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Vico
Acitillo 124
Poetry Wave Recensioni e note critiche La poesia ha un destino
melanconico
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Morii per
la bellezza - ma non m'ero
ancora
abituata alla mia tomba
quando
un altro -morto per la verità-
nel sepolcro
vicino fu adagiato-
Piano mi
domandò perché ero morta-
“Per la
bellezza” -gli risposi- e lui:
“io per
la verità - è una sola cosa”
disse “siamo
fratelli.”
Così,
come congiunti che di notte si incontrino-
dall'una
all'altra stanza conversammo-
finché
le nostre labbra raggiunse il muschio-
e copri
i nostri nomi-.
Una poesia
“misteriosa”, la sua. E misteriosa proprio nel
senso che
ci introduce nel mistero. Nelle zone buie da cui
proveniamo
- l'oscurità della nostra anima oscura- ma che non
conosciamo
nella, apparente, lucidità della ragione ragionante.
Credo che
bisogna partire proprio da questa sua breve poesia per
capirlo,
il “mistero” di questa poesia. Al di là degli aneddoti,
al di là
delle “stravaganze” di cui -agli occhi dei semplici e
dei benpensanti-
fu intessuta la sua vita.
Emily Dickinson,
a un certo punto, chiuse col mondo per
aprirsi
al mondo. E la strada, attraverso cui Emily cercò di
impadronirsi
della verità del mondo, è stata appunto la poesia,
ovvero
la bellezza. Può sembrare un paradosso o un gioco di
parole
ma non lo è. ]~ il nocciolo duro di Emily Dickinson. Che, a
un certo
punto della sua vita, si chiuse nella sua stanza,
rallentò
i suoi rapporti quotidiani con gli altri, si immerse
completamente
in se stessa e ne cavò poesia: per cercare la verità
del mondo
e il senso della vita e impossessarsene, attraverso la
poesia.
Che è come dire che -nel momento in cui si imponeva una
quasi clausura,
restringeva il suo spazio fisico fino alle
dimensioni
ridotte di una stanza, chiudeva l'orizzonte del suo
sguardo
entro il confine del giardino che le appariva dalla
finestra-
l'universo intero si precipitava dentro di lei. Una
stanza
sarebbe stata soffocante per gli altri, non per lei. Per
lei la
stanza e il giardino, proprio per la loro angustia,
diventavano
la molla che faceva scattare la sua fervente
immaginazione.
La faceva viaggiare ben al di là di Amherst,
nel Massachussets:
dove viveva, o Soston o Washington dove le
capitò
di andare qualche volta, per toccare gli estremi confini della
nostra
galassia e oltre. La stanza, proprio a causa delle sue
pareti,
paradossalmente non aveva confini, il giardino si slargava
e si riempivano
-stanza e giardino- di voci e di immagini che le
giungevano
dagli angoli più remoti dell'universo e dai luoghi
più
introversi dell'anima. Insomma, Emily riduce i suoi vestiti
a un monotono
abito bianco, cancella dalla sua vita le altre
stanze
della sua casa, le vie, le case del paese, i contatti
quotidiani
e banali (la banalità di ciò che si ripete
stancamente,
senza più la forza di dire qualcosa di nuovo) ma conquista
ciò
che sta oltre le apparenze: le apparenze delle cose e le
apparenze
dei gesti di ogni giorno. Emily è una “visionaria” e la
sua poesia
è la poesia di una visionaria, una che legge il
mistero
che si nasconde sotto la superficie delle cose. Legge
l'infinito
in un pettirosso, sente orchestre di pianoforti nei
boschi,
capisce i discorsi delle api: e ha timore di queste
immensità.
Ha timore di questo grandissimo che ritrova nel
piccolissimo
e teme che non ce la faccia a tenerle, queste cose,
sotto controllo.
Teme di esserne sopraffatta.
Una romantica
viaggiatrice immobile, dunque? Modestissima
etichetta
per una grandissima travestita da “zingara” o
“mendicante”,
da “monaca ribelle” o da “colibrì” come lei sentiva di
essere.
Anche la Emma Bovary è, in fondo, una “viaggiatrice”:
anche se
è una viaggiatrice agitata, irrequieta. Ecco: Emma è
una “turista”
più che una viaggiatrice. Una eroina romantica
degradata
a cliente di modeste agenzie di viaggi. Una casalinga
insoddisfatta
che si illude che spostarsi nello spazio avrebbe
comportato
la ricucitura delle ferite dell'anima/nell'anima.
Emily è
più di una viaggiatrice. Esplora, quando addirittura non
costruisce
dal poco o niente che la circondava, mondi che gli
occhi banali
non vedono. I suoi occhi sfondavano i confini del
cielo,
annullavano la prigione dell'orizzonte. La sua poesia,
come il
suo viaggiare, è la poesia -e il viaggiare- di una
visionaria:
guidata, com'è, dall'unica bussola delle sue
allucinazioni.
Il mare, allora, si riversa nel cielo e, tutt'e due,
possono
riassumersi in un fiore. Stupido è chi dice che è il cieco
a non vedere.
Non vede chi non coglie questo rivelarsi del
mistero
attraverso le cose. Sono vecchie le stelle che per me
splendevano-:
una delusione d'amore, forse, ma anche il segno
d'aver
toccato il limite e di sentirlo, a un certo punto,
insufficiente.
Si può andare più in là?
Un universo
cosi fatto non ha confini e non bastano le
grammatiche
consuete a contenerlo. Il linguaggio fallisce,
l'ortografia
disobbedisce, le connessioni tra le parole saltano, la
punteggiatura
stessa frana. Tutto è soggetto a continui
terremoti
o smottamenti. Le cose del profondo parlano con altre voci.
Le attese
del lettore necessariamente saltano.
Come scope
d'acciaio
neve e
vento
avevano
spazzato la strada dell'inverno-
la casa
era sprangata
il sole
lasciò uscire
languidi
messaggeri di calore-
e là
dove l'uccello cavalcava
il silenzio
legò1íl suo possente, affannato destriero
l'unica
che giocava era la mela
al sicuro
in cantina.
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