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Gianni Caccia, La Vallemme dentro, Edizioni Joker, Novi Ligure 2000, pp. 84, £ 20.000 Una
valle è certamente un luogo, una via, piuttosto, che assieme al
lento “sciogliersi” di un fiume unisce inconsapevolmente un principio ed
una fine; un varco che attorno al perpetuo moto dell’acqua crea, senza
sosta, consapevolezza ed improvviso oblio di sé.
Nell’ultima
raccolta di racconti di Gianni Caccia, la valle protagonista del suo narrare,
la Vallemme, è anche e soprattutto una scena, un contenitore dai
limiti dilatati intorno al quale gli avvenimenti si compiono e lontano
dal quale, oggi come in passato, gli uomini vivono dentro un tempo che
sfugge, correndo veloce («…tutto accade presso i fiumi, dove nessuno
passa e il tempo stesso è un’ansa pigra»).
La
vita che lambisce il corso del Lemme ci è mostrata dall’autore come
in bilico tra realtà e fiaba, tra personaggi narrati e narranti
(su tutti, quelli del racconto I ricordi del vecchio vallemmano)che
tracciano un sottile confine a dividere leggenda e quotidianità
e che proprio su questo confine costruiscono come una “misura” di sogno
che è dolce catarsi del “vero”. Se da un lato sono i personaggi
ad essere protagonisti, dall’altro sono il paesaggio e la natura a collocare
il libro di Caccia dentro una dimensione di “vita senza uomini” che lascia
flebilmente trasparire l’istinto di fuga dal contesto della “società
civile” di oggi e dalle costrizioni che questa impone nei rapporti tra
le persone («…non potevo più tornare per loro, ma da loro,
da come li avevo lasciati, se mai […] la facoltà di prendersi,
lasciarsi senza pegno e ugualmente riprendersi, solo per guadagnarne un
piacere proprio e farne parte…). Il
testo La piena, che chiude la prima parte del volume, dà
il là - con l’immagine del fiume che «si sta ripigliando
tutto», violentemente - al secondo gruppo di racconti, al “momento”
finale dell’opera. A partire da Il testamentoed
attraverso gli ultimi tre scritti, l’autore disegna un mondo sull’orlo
del degrado ambientale (la minaccia dell’Oxygenia), un “universo” nel quale
i protagonisti sono assaliti da paure (ne L’uscita) ed i sogni o
i “miti” narrati sono inspiegabili, quasi principi di incubi (in Uno
squarcio nel cielo). In questo contesto si vive di una precarietà
che incalza e di una natura che lentamente lascia spazio ad ambientazioni
sfumate. Qui, gli uomini sembrano sopravvivere ai margini dell’oblio («uomini
di nessuna città»), appaiono impotenti, desiderosi di
solitudine («…quando ogni più piccola traccia dell’esterno
sarà sfumata nella tenebra ed essa potrà essere mia, solo
per sempre mia, nel mio cantuccio») e miseramente impegnati nella
ricerca di colpevoli e di colpe che forse non esistono (in Uomini delle
radure). La
Vallemme dentro
è una raccolta di racconti in cui i principali registri narrativi
- paesaggio e personaggi, differentemente concepiti nelle due parti del
libro - sono come attratti dalle aree in cui gli stessi sono continuamente
posti in sovrapposizione; sono come sospesi nel vuoto, galleggianti in
quell’alone sfocato, quasi di dormiveglia, dove il tempo che trascorre
sembra dover ancora giungere. Il
risultato al quale l’autore approda è quello di un equilibrio mirabile,
di una combinazione sapiente di atmosfere e contenuti che consente al lettore
di avvicinarsi all’opera con crescente rapimento. 4
luglio 2001
Indice della sezione Immagine: Antonio Belém, Phorbéa, Napoli 1997 Per informazioni, si prega contattare: Otto Anders |