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Poetry Wave
 

Recensioni e note critiche
Antonio Franchini, L'abusivo
di Sergio Lambiase



Antonio Franchini, L'abusivo, Marsilio Editore, Lire 28.000

“ La cosa migliore che scrissi allora fu un’intervista a Walter Chiari”. E’ l’incipit apparentemente svagato de L’Abusivo (Marsilio Editore, Lire 28.000), il libro che Antonio Franchini dedica alla morte di un giovane cronista napoletano, Giancarlo Siani, ucciso dalla camorra il 23 settembre 1985. In realtà L’Abusivo non è, o non è soltanto, un’inchiesta sull’uccisione di un eroe “involontario” del nostro tempo (un cronista “abusivo”, nel senso di avventizio, di provvisorio, che vorrebbe far carriera nel “Mattino” di Napoli, e che due colpi di pistola fermano in una buia sera di sedici anni fa), ma un romanzo composito che si fa ad un certo punto anche sofferta inchiesta, cercando di svelare i “misteri” di Napoli e il senso dell’essere (o essere stati) giovani in una città che riproduce in ogni momento il disinganno della giovinezza (“Ho visto uno studente in metropolitana che addentava una fetta di pizza. Era passata da poco l’ora di pranzo […] e adesso tornava a casa dove sarebbe arrivato senza più fame e con un pasto freddato da inghiottire. In quell’attesa della più banale delle prospettive mi è sembrato di vedere che immenso retroscena di ordinari gesti c’è dietro la crescita di ognuno, quale tetraggine giace anche sotto la scorza luminosa di un’età che si dovrebbe rimpiangere”). 

C’è anche una trama familiare nel libro, gli infiniti contrasti, al limite del comico, del grottesco, tra la madre e la nonna di colui che narra, ma poi la vicenda di Giancarlo Siani, sovente affidata alla registrazione quasi impersonale di voci d’amici e colleghi che gli furono vicini nei mesi che precedettero l’assassinio, prende il sopravvento. Il giovane cronista ebbe il torto di scrivere sulle mene criminali delle bande camorristiche che si contendevano il territorio di Torre Annunziata (una volta capitale dei pastai), dando l’impressione di saperne più di quanto polizia o magistratura sapessero. Giocavano in lui ingenuità, idealismo, forse zelo eccessivo di giornalista alle prime armi. Certo la morte era in agguato. “Che ci vuole a morire. Ci vuole tanto e non ci vuole niente. Sotto casa lo avevano aspettato a lungo, fumando sigarette dalle cui cicche si poté risalire alla marca, Merit, i filtri con la riga d’oro, e pisciando quando ne avevano avuto voglia, davanti a testimoni”. 

I killer si ebbero una “cazziata” (una lavata di testa) da uno dei mandanti, Angelo Nuvoletta, per aver fumato e pisciato platealmente nell’attesa della vittima. “Poi andarono tutti a mangiare e bevvero champagne”. 
 

25 ottobre 2001
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Immagine:
Antonio Belém, Phorbéa, Napoli 1997


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Otto Anders