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Franco
Buffoni, Il profilo del Rosa
23 febbraio
2002Mondadori, "Lo specchio" Milano, marzo 2000, lit.25.000, euro 12,91
Un’elegia
a ciglia asciutte sulla condizione di ‘diverso’: questo il senso profondo
di un libro che l’autore , quasi ce ne fosse bisogno ( e non c’è),
con scrupolo rimarca nella nota finale, rinforzata per accumulo anche dall’insolito
rosa confetto della veste editoriale. Apprendiamo
dunque che il Rosa ( nel titolo di copertina l’uso delle maiuscole è
essenziale per il gioco polisemico) è il monte di sfondo ai luoghi
della giovinezza e della vacanza, origine dell’ipotenusa ideale costituita
del corpo dell’autore sdraiato in obliquo fino al Po nel triangolo di terra
tra l’alto milanese e i Grigioni, rimandando, a un tempo, al triangolo
rosa marchio degli omosessuali rinchiusi nei Lager nazisti. Il colore
diventa così grimaldello provocatorio a scardinare l’invasività
del grigio quotidiano, il simbolo della memoria contro l’oblio, pastello
ben appuntito "Caran D’Ache" capace ancora, forse appena in tempo, di restituire
i colori della vita vissuta. Ecco allora l’immagine iniziale del polittico,
che "si apre ogni tanto,/ Solo nelle occasioni" , capace, tuttavia, col
suo quadro riassuntivo, di informare chi sa leggerlo, "contemporaneamente"
su ogni aspetto della vita. Indizio, d’altra parte, anche delle velleità
grafiche e cartografiche di un artista che, pur avendo virato sulla scrittura
il proprio desiderio di rappresentazione del mondo, rimane tuttavia pittorico
nella spiccata sensibilità cromatica e nell’uso privilegiato della
vista . Diversità
nel libro non è tanto connotazione omosessuale, (molto discreti
i richiami espliciti nella sezione Naturam expellas furca, anche se allusioni
si rilevano un po’ ovunque , sempre molto caste, di un eros quasi virginale
), ma piuttosto marchio di esclusione e ghettizzazione susseguente , prima
di tutto per l’adesione istintiva ad altre regole, agli imperativi di una
diversa sensibilità. Ad esempio prendendo le distanze dalla ferocia
dei compagni di gioco, (pag.19) e dalla pur tradizionale uccisione del
maiale e della gallina, cui perfino miti bambine si prestavano complici,
( pag.15) o applicando un’ arbitraria pietas nell’ esecuzione di un gatto
agonizzante ( pag.44). Un destino
di solitudine, dunque, che esemplarmente si riassume in questa poesia della
prima sezione Nella casa riaperta : Vorrei parlare a questa mia foto accanto al pianoforte, Al bambino di undici anni dagli zigomi rubizzi Dire non è il caso di scaldarsi tanto Nei giochi coi cugini, Di seguirli nel bersagliare coi mattoni Le dalie dei vicini Non per divertimento Ma per sentirti davvero parte della banda. Davvero parte? Vorrei dirgli, lasciali perdere Con i loro bersagli da colpire, Tornatene tranquillo ai tuoi disegni Alle cartine da finire, Vincerai
tu. Dovrai patire. (pag.29)
Ecco allora
l’attenzione verso chi non si conforma, la condanna di certi accanimenti
diagnostici a stabilire la natura degli ultimi accoppiamenti di Oetzli
- volontari o meno non è dato sapere - come insinuato dalla contiguità
con la poesia seguente, dedicata a un marinaio di leva suicida dopo la
violenza di gruppo da parte di commilitoni anziani (pag.85 e 86). O l’amara
ironia nel rimarcare che perfino in occasione della riabilitazione solenne
di un eroe come Paul Gruninger, capo della polizia di San Gallo, già
deposto e degradato per non aver voluto marchiare con una "J" i non ariani
immigrati in Svizzera, non si volle cancellarne la condanna nel casellario
giudiziario, avendo lui comunque contravvenuto ad una legge dello stato
(pagg. 65-66). C’è
una sotterranea tristezza nel rimarcare le leggi di natura, il giro vizioso
delle nascite e delle morti "capricciose, non arrivano/Quando le desideri
o aspetti, Imprevedibili balzano sui tram/ E sono già arrivate/
Oppure ai capolinea se li lasciano/ Partire tutti, irascibili/ Fingono
di leggere" (pag.77). Il libro
esplora l’esperienza della malattia "La mia vita è breve è
neve/ Che può sciogliersi domani,/ Come - se il ghiaccio viene-
/ Resistere anche due mesi / Sporcata dai cani" (pag.75), e quella della
morte, crudele sempre, sia che colpisca vicino (i giovani suicidi), o sia
lontana nel tempo come l’uomo di Similaun , o come nel pozzo "a sette metri
di profondità/ Ossicina delicate ma sicure/ Da piccola ginnasta/Ora
datate col carbonio a meno/ Millenovecento cinquanta/ottanta /Galleggiavano/
Sull’acqua limpidissima ma verde/Per il tappeto d’alghe"(pag.59). Risalire
al passato, recuperare le testimonianze lasciate dagli antichi abitatori
significa infatti confrontarsi con la storia (l’attenzione alle ‘mummie’,
ai petroglifi, alle incisioni rupestri, fa di Buffoni uno Seamus Heaney
delle Alpi, meno etnicamente connotato, tuttavia, si direbbe, anzi, ‘transnazionale’),
e soprattutto ripercorrere a ritroso un incessante intreccio di generazioni,
umane ed animali, fino a un atto di procreazione cui spesso si allude più
o meno obliquamente : "pigiami dai bottoni sul davanti/ Camicie da notte
col buco" ( pag.15), "la cerva che dal fiume si ritira (…) al cuscino di
muschio posa il sesso/ Nel tempo suo concesso. Non altro né di più
/ Quello che basta/ E senza fretta./ Altre avranno altro tempo/ In capo
al mondo" (pag.61). "Anche i longobardi (…) avevano appuntamenti (…) Silenzi
interrotti dal cinguettare/ Degli uccelli che si riproducono" (pag.70).
"La cavalla incinta" contro "la gatta sterilizzata", Le radici piantate,
contro la sterilità del ramo d’abete "Messo nel vaso senza le radici/
Segato con l’accetta propagava/ Odore di resina e marenghi di cioccolato.
Poi a Sant’Antonio/ ritornava giallo in giardino/ Nell’angolo delle ortensie
da bruciare" (pag.19): sono altrettanti richiami – per analogia o per antitesi
- a quanto espressamente dichiarato " Sarei stato un cittadino rispettabile/
Avrei avuto una bella famiglia, magari una figlia/ Crocerossina, e da molto
vecchio –come una antica/ Capitale condannata- sarei stato circondato/
Di attenzioni discrete, osservato da spiragli di /Mura. Invece eccomi adatto
a esperimenti/ mononucleari, e senza più sortite in selleria/ Al
tramonto, dai butteri, al parco dell’uccelliere " (pag.108). Il tema
dell’esclusione e della solitudine ritorna, quindi, su di un altro piano,
col rischio dell’estinzione, sotterraneo filo conduttore dell’ultima sezione
intitolata La donna del Circo Orfei . Che apre con l’icona turrita di Moira,
campeggiante in un grande cartellone piantato nel giorno della festa degli
alberi con un monito sulla salvaguardia dell’ambiente, e chiude sul quadro
della discarica in cui lo stesso cartellone è "scarpato". In questa
chiave acquista un senso preciso l’excusatio non petita rispetto ad una
non esplicitata culpa , la cui pena (come sottolineato in nota) richiama
quella applicata a Roma contro i parricidi : " Me ne nutro, ci sguazzo
in questa faccia/ Ancora da ragazzo che mi vedono, e agglutino/ Nel sacco
insieme a un cane e a un gallo,/ Senza vipera e serpente. / Non ho ucciso
niente" (pag. 35). Malauguratamente, tuttavia, per l’antica legge dei padri
- dura come la montagna- , questo non basta e non assolve. Resta, a
chiusura di libro, un leggero disagio per essersi spinti in territori così
intimi, con un sospetto di "tecniche da indagine criminale". Ma è
lo stesso Buffoni ad offrirsi in olocausto al lettore, in un connubio (molto
British), di riserbo ed ‘autoscoperchiamento’ fino alla carne e al sangue,
con l’omologo tipografico nel vezzo (raro, da noi) della maiuscola a inizio
verso. E in fondo
l’esercizio della critica - come l’alpinismo - ha sempre un po’ del "vice
anglais".
Immagine: Antonio Belém, Phorbéa, Napoli 1997 Per informazioni, si prega contattare: Otto Anders |