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Alda Merini, L’anima innamorata, Frassinelli, Milano 2000 Più
che di una lettura, il libro di Alda Merini ha bisogno di uno sguardo en
poète – «carnale» e «onirico», secondo
il risvolto di copertina – che rinuncia all’intelligenza laica: «l’anima
non ha una spiegazione» (p. 91: traducendo, senza tradurre, il frammento
45 di Eraclito), e l’anima si riconosce poeticamente (religiosamente) solo
come soggetto adorante: «l’anima non è mai religiosa ma è
la religione stessa» (p. 3), «è un sospiro» –
pnéuma
– «d’amore rivolto a Dio» (p. 8), «la storia di un’anima
è quella del tributo d’amore che l’uomo dà a se stesso e
agli altri: non esiste altra forma di carità né di dovizia»
(p. 13); e soprattutto, inserendo la parola di fuoco nell’interno dell’uomo:
«l’anima è anche parola, parola inconscia» (p. 16),
siamo «poesia vivente» (p. 111), «parola innamorata»
e calda in un senso più nobile di quello divulgato negli studi di
poesia. La non-ragione
sopporta un’ambiguità relazionale compensata solo nel fatto di amare
e/o produrre la parola-preghiera: chi ama diventa analogicamente l’Amore,
chi parla la poesia è – agonisticamente ed esaltandosi –la
«poesia vivente», e «sopporta pene indicibili per regalare
la propria parola agli altri» (p. 114). L’Altro da amare (o il Dio
«innamorato»: p. 93) agisce come forza di persuasione, doppio
dell’anima e mysterium tremendum: «Dio mi guardi dal sorriderti,
dal vederti, dall’incontrarti» (p. 59), «ma io che ti amo sono
diventata immortale» (p. 58), oppure l’anima pronuncia righe devastanti,
anche per l’equilibrio del lettore: «Io ti ringrazio perché
tu mi fai morire e come poeta avevo pensato da tanti anni che la vita non
valesse la pena di crescere nella vita come un albero che dà gemme
in continuazione. I miei amici ti vogliono uccidere perché mi vedono
piangere, ma i miei amici vogliono vivere. Io no. Ho deciso di morire per
te, perché tu hai ascoltato il mio cuore» (p. 58), o la parola
che è uscita silenziosamente dal cuore, o meglio: la parola che
il cuore è nell’atto di amare. Merini realizza
l’abbandono con la mediazione della parola offerta, continuamente esposta
sia alla perfezione che all’enfasi di una specie di ultra-poesia. Ma chi
scrive queste note trova, ancora una volta, la conferma che il rapporto
parola-a/Amore – e quindi la sostanza relazionale dell’anima che parla
– è una direzione vitale e stilistica, esattamente in quanto follia
e gesto del Femminile (=l’Anima che agisce, come nel libro di Margherita
Porete). 29
agosto 2001
Indice della sezione Immagine: Antonio Belém, Phorbéa, Napoli 1997 Per informazioni, si prega contattare: Otto Anders |