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Franco
Cavallo, Nuvole e angoscia
Edizioni
Orizzonti Meridionali, Cosenza 2001, pagg. 76, Euro 7,75
Già
dal titolo della presente raccolta, Franco Cavallo, che ha alle spalle
una lunga carriera di poeta e operatore culturale, lascia trapelare
il tono dominante di questo suo libro: una forte tensione verso un tentativo
di distacco dal reale, reale che però, attraverso le moltissime
stimolazioni che inevitabilmente dà, sia per quanto riguarda la
vita privata, sia per quello che succede nel mondo, non può essere
eluso e, giungendo inevitabilmente, alla soggettività dell’uomo-poeta,
trova la sua esemplificazione in poesia; nuvole e angoscia, quindi,
coinvolgono il vissuto del poeta che, dalla sua torre di vedetta, lancia
il suo messaggio in versi. D’altra
parte, Cavallo, e questa sicuramente è una sua grandissima qualità,
non cade mai nel pessimismo assoluto, cosmico, anzi i suoi versi, in questo
composito e ben dosato libro, hanno sempre un versante che in qualche modo
presenta una certa quota di luminosità, di positività verso
l’esistere, verso la sua esperienza soggettiva che ci comunica e, il lievito
di questa sua riuscita redenzione esistenziale nella sua scrittura, è
un’ironia che si trova stabilmente nei componimenti, la capacità
di cogliere il lato buono possibile, del tragitto umano. Scrive
così Franco Cavallo in un componimento della sezione intitolata
Suburbio:-“Io porto l’ossessione/ nella fucina/ del malessere./Lui
soffia e arroventa/, / il malessere,/ fabbro degli stati d’animo,/ e la
scuote/ come un sambuco./ Lei soffre/ che non vi so…/ dire./ Il porto/
sprofonda in una luce/ sghemba,/ una luce mestruale, di ripiegamento/ totale./
La città/ la città ha frasi/ quasi inesplicabili/ per i suoi
rioni/ e per i suoi crocevia./ Il melone canta,/ semi e sostanza./ Io piango/
che no vi so/ raccontare…/ Il vento/ brancola/ tra gli avamposti/ delle
periferie deserte/. Così il poeta si proietta nella condizione comune
di tutti quelli che abitano nella periferia, in questo deserto urbano,
fatto di solitudine e ansia per il ritrovamento di una condizione accettabile.
Eppure
esiste una zona misteriosa, impraticabile, un luogo poetico che anche il
poeta è conscio di non poter sondare, quello del non detto, quando
dice:…/-“Io piango/ che non vi so/ raccontare…/.”: pare un non senso che
proprio un poeta non sappia, o non possa raccontare, ma, proprio con questa
personale constatazione esibita, Cavallo lascia al lettore la possibilità
di immaginare, di andare oltre, con la chiarezza di un ipersegno, che sta
al lettore disvelare; e qui siamo ad un altro tema centrale di questa raccolta,
quello del silenzio e dell’afasia, che, del resto, sono il punto di partenza
per ogni esperienza di creazione estetica, appunto poetica e anche musicale,
se è vero che l’arte si evoca dallo stato di quiete: quindi nei
versi eleganti di solito brevi e ritmati in distici o libere terzine, in
modo fluido e icastico, Cavallo colloca la sua voce, la parola che si articola
in sintagmi, tra detto e non detto, quasi in una feritoia cruciale, dalla
quale si allarga e si dispiega il senso. Del resto il poeta è perfettamente
conscio di questo procedimento: leggiamo infatti, per esemplificare, la
poesia Il pane azzurro de silenzio, che pare avere un carattere
anche programmatico, per quanto riguarda la poetica dell’autore:- /Il parlare
e il tacere/ producono un unico evento.// Mutatis mutandis,/ si propone
un compendio. //Chi parla tace nel senso/ che-oggi nessuno l’ascolta.//
Mentre che tace può parlare// mettendo in moto coorti// intere di
parole// non dette ma udite parimenti// Parole pervasive e leggere.// Frumento
azzurro e lieve// per un pane da mangiare/ solo quando si ha// veramente//
fame//. Notevoli anche le poesie che, estraniandosi dalla soggettività
dell’autore e dal tema dell’afasia o della parola che riflette su se stessa,
pur mantenendo lo stesso registro espressivo e le stesse intenzioni, esplorano
altre tematiche della fantasia creativa dell’autore: così leggiamo
in un componimento tratto Da Frammenti dell’horror vacui: // Lo
sapevate/ che il piccolo Mozart/ aveva orrore/ per le trombette?/ che un
semplice squillo di tromba/ era per il fragile/ Volfangel/ come una rivoltella
carica/ premuta sul cuore?// per questo egli ha scelto/ l’acuta sinuosità/
dei violini,/ delle viole/ e dei violoncelli/ la pacata/ solitudine erbosa/
degli oboi/ e dei corni/ e il pensiero canneggiante/ dei clarinetti.//:
anche da questo testo si legge l’appassionata ricerca di Cavallo sui criteri
della comunicazione, comunicazione in questo caso musicale: per ognuno,
sembra dire Cavallo, esistono dei canali di recezione più rassicuranti,
come per il piccolo Mozart il suono degli strumenti ad arco. In ogni caso
la cosa più difficile è superare il pur sicuro e protettivo
silenzio.
Immagine: Antonio Belém, Phorbéa, Napoli 1997 Per informazioni, si prega contattare: Otto Anders |