|
||
Ci
sono alcuni libri che sembrano entrare nella nostra vita perché
trattano questioni che ci riguardano in prima persona. Il dominio maschile
di Pierre Bourdieu (traduzione di A. Serra, Feltrinelli, 1998 [Èdition
du Seuil, 1998]) è uno di questi. A poche settimane dalla scomparsa
del suo autore, uno degli ultimi intellettuali, come è stato scritto,
e una delle personalità di maggior spicco nel panorama della cultura
attuale, tentiamo di spiegarne le ragioni.
Il
maschilismo viene in esso presentato come una delle egemonie di più
lunga durata nella storia, e, in quanto tale, come una logica culturale
violentemente sedimentata nell'inconscio collettivo. La saggistica riconducibile
all'area dei Gender Studies è molto vasta. E infatti la sensazione
di rivelazione che affiora dalla lettura del volume di Bourdieu non deriva
dalla novità dei contenuti, ma, in primo luogo, dalla
sistemazione teorica a tutto tondo - o, per dirla con un termine desunto
dal vocabolario dell'autore, a tutto «campo» - dell'argomentazione.
Se ne desume che il maschilismo si regga, più di altre forme meno
consolidate di dominio, su una violenza tanto più "dolce", irriconoscibile,
invisibile, nella quale siamo tutti immersi, anche il sociologo che intenda
studiare la questione.
La
sua resistenza nelle società occidentali è per Bourdieu,
condivisibilmente, la più grave e più barbarica forma di
inconsapevole analfabetismo culturale collettivo. La novità rispetto
ai Gender Studies sta proprio in questo: che in Bourdieu, maschio
bianco occidentale, appare assente ogni prospettiva di protesta, di rivendicazione
o di latente atto d'accusa vittimistico nei confronti dei dominatori. Il
vittimismo si registra ancora oggi nella stragrande maggioranza degli studi
femministi, spesso volti a rivalutare la cultura delle donne, nel passato
o nel presente, puntando sulla riscoperta di casi misconosciuti o dimenticati.
Con il debito rispetto, va detto però che questi studi, del resto
utili e validi per la documentazione di storie sommerse, rivelano spesso
un'inconfutabile parzialità. Non si può riscrivere la storia
del dominio tentando di dare voce alle donne che sono state travolte dall'oscurità.
O meglio: si può farlo, è forse importante farlo, ma non
si può aspirare a riscrivere la storia ufficiale. Né si dovrebbe
negare, come spesso accade, la compartecipazione e condiscendenza femminile
al sistema del dominio maschile.
Rispetto
a questo quadro, Bourdieu prospetta un'inversione e sta proprio in essa
la principale ragione della forza del suo scritto. Egli spiega che se il
dominio maschile è una forma di occultamento della coscienza sociale,
se è una vera e propria - verrebbe da dire - falsa coscienza antropologica,
che accomuna i dominati ai dominanti, gli uomini alle donne, senza colpe
per nessuno, è necessario bandire definitivamente ogni valutazione
rancorosa. I dominatori, anzi, non meno delle dominate, hanno avuto e hanno
ancora molto da perdere nell'assetto discriminante dei poteri. Ma, soprattutto,
hanno da perdere i cosiddetti intellettuali, la cui «responsabilità»,
come recita il titolo di un altro suo libro, consiste proprio nell'individuazione
di un'assiologia di valori morali socialmente difendibili. Ne discende
il vero, significativo, colpo d'ala di Bourdieu, che identifica l'aspirazione
all'autocoscienza dell'ideologia sessista con il mandato intellettuale
attuale.
La conclusione è che nessun intellettuale oggi, sia esso uomo o donna, possa essere definito tale se non si ponga il problema della disamina, prima, e dell'opposizione etico-politica, poi, alle forme più striscianti, insidiose e socialmente negate della discriminazione sessuale. Ben si capisce, allora, contro chi sia rivolto il vero atto d'accusa di Bourdieu. Altri suggerimenti bibliografici La distinzione. Critica sociale del gusto, traduzione di Guido Viale, Il Mulino, 1983 (Les èditions de minuit, 1979). Lezione sulla lezione, traduzione di Carlo Alberto Bonadies, Marietti, 1991 (Les èditions de minuit, 1982). La responsabilità degli intellettuali, traduzione di Claudio Milanesi e Chiara Basso, 1991 (intervista televisiva, Parigi, 1985). Risposte. Per un'antropologia riflessiva, traduzione di Daniela Orati, Bollati Boringhieri, 1992 (Èdition du Seuil, 1992). Ragioni pratiche, traduzione di Roberta Ferrara, Il Mulino, 1995 (Èdition du Seuil, 1994). Controfuochi. Argomenti per resistere all'invasione neo-liberista, traduzione di Silvana Mazzoni, prefazione di Rossana Rossanda, edizioni di Reset, 1999. Ma io dico: il pensiero serve a criticare i potenti , traduzione di Silvana Mazzoni, «Reset», gennaio-febbraio 2000, pp. 26-28.
Immagine: Antonio Belém, Phorbéa, Napoli 1997 Per informazioni, si prega contattare: Otto Anders |