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Enzo Mandruzzato, Ti perdono la morte Edizioni Scettro del Re, Roma 1999, pagg. 68, lire 16000, € 8.2 Enzo
Mandruzzato, studioso dai poliedrici interessi, con alle spalle un lunghissimo
e variegato percorso di traduttore (per esempio di Orazio), e di studioso,
con monografie e saggi, iter nel quale ha anche raggiunto l’alloro della
grande editoria, (vedi con Il piacere del latino del 1989che
ebbe subito quattro edizioni ed è stato pubblicato negli Oscar bestsellers
),ha sempre messo, con magistrale
coscienza di grande letterato, al fulcro della sua produzione, l’etimo
della sua esperienza nello scrivere poesia: quindi, la sua attivitàcomplessivamente,
è quella di un autore completo ed è intensa, con gli ovvi
rimandi tra le varie sfere praticate. Una
vena di misticismo, icastica e vibrante, dolce e persuasiva pervade la
sua scrittura: così leggiamo nel componimento iniziale: / In
qualche florido giardino asiano/ in un patio in riva al mare sulle sabbie/
fresche forse nacque, crebbe il poeta/ gnostico che scrisse la resurrezione/
di Lazzaro, come fu giusto che fosse, vero che fosse, e forse era morta/
la persona che amava e teneva come te/ Madre le labbra serrate nel giudizio
definitivo- quale su di me? Qui l’invocazione alla Madre sottende un senso che è di una religiosità sentita e il richiamo alla gnosi ci fa intravedere l’apertura del poeta, ad una scelta cristiana, ma legata anche alla Terra, al mare alla sabbia, ad un amore per la vita e per la natura come Creazione. C’è un poeta gnostico (ma che sia proprio l’io poetante di Mandruzzato, che affronta la sua tensione di essere umano nella vita?), che non si ferma al discorso mistico in senso religioso, ma l’estende al livello di un onirismo sofferto e intenso come nella composizione Un sogno fermato, titolo che si ripete tre volte:-/ Allora, così (ora il sole/ sta traboccando sulla selva e il mare/ scroscia) dopo tante cose necessarie/ perché avvenissee ora svanite,/ non era rimasto che quel panno nero/ sulla tua fronte, come una frangia,/ e il resto si perdeva nel corpo ,/ e il rosso delle palpebredegli occhi/ come di chi ha immensamente pianto/… e tu felice di essere sfuggita “finchè non se ne accorga”:/… Qui il dettato, in bilico tra gioia e dolore, è pressante a partire dal titolo della composizione: si potrebbe davvero fermare un sogno? O forse il sogno è proprio il riflesso di questa stessa poesia, in un gioco di specchi arduo e tormentato? E poi, tornando al titolo della raccolta Ti perdono la morte che senso può avere: perdonare alla natura o a Dio la condizione umana: quindi un afflato cosmico penetra in tutta la sostanza del libro. Scrive Dante Mafia nella prefazione:-“ Collocare la poesia di Mandruzzato all’interno del panorama odierno diventa perlomeno difficile, se non impossibile. Mandruzzato, che pure è passato criticamente attraverso molti ismi, vivendone le contraddizioni e spesso discutendone gli esiti, non ha mai aderito a scuole o gruppi, non è stato un poeta di tendenza o aggregabile comunque a questa o a quella “attualità”. La poesia per lui è atto assoluto…”. Viene in mente il paragone con un altro poeta italiano contemporaneo che ha un afflato mistico e cosmico paragonabile a quello di Mandruzzato, vale a dire Rivera che, nel testo Senza stelle, che è preceduto da una splendida introduzione di Plinio Perilli, rivela una stessa angoscia e nello stesso tempo un forte dolore per l’esistere, il senso del limite e della morte, anche se la luce, in Rivera è più scabra ed essenziale, un solicello che, in ogni caso esiste. Mario Luzi scrive della poesia di Mandruzzato:-“…questa poesia disinvolge il presente, ne libera il tempo che vi è compresso, tutto l’avvenuto e il vissuto quanto l’atteso…e il singolare è che Mandruzzato si aggira con personale e viva misura in quegli spazi che non ne hanno perché non hanno limite”… Un canto libero e autonomo, un percorso appartato quello di Enzo Mandruzzato, che, attraverso venature dalle tinte, talora fredde e, in altri casi calde, tra metafisica e natura si apre a nuovi esiti affascinanti. “Tu sei sola al mondo/ da cui non mi può venire male. / non per me è mai venuto/ Pare uno scherzo, cara: / tu non mi hai mai perduto/ la chiave della “vespa”/, non mi hai mai guastato la frizione; versi della poesia A Rosi, dai quali traspare tra i temi universali, anche una scheggia di quotidiano. Immagine: Antonio Belém, Phorbéa, Napoli 1997 Per informazioni, si prega contattare: Otto Anders |