|
||
Silvia Bre, Le barricate misteriose Einaudi, Torino, 2001, pagg. 120, lire 18000 Silvia Bre, poetessa nata a Bergamo e residente a Roma, con questa composita raccolta, tra le tre vincitrici del Premio Montale 2001, riesce a coniugare felicemente visione e quotidiano, illuminazioni e descrizioni, con uno stile connotato da un’estrema originalità, da una grazia leggera e, potremmo dire, femminile; la sua cifra distintiva, d’altro canto, ci si presenta caratterizzata da nitore e, nello stesso tempo, da una grande forza espressiva, con la particolarità, e questo va detto a merito dell’autrice, di una percezione, da parte del lettore, di uno sforzo minimo, nell’atto della stesura del testo, per cui le parole sembrano sgorgare da una sorgente purissima, quasi con spontaneità. Un’altra
caratteristica di questo libro è quella della sua chiara progettualità
che ha il suo primo riscontro nell’evocativo titolo, a conferma di una
notevole coscienza nella realizzazione di tale opera: in realtà,
in tutte le sezioni in cui è scandita, si avverte il motivo della
concezione esistenzialistica, dell’idea guida che è alla base della
raccolta: le barricate misteriose, infatti, fanno chiaramente trapelare
la concezione della vita della poetessa e, altro non sono, che i limiti
spazio-temporali, nel loro mistero, che Silvia Bre accetta come contenitori
e limitazioni della vita umana, anche se, talvolta, pare, in alcuni componimenti,
di percepire improvvise accensioni di speranza, aneliti, verso qualcosa
d’infinito, appunto per dare senso all’incompiutezza della vicenda umana. Canto
privato, quello della Bre, eppure sorretto dal desiderio di comunicare,
di mettersi in consonanza, quasi cosmicamente, con quello di tutti quelli
che, in ogni epoca storica, hanno anche innalzato un canto. Così
il discorso di poetica, visto questi presupposti, finisce con l’autoriflettersi
su se stesso, essendo proprio la poesia a veicolare la possibilità
di una certa armonia e di un ordine nella vita: e la tensione verso questa
armonia la si può riscontrare in una ricerca metrica e formale come,
per esempio in questi versi, nei quali si avverte un uso consapevole e
riuscito dell’endecasillabo …Ecco che piove/ come se da lontano un cuore
astrale/ lasciasse andare ogni ragionamento,/ e noi sentiamo scorrere il
minuto/ che ricompone il mondo di un pensiero-/ ed è il tempo di
un bacio, di un saluto.// Di tali cose l’esistenza ha amore//. Gli
scorci naturalistici, inquadrati in un quotidiano solo in apparenza a volte
minimale, sono frequenti e non si fermano mai alla descrizione tout-court,
ma sono espressione di una natura interiorizzata nel suo mistero, forse,
a volte, come espressione, tra le altre presenze, di quelle misteriose
barricate che, se a volte ci opprimono ricordandoci i nostri limiti,
altre volte possono darci l’impressione o la sostanza di una protezione:-“/Io
vado destinata a un sentimento/ che ha la forma di un parco che
ora vedo,/ e ciò che vedo è il viale in cui l’inverno/ è
rami, pietra, acqua, tramontana,/ e passi di una donna che cammina/ Ma
per come procede e come leva( lo sguardo secolare sulle foglie, lei è
la specie, a lei torna la rima/ nella quale riposa il mondo intero-/ così
la qualità del giorno vaga/ continuamente tra le parole e il cielo/.”
In questo componimento appare, innanzitutto. la descrizione, fatta con
la consueta eleganza dall’autrice, di un quasi panteistico abbraccio dell’io-lirico
con la forma consueta e familiare del parco, e poi la presenza, appunto
misteriosa, di una donna che cammina nel parco che potrebbe essere
un doppio o un’immagine speculare della poetessa. In
questa raccolta di Silvia Bre, pare di cogliere, pur rimanendo nell’accettazione
dei confini dell’umano, un’altra possibilità, quella della parola
poetica che attraverso il suo dirsi, riesce a trovare il significato ed
il bene, anche in ciò che, per altri motivi, risulterebbe
insensato. Pare,
tra i contenuti di questa poesia, di avvertire un continuo interrogarsi
da parte della poetessa, prendendo spunto dalle più varie occasioni
della vita e un suo riferirsi, di tanto in tanto, a interlocutori, o comunque,
a creature a cui relazionarsi anche se non possono rispondere:-“/La
mia lezione è il melo, in cima al colle:/ e vengo a visitarlo per
parlarne,/ fondo il mio impero di meditazione/ evocando i suoi frutti,
i rami astratti/ che vanno nella nebbia./ Io non incontro il melo,
lo figuro,/lo rendo naturale nel mio giorno:/…c’è un attimo in cui
sembra di sentire/ che le parole e il mondo sono uguali/.. Complesso
nel suo tessuto sintattico e autoriflessivo e sotteso comunque a una speranza,
almeno nella parola poetica, il discorso dell’autrice, prezioso stilisticamente
e concettualmente, ha anche la qualità di dipanarsi attraverso una
parola concentrata e densissima, con un andamento sempre sorvegliatissimo.
Per informazioni, si prega contattare: Otto Anders |