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Approdando
ad un genere da lui finora poco praticato, Aristide La Rocca, continuando
il ciclo dei Frammenti, brani poetici che hanno già raccolto
numerosi consensi critici e caratterizzati da una evidente continuità
a livello stilistico, con il Frammento LXXX, con esiti felici, ci
presenta una breve sceneggiatura teatrale ambientata nella Roma Imperiale
tra il 30 a.C. e l’8 d.C. e anche a Nola, (luogo dove vive lo stesso autore
e dove ha sede la sua rivista Hyria), il 14 d.C.
La
prima caratteristica che il lettore, fin dal primo impatto, e poi per tutta
la stesura dell’opera può notare, è la sorprendente capacità
di La Rocca di costruire, con apparente facilità, quasi come se
si trattasse del linguaggio dei nostri giorni, un parlato quotidiano, una
lingua sorprendente, dotata di una fascinosa patina di arcaicità
e modellata su un sistema ritmico e metrico di raffinato spessore, frutto
indiscutibile di cultura umanistica e di creatività che trova la
sua radice in un amore profondo per la Classicità. Non credo che
sia azzardato affermare che un’altra sensazione che si può provare
leggendo il testo, tanta è la bravura di La Rocca, d’immedesimarsi
in quel tipo di scrittura e in quella Storia, è quella che l’opera
sia non altro che una traduzione di un brano di letteratura latina finora
sconosciuto che, per nostra fortuna, ci sia capitato da leggere. Tuttavia,
nel penetrare più profondamente nel senso espressivo di Scene
Augustee, si constata, dato saliente, la modernità assoluta
dell’impasto linguistico che La Rocca è riuscito a produrre, la
sua originalità espressiva e affabulatoria, per cui ci si rende
conto che il testo è imprescindibilmente legato alla officina
poetica di La Rocca e, pur pervaso da una forte aurea classica che
l’autore felicemente evidenzia, è opera dell’inizio del Terzo Millennio,
è testimonianza di una vena fertile e felice che, dal passato al
presente, si riesce a riattualizzare. Notevole
anche la fantasia ordinatrice di La Rocca nel proporci un intreccio compiuto
e coerente pur nella sua brevità, dal quale emergono pure caratteristiche
salienti dell’epoca augustea e della latinità in generale, attraverso
i dialoghi accurati, corredati da esaurienti didascalie. Il sipario si
apre (con il Prologo), con una scena ambientata nella villa urbana di Mecenate,
durante un banchetto per festeggiare l’annessione dell’Egitto all’Impero
Romano, la morte di Antonio e Cleopatra e il trionfo di Ottaviano: pare
un’apoteosi della poesia stessa e dell’invito al piacere del vino e dei
cibi raffinati e, non solo Orazio e Mecenate, ma anche tre altri poeti
non definiti, partecipano alla gioia collettiva: anzi, lo stesso Orazio
che, ovviamente non rinuncia al nunc est bibendum, si fa ispiratore,
per bocca di Mecenate, di una gara poetica destinata al prossimo banchetto,
per cantare la vittoria romana. Dopo il prologo, il tono della narrazione
si fa sempre più drammatico, prima con la tristissima notizia che
un messaggero porta ad Ovidio, della morte per suicidio del poeta Cornelio
Gallo, poi con il delinearsi di intrighi, tradimenti e congiure ordite
ai danni di Augusto che, alla fine, vecchio malato e addolorato da troppe
contingenze muore, non prima di un riuscito e toccante, nonché fortemente
misterioso, colloquio con il fantasma di Cesare. Notevoli anche le parti
di carattere erotico, nelle quali è protagonista l’ormai anziano
Ovidio con le sue amanti, impegnato a nascondere i suoi amori illeciti
e, anche nell’ebbrezza dell’eros tormentato da pensieri politici e di vario
genere. La
Rocca è quindi riuscito pienamente, con le sue Scene, a far
rivivere la Storia e la Poesia, filtrate con raffinatezza e fantasia, dalla
sua sensibilità di poeta.
Immagine: Antonio Belém, Phorbéa, Napoli 1997 Per informazioni, si prega contattare: Otto Anders |