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Angrisani
S., Marone F., Tuozzi C.
Cinema e cultura delle differenze. Itinerari di formazione ETS, Pisa, 2001, pp. 298, € 18,00 Perché
parlare di cinema in un volume di riflessioni pedagogiche? In quale relazione
sono fra loro il cinema e la formazione? Quali implicazioni educative è
possibile cogliere in tale rapporto? Il discorso delle autrici, dunque,
si apre, a partire dalla valorizzazione del cinema come medium, alla proposta
di realizzare pratiche educative improntate ad un modello di “pedagogia
relazionale”, cioè critica, dinamica, plurale, attenta al cambiamento,
che pone al centro della sua riflessione teorica, epistemologica e metodologica
i problemi dell’uomo così come hanno luogo e si sviluppano nei vari
contesti di vita. In tal senso il tema affrontato è quello dell’
“educazione alle differenze”, nella consapevolezza della sua manifestazione
quale emergenza educativa nella società contemporanea. L’uso del
cinema viene proposto, quindi, in funzione di mediazione delle differenze,
come possibile filtro nel confronto tra soggetti appartenenti a diversi
contesti economici, sociali e culturali, a mondi di vita specifici da negoziare
nella relazione con l’altro. In questa ottica, i percorsi che compongono
la seconda parte del volume costituiscono tre possibili proposte di utilizzazione
del cinema a fini formativi e didattici: il linguaggio audiovisivo diventa
così tramite per un’esperienza di formazione fondata sulla costruzione
comune dei significati. L’intento
di questo volume è, così, duplice. In primo luogo, esso si
propone di evidenziare le possibili relazioni e le reciproche interdipendenze
che connettono il cinema alla formazione e la formazione al cinema. Nel
primo capitolo, il volume analizza la fruizione cinematografica
come esperienza di formazione, soffermandosi sui rapporti di interrelazione
che legano il cinema alla cultura nel suo complesso. La riflessione pedagogica
sul potenziale formativo implicito nel medium viene fondata a partire dalla
rilettura dei meccanismi di funzionamento del linguaggio cinematografico. Nel
secondo capitolo vengono indagati i rapporti tra film e sogno,
tra narrazione e scrittura di luce (qual è la narrazione cinematografica),
tra rappresentazione della realtà ed utopia, rapporti che hanno
fortemente inciso sulla formazione dell'uomo contemporaneo, tanto da diventare
un momento fondamentale dell'esperienza umana, un modo nuovo di percepire
e di rappresentare il mondo. L’
“educazione alle differenze” costituisce l’oggetto del terzo capitolo.
A partire dalla chiarificazione del significato di “differenza” e delle
possibilità educative da essa offerte in una prospettiva antropo-pedagogica,
viene individuato il cinema come uno degli strumenti formativi privilegiati.
L’esplicitazione di nodi relazionali critici, emergenti nell’incontro fra
diversità (pregiudizi e stereotipi, rappresentazioni sociali, ecc.)
si accompagna alla chiarificazione di nodi concettuali, funzionali ad una
corretta comprensione della differenza culturale, quali le idee di cultura,
di identità, di meticciato culturale, nella convinzione che il significato
più profondo dell’educare alle differenze non sia tanto quello di
insegnare le diversità, quanto piuttosto quello di formare a “pensare
la diversità”. Un
ulteriore obiettivo del testo - ed i percorsi della seconda parte offrono
significativi esempi in tal senso – è quello di evidenziare come
il cinema possa costituire un efficace ed intenzionale strumento di educazione,
rivolto agli individui di tutte le età, in ogni contesto, sia esso
formale o non formale. Se il cinema costituisce sempre uno strumento di
formazione e di autoformazione degli individui, esso può essere
utilizzato intenzionalmente per educare i soggetti in formazione in vari
modi, oltrepassando una concezione tradizionale che ne faceva un semplice
supporto visivo e documentaristico. A
tale scopo, anche nella costruzione dei percorsi è stata seguita
una logica di valorizzazione della differenza, individuando varie modalità
di utilizzo del film nella pratica educativa e didattica. Infatti,
i contributi della seconda parte del volume delineano tre possibili
modalità operative di utilizzo del film quale strumento di educazione
alle differenze: a tale proposito, a partire da soggetti differenti, vengono
costruiti tre percorsi formativi. Il
quarto capitolo evidenzia come attraverso il cinema sia possibile
delineare percorsi di vita, itinerari formativi e culturali di donne appartenenti
a diverse generazioni, che hanno segnato e accompagnato le trasformazioni
dell'identità di genere nel corso del Novecento. Le rappresentazioni
sociali della femminilità e del ruolo delle donne all'interno della
società hanno avuto, d’altra parte, proprio nel cinema un contenitore
e un propulsore di modelli e di comportamenti socialmente condivisi. Il
quinto capitolo, a partire dalla consapevolezza che le difficoltà
relazionali esistenti fra individui culturalmente differenti siano legate
imprescindibilmente alle rappresentazioni sociali dell’altro che
ciascuno mette in atto, pone all’attenzione del lettore un tratto
“quasi più specifico”, si potrebbe dire, della “differenza” e dell’
“alterità”, quello di una comunità nella quale, come spesso
è avvenuto e ancora avviene, si sono accumulate idee corrente, stereotipi,
profili immaginari, ma collettivamente condivisi: ci si riferisce all’evidenziazione
delle più diffuse immagini degli zingari, considerati un po’ ovunque
dalla società non zingara gli altri per eccellenza. Il
sesto capitolo propone, infine, un percorso che si snoda
intorno ad un unico film, La mia vita in rosa. Si tratta di un’analisi
narrativa dettagliata attraverso la quale vengono esplicitate le modalità
con cui il film costruisce una rappresentazione della diversità.
In questo caso, la diversità è costituita da un’identità
di genere problematica: quella del piccolo protagonista, che diventa la
causa principale della sua marginalizzazione nell’ambito del contesto sociale
di appartenenza. L’analisi
dei modi di significazione specifici del linguaggio cinematografico si
pone come presupposto fondamentale per ogni ulteriore riflessione sul ruolo
che la cultura gioca nella formazione delle interpretazioni, più
o meno condivise, della diversità. Per
questi motivi, il volume, denso di riferimenti teorici e di indicazioni
metodologiche ed operative, viene consigliato a quanti (esperti di processi
formativi, dirigenti scolastici, docenti, operatori della formazione, operatori
culturali, studenti di scienze della formazione e dell’educazione, etc.)
hanno a cuore le sorti di un “progetto educativo” per le giovani generazioni,
che possa qualificarsi come aperto, modulare, flessibile, plurale, in una
parola politicamente maturo. 12
giugno 2002
Indice
generale
Immagine: Antonio Belém, Phorbéa, Napoli 1997 Per informazioni, si prega contattare la direzione |