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Franco Tralli, Muove la regina, Imprimatur Bologna, 2001, pagg. 109, lire. 20000
Nella
poesia italiana anche contemporanea non mancano canzonieri, o, forse, per
meglio dire, poemetti d’amore, opere mosse dalla spinta del’evento tragico
della morte del coniuge, della persona amata. La poesia, quindi, in questi
casi, ben lungi da essere o diventare effusione o, ancor peggio sfogo inutile,
sicuramente, è decisiva per sublimare la perdita e il lutto interiore,
a scavare nel baratro dell’ineluttabile, certamente rispettando la regola
della compostezza, divenendo così, zona di confine tra la vita e
l’arte, strumento di conoscenza alla ricerca di un senso che non può
non essere che quello della continuazione. E’ questo il caso del testo
poetico Muove la regina, definito da Giovanni Raboni sul Corriere
della sera: uno dei più intensi poemetti d’amore degli ultimi
trent’anni. Il
piano dove qui si svolge la partita non è come in altri casi, quello
della ricerca nel quotidiano da ricordare con struggimento, ma tutto si
gioca a livello delle metafore incessanti di una ricerca di un nuovo e
diverso dialogo, con un tu che non può rispondere e del quale
ben poco conosciamo a lettura ultimata. Se
si parla di partita, il discorso diviene interessante e si entra
nel merito del significato che sottende le intenzioni dell’autore: per
esemplificare leggiamo il componimento iniziale, per certi versi programmatico:-“Muove
la regina in uno spargimento/ di mosse finali, calcolate. E’ la regina,/
fate largo alla potente che frantuma/ l’istante per scrivere il percorso,/
chiamare i trionfi del silenzio/ suo trono per diritto natutale.// Oltre
le stragi, un oceano:/ tumori semprevivi le portano consiglio,/ cavalli
nel fiore dell’attesa/ scompigliano i colori degli scacchi/ dietro improvvise
eternità./ Questo si ricordi chiaramente: soprassalti di rose e
falcate/ plenarie che scatenano magia/ nella stanza che gonfia le pareti/
di teneri pedoni/ allori verdi// Muove la regina:/ da viva e da morta,
nell’età/ del ricomporsi dentro uguali signorie/. Qui
il motivo dell’occasione viene sublimato, rimane come un semino schiuso,
di una pianta, e diviene il pretesto, o meglio la ragione che trova il
suo simbolo nella partita di scacchi, nella quale la donna o regina, che
è il pezzo più potente, continua a fare il suo gioco nella
partita amorosa da viva e da morta, come dice Tralli con apparente
durezza: in realtà il discorso, andando più a fondo, è
regolato dal filtro della tenerezza, che emerge nella scrittura compatta
e tesissima dell’autore, un modo di evidenziare sulla pagina, la sofferenza
che dalla vita passa alla poesia e viceversa, senza il minimo compiacimento. Una
delle caratteristiche salienti e che si trovano in questo libro, è
proprio quella della concezione, dell’idea del rapporto amoroso simile
ad una partita giocata tra il dare e l’avere, ovviamente in termini morali
oltre che fisici: illuminante può essere, a riguardo, un brano del
narratore Paolo Maurensig, tratto da Venere lesa:-/ Per una ben nota
legge della termodinamica, l’amore risulta sempre una partita patta in
cui anche il più grande dei vantaggi viene ben presto rimontato,
e tutto finisce in pareggio, tutto tende alla quiescenza; e di eterno,
non restano che le regole del gioco/. Nel caso di questo poemetto amoroso,
la situazione, rispetto a quella presunta si estremizza, in quanto una
delle due parti in causa non è più presente sullo spazio
scenico della vita, o potrtemmo dire, della scacchiera: comunque le leggi
restano immutabili e questo sottende una fiducia totale nell’eros
e nell’importanza dei rapporti amorosi per determinare l’identità
della persona: tra vita poesia e gioco, il rapporto si fa strettissimo
e, in questo contesto l’autore dimostra la sua originalità. A
livello di nessi semantici la scrittura si dipana per accumulo, con una
notevolissima velocità, e nello stesso tempo leggera e concentratissima:
il poeta io-lirico al di fuori da qualsiasi retorica, riesce a rendere
sempre nuove e incalzanti, immagini precise che sembrano sgorgare l’una
dall’altra, a volte rimanendone oscuri i rapporti reciproci, fatto che
rende profonda e auratica questa scrittura, ricca di magia e bellezza vaga,
e sorvegliatissima nel suo dipanarsi vibrante:/ Inge, se torni qualche
sera/ viva col passo della morte/ nell’universo soltanto della carta/ mia
di cherubino chiavi-in-mano, fa scorta di pesi da speziale/ nel nominare
l’universo/ dei provvisori umani,// è un paese di matti: stanne
fuori//. Il senso di questa poesia, quindi, si dipana in architetture complesse
e articolatissime, di grande bellezza nella loro difficile costruzione. 27 maggio
2001
Per informazioni, si prega contattare: Otto Anders |