si inventano finestre dietro alle quali
si mette il paradiso terrestre. Senza false finestre il mondo non ha limiti
[…]. Di fronte al mondo, date le spalle al nulla, l'uomo deve recuperare
anche se stesso come individuo […]. Il nullista non crede alla possibile
percezione dell'oggettività, neppure a ben vedere può credere
sicuramente al nulla". Proprio il mondo, ed una vita da decifrare - giacché
la vita è qui in gioco, non la difesa di una teoria - è ciò
che si pone di fronte all'autore, il quale deve sostenere il peso di una
discussione dal perimetro impressionante. Ecco che si delinea una possibile
definizione: il nullista "è un nichilista per il quale solo ciò
che è immutabile, ovvero la sostanza della materia, è eterno
e che comunque tratta da eterno ciò che sa mutabile, ossia le forme
della materia. Il nichilista tout court è privo di questo prometeismo.
Per il nullista il mondo è autosufficiente […]. Il nullista si è
emancipato dalla delusione per il nulla trascendente e dal punto di vista
ontologico il nulla per lui è l'indefettibilità dell'essere
(ovvero della materia come sostanza), il nulla è che non ci sarà
mai annullamento ontologico. […] La potenza del nullista è la sua
lotta contro il nulla ontico e contro chi disprezza tale lotta, che è
la difesa prometeica, vana, delle forme contro il loro annullamento". Il libro tenta una mediazione
tra "teoria delle conoscenza" e "teoria della creatività" ("concesso
che la creatività sia una forma di conoscenza"), indagando la crisi
della "letteratura meramente tecnologica e formalistica del nostro secolo
e quella ontologica e fenomenologica", tentando di spiegare con chiarezza
perché il linguaggio simbolico sia "la risposta verbale scientifica
alla prassi destrutturante del "termine" propria dell'età decadente
della tecnica", ed in difesa di una "letteratura scientifica, fenomenica,
filosofica e civile, nella quale le novità formali non sono fini
a se stesse" (il discorso sulla letteratura terminerà infatti rintracciando
in Camus, oltre che in Leopardi, per il quale comunque il discorso è
diverso, il principale precursore del nullismo). Si restituisce alle scienze
e alla creazione artistica, così come agli studi letterari, una
comune gnoseologia conferendo all'induzione la dignità di processo
indispensabile per arrivare all'interpretazione. Una riflessione sul linguaggio
diventa quindi necessaria, e questo linguaggio ("il sarto dell'intuizione,
al quale ci si concede a completamento dell'interpretazione istintiva")
non è ritenuto il giusto punto di partenza: a differenza di tante
teorie che hanno dominato la più recente filosofia Bertoldo rimette
la significazione "a testa in su" e fa partire il tutto dalla "sensazione"
e dalla "percezione". Da questo punto di partenza l'autore recupera un
nuovo materialismo sensistico e scettico che analizza, seziona, spiega
in ogni sua parte ed in ogni possibile rapporto, come si è detto
coinvolgendo vari saperi (mai, giova dirlo, con intento puramente pittoresco,
ma sempre con competenza): arte, letteratura, filosofia, l'indeterminismo
di Heisenberg, la fisica di Bohr, la matematica di Russell (un semplice
esempio, che però non fa giustizia alla profondità dei ragionamenti
dell'autore: il nullismo, aderendo all'antinomia di Russell, secondo una
certa ottica mira a costituire la categoria di tutti coloro che non appartengono
a categorie - sempre tenendo ben presente la fallibilità dei nullisti,
caratteristica che essi stessi difendono), la logica di Wittegenstein,
il postmodernismo di Lyotard. Dice Bertoldo con competenza ed onestà
intellettuale: "s'impone uno sguardo onnivoro che poco piacerebbe a chi
ambisce alla perfezione erudita ed esegetica, possibile solo infilandosi
in uno dei condotti chiusi del sapere". Si è detto di Camus: proprio
romanzi come La peste e riflessioni come L'uomo in rivolta possono essere
la base dalla quale prendere spunto per una nuova filosofia nullistica.
"Le responsabilità dell'uomo riguardano la rivolta contro lo "scandalo"
sociale e metafisico. Tale rivolta richiede prima di tutto "che si cambi
in esempio, orientando la propria vita e la propria opera sulla conoscenza
di sé, sulla solidarietà disinteressata, sul dialogo. […]
Dopo aver scelto il mondo, il relativo […], l'uomo ha il compito di interessarsi
agli uomini, anche ai "dannati", è ciò comporta il rifiuto
della vendetta, della rivoluzione, della morte. […] Non deve ambire a essere
dio, allora, ma a essere uomo, con tutti i propri limiti e i propri difetti,
operando per la libertà e la giustizia e ponendo l'uomo, e non la
società, come ultimo fine". Una delle parti forti del libro
è la polemica-notomizzazione che Bertoldo opera nei confronti dei
generi letterari (la poesia manieristica, ecc.). In particolare sottolineiamo
la riflessione sulla narratura (sic!: si tratta del termine con il quale
Bertoldo designa la narrativa novecentesca che narra di altre narrazioni;
si veda il capitolo Induzione, interduzione (in difesa del postromanzo)):
Bertoldo sostiene la necessità di un narrare che fonda insieme esperienza
e consapevolezza, sensazione e interpretazione del mondo. Occorre ritrovare
la capacità propria del racconto di ra(ri)-contare ("contare nuovamente")
i fatti: "raccontare è molto più che narrare, significa storicizzare
delle vicende, ossia interpretare i fatti che le compongono in quanto appartenenti
a un processo storico. Il criterio è induttivo (e interduttivo)",
e si tratta di "un'induzione conforme al nostro sapere scientifico attuale.
Le indagini subatomiche e astrofisiche, oggi in primo piano, hanno evidenziato
ulteriormente i limiti delle strumentazioni e il carattere simulativo delle
sperimentazioni, e così l'aspetto tutt'al più previsionale
e statistico delle nostre conclusioni". Si è detto prima "sensazione"
e "percezione"; viene detto ad un certo punto: "la tesi di Poe che l'arte
sia "la riproduzione di quanto colgano in natura i sensi attraverso il
volo della mente" è la mia tesi". Partendo dalla sensazione viene
sviluppato un percorso che attraverso percezione e interpretazione ermeneutica
giunge alla fase verbale. E si torna alla questione del narrare/raccontare:
raccontare, richiedendo attenzione, indagine, ascolto e interpretazione,
fa sì che chi racconta percepisca le sensazioni, a differenza di
chi narra. Nel settore tecnico della letteratura stile e forma sono l'esito
e non la causa dell'espressione dell'indagine: dal punto di vista della
consapevolezza la poesia si avvicina così alla scienza, e la scienza
alla poesia dal punto di vista della pratica: in questo modo la fusione
fra sentimento e ragione acquisterà una nuova dignità, siccome
creatività e sentimento non vengono indeboliti dalla ragione induttiva
bensì potenziati, e viceversa (si pensi all'importanza nella scienza
delle ipotesi). Il trionfo della fusione platonistica (e la sua conseguente
applicazione fenomenica) a svantaggio della pretesa purezza e della separazione
aristotelica è una delle principali conquiste del nullismo, che
si schiera contro tutto ciò e tutti coloro che scindono il mondo
e se stessi, che separano scienza da letteratura, ragione da sentimento,
contemplazione da azione. "Si potrà pensare che questo discorso
conduca, in campo letterario, alla mitizzazione dell'espressione poetica,
mirante, rispetto a quella prosastica, più a riprodurre che a tradurre
la sensazione. Ciò sarebbe vero se il nostro obiettivo fosse quello
dei romantici di com-prendere la verità, sia pure personale, in
un involucro linguistico, ma il nostro obiettivo è primariamente
civile e dunque, anche se chiediamo a gran voce il ritorno della sensazione,
è la funzione sociale dell'interpretazione, che ivi è ricostruzione
ontica (e inoltre fenomenica) e non ontologica del proprio mondo, a interessarci". Bertoldo contrappone alla razionalità
finalistica un modello di sapere in grado di "interpretare il mondo sul
nostro corpo. Mondo è tutto ciò che viene a noi attraverso
la nostra sensazione. Vedo una donna e provo una sensazione - o non la
provo, ma anche questo non provare è comunque una sensazione […].
Non interpreto la donna […] ma la sensazione che mi ha messo in contatto
con [essa]. La mia interpretazione può dare alla sensazione di [essa]
una forma linguistica o non linguistica, forme che saranno esse stesse
incontrate a livello di sensazione e a loro volta interpretate". Da quest'attenzione
alla macchina dell'interpretazione scaturiscono intelligenti analisi di
Kafka, Musil, Proust, Pirandello, Calvino, Verga (e su molti altri autori
si ferma l'attenzione dell'autore in varie parti del libro, ognuno messo
a nudo e portato ad esempio dell'analisi volta per volta dedicata a un
diverso aspetto). Fra i molti accenni che si potrebbero
sviluppare, facciamone uno al "tonosimbolismo", carattere inventato ed
indagato a fondo da Bertoldo: "Lo scarto tra l'espressione e l'immagine
denota la poeticità di un simbolo, al di là del suo carattere
concreto o astratto. Tanto lo scarto è maggiore tanto più
poetico è il simbolo. Lo scarto retorico fa la poesia, insomma.
Ma la fa perché pone tra i due termini analogici o, sull'asse sintagmatico,
negli interstizi della sintassi il "tono", la suggestione del testo. Siamo
quindi oltre il fonosimbolismo, in quella vastità analogica che
chiamo tonosimbolismo. Con "tono" intendo il valore (altezza, timbro e
intensità) di un suono. […] Il tono è più concreto
del suono, è la pratica, assume i connotati dell'uso. In luogo del
fonosimbolismo, il tonosimbolismo mette per iscritto la praticità
comunicativa del linguaggio orale, come avviene nei vezzi infantili e popolareschi
di Pascoli o nel più complesso gioco sinestesico. Il simbolismo
impressionistico è appunto tonosimbolico, in esso la musica abbandona
la sua funzione fàtica propria delle tendenze estetistiche e assume
funzione espressiva […]. Più la letteratura tende a riappropriarsi
di ciò che la lingua ha sottratto all'uomo, più si fa poesia.
Più la letteratura cede la parola allo stile, più è
poesia, più fa parlare la forma più si avvicina alla prosa,
più si riconcilia coi significati - con la lingua - più diviene
scienza e filosofia". Bertoldo, con umiltà e
grande competenza, nonché una abilità argomentativa che deriva
dalla meditazione e dalla passione (che non poche volte deborda e si sente
nelle pagine, pur mai disturbando l'esposizione), delinea una possibile
filosofia per uscire dalle paludi del Novecento, una filosofia che come
è indispensabile (e non da ora, nonostante gran parte della filosofia
ufficiale abbia per ignoranza e vigliaccheria fatto orecchie da mercante)
si confronta con una serie di approfondite conoscenze scientifiche e storiche,
nonché con una tensione etica ammirevole. E non disdegna di spiegare
i termini che utilizza: alla luce del sottotitolo del libro che è
Per una filosofia fenomenica e una epistemologia della letteratura postcontemporanea
spiega come il moderno abbia come modello la scienza di Newton e il postmoderno
grossomodo quella di Einstein. Postcontemporaneo è un termine che
si rende necessario allorché Bertoldo nota come il postmoderno descritto
dai filosofi corrisponda in realtà al decadentismo filosofico, e
quindi "postcontemporaneo" corrisponde al nullismo e ai suoi sviluppi. Terminiamo con due citazioni.
La prima è l'augurio che chiude la prefazione, e che anche noi facciamo
all'autore: "in conclusione so che tutto, probabilmente, è notte,
e l'augurio che mi faccio, affinché tutto non s'offuschi, è
che si accendano le candele, non in devozione di qualche dio bensì
per illuminare la nostra storia. Niente di ciò che è cominciato
ha nella propria caducità la giustificazione del suo buio". La seconda
è un'amara e lucida constatazione, che speriamo serva di lezione
a tanti studiosi più o meno autorevoli: "Il mio discorso, principalmente
storico-letterario e incline al fisicalismo, vuole andare incontro a quanti,
partendo da una cultura essenzialmente filosofica, abbiano scavato, nel
monte degli infingimenti e delle codardie, il traforo necessario alla cultura
odierna per favorire la rivalorizzazione del mondo e la rinascita dell'uomo.
Mi è parso che, rispetto agli uomini "senza lettere", noi uomini
"senza scienza" siamo meno propensi a spezzarci le unghie in questi scavi,
anche perché forse sembra sempre più facile il dilettantismo
letterario di quello scientifico. Ma solo smettendola di avere paura della
propria ignoranza si può aprire un dialogo effettivamente costruttivo,
tanto più che lo scarto ineliminabile tra realtà e conoscenza
è un bel pugno nello stomaco ai cultori della sola specializzazione". 16 maggio
2001
Per informazioni, si prega contattare: Otto Anders |