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Poetry Wave
 
 

Recensioni e note critiche
Franco Tralli, Muove la regina
di Raffaele Piazza


Franco Tralli, Muove la regina, Imprimatur
Bologna, 2001, pagg. 109, lire. 20000

Nella poesia italiana anche contemporanea non mancano canzonieri, o, forse, per meglio dire, poemetti d’amore, opere mosse dalla spinta del’evento tragico della morte del coniuge, della persona amata. La poesia, quindi, in questi casi, ben lungi da essere o diventare effusione o, ancor peggio sfogo inutile, sicuramente, è decisiva per sublimare la perdita e il lutto interiore, a scavare nel baratro dell’ineluttabile, certamente rispettando la regola della compostezza, divenendo così, zona di confine tra la vita e l’arte, strumento di conoscenza alla ricerca di un senso che non può non essere che quello della continuazione. E’ questo il caso del testo poetico Muove la regina, definito da Giovanni Raboni sul Corriere della sera: uno dei più intensi poemetti d’amore degli ultimi trent’anni. 

Il piano dove qui si svolge la partita non è come in altri casi, quello della ricerca nel quotidiano da ricordare con struggimento, ma tutto si gioca a livello delle metafore incessanti di una ricerca di un nuovo e diverso dialogo, con un tu che non può rispondere e del quale ben poco conosciamo a lettura ultimata. 

Se si parla di partita, il discorso diviene interessante e si entra nel merito del significato che sottende le intenzioni dell’autore: per esemplificare leggiamo il componimento iniziale, per certi versi programmatico:-“Muove la regina in uno spargimento/ di mosse finali, calcolate. E’ la regina,/ fate largo alla potente che frantuma/ l’istante per scrivere il percorso,/ chiamare i trionfi del silenzio/ suo trono per diritto natutale.// Oltre le stragi, un oceano:/ tumori semprevivi le portano consiglio,/ cavalli nel fiore dell’attesa/ scompigliano i colori degli scacchi/ dietro improvvise eternità./ Questo si ricordi chiaramente: soprassalti di rose e falcate/ plenarie che scatenano magia/ nella stanza che gonfia le pareti/ di teneri pedoni/ allori verdi// Muove la regina:/ da viva e da morta, nell’età/ del ricomporsi dentro uguali signorie/.

Qui il motivo dell’occasione viene sublimato, rimane come un semino schiuso, di una pianta, e diviene il pretesto, o meglio la ragione che trova il suo simbolo nella partita di scacchi, nella quale la donna o regina, che è il pezzo più potente, continua a fare il suo gioco nella partita amorosa da viva e da morta, come dice Tralli con apparente durezza: in realtà il discorso, andando più a fondo, è regolato dal filtro della tenerezza, che emerge nella scrittura compatta e tesissima dell’autore, un modo di evidenziare sulla pagina, la sofferenza che dalla vita passa alla poesia e viceversa, senza il minimo compiacimento.

Una delle caratteristiche salienti e che si trovano in questo libro, è proprio quella della concezione, dell’idea del rapporto amoroso simile ad una partita giocata tra il dare e l’avere, ovviamente in termini morali oltre che fisici: illuminante può essere, a riguardo, un brano del narratore Paolo Maurensig, tratto da Venere lesa:-/ Per una ben nota legge della termodinamica, l’amore risulta sempre una partita patta in cui anche il più grande dei vantaggi viene ben presto rimontato, e tutto finisce in pareggio, tutto tende alla quiescenza; e di eterno, non restano che le regole del gioco/. Nel caso di questo poemetto amoroso, la situazione, rispetto a quella presunta si estremizza, in quanto una delle due parti in causa non è più presente sullo spazio scenico della vita, o potrtemmo dire, della scacchiera: comunque le leggi restano immutabili e questo sottende una fiducia totale nell’eros e nell’importanza dei rapporti amorosi per determinare l’identità della persona: tra vita poesia e gioco, il rapporto si fa strettissimo e, in questo contesto l’autore dimostra la sua originalità.

A livello di nessi semantici la scrittura si dipana per accumulo, con una notevolissima velocità, e nello stesso tempo leggera e concentratissima: il poeta io-lirico al di fuori da qualsiasi retorica, riesce a rendere sempre nuove e incalzanti, immagini precise che sembrano sgorgare l’una dall’altra, a volte rimanendone oscuri i rapporti reciproci, fatto che rende profonda e auratica questa scrittura, ricca di magia e bellezza vaga, e sorvegliatissima nel suo dipanarsi vibrante:/ Inge, se torni qualche sera/ viva col passo della morte/ nell’universo soltanto della carta/ mia di cherubino chiavi-in-mano, fa scorta di pesi da speziale/ nel nominare l’universo/ dei provvisori umani,// è un paese di matti: stanne fuori//. Il senso di questa poesia, quindi, si dipana in architetture complesse e articolatissime, di grande bellezza nella loro difficile costruzione.

27 maggio 2001


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Immagine:
Antonio Belém, Phorbéa, Napoli 1997


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