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Tiberio
Recine, L’anima si mette sotto la pioggia
Fermenti, Roma 2001, pagg. 16, € 4,04 Questa plaquette
di Tiberio Recine (1963), riassume in se stessa, con un intento vagamente
filosofico, nel senso più elementare del termine (senza entrare
cioè tout-court nell’alveo della poesia filosofica, del resto poco
praticata in Italia), l’idea che, approssimativamente, si potrebbe definire
di matrice leopardiana, della vita che dà scacco all’uomo e in particolare
al poeta: il motivo di questa sconfitta a-priori, ovviamente, è
il senso del nulla e dell’angoscia vissuta in attesa di esso per quanto
possa essere lungo il percorso terreno. Da questo nulla, per superarlo
o solo per esorcizzarlo, per lottare contro di esso, per ispirarsene, senza
però mai gemersi addosso, viene, a sporgere, a materializzarsi,
a farsi voce forte e tragica, ma, nello stesso tempo sorvegliata, la parola
poetica: la possibilità per l’uomo-poeta che porta con sé
una ferita forse più profonda di quella degli altri di trovare,
nella lotta con l’angelo della creazione poetica, una propria dimensione,
qualcosa che non sia meramente dolore, di una vita segnata dall’attesa
del Nulla, dell’Avversario. La scrittura,
in questa prospettiva, si estremizza nella sua connotazione di lotta con
l’angelo, con la possibilità di esprimere se stessi, di misurarsi
con la vita, con l’attimo heidegeriano e anche con la realtà materiale,
esterna al poeta che, per quanto possa vanificarsi con il nulla, può
offrire, a sua volta, gioie e dolori, prove continue per affrontare l’esistere,
che, attraverso la versificazione, diviene molto di più di un negativo
fotografico della realtà o una sua sublimazione: qui il poeta mostra
la sua chiara consapevolezza a partire dal titolo della raccolta: l’ anima
si mette sotto la pioggia: la pioggia è la realtà e l’anima,
grazie ad un procedimento vagamente sinestetico, misteriosa e mistica,
tra visibile e invisibile, tra materico e fortemente impalpabile, si mette
in discussione: anima e pioggia, due nature diverse, contrasto tra sfere
indefinibili e difficilmente adatte ad un processo sincretico: l’anima,
in realtà non appartiene a nessuna sfera sensoriale, tuttavia, si
può immaginare il poeta colpito a tradimento da un acquazzone improvviso
sotto una pioggia scrosciante Scrive Donato
di Stasi, nella quarta di copertina,:- “La vita vola addosso ai poeti,
li inganna, li atterra. Non dà tregua l’inferno terreno, cosparso
di simboli incompresi, di archetipi inconclusi, di figure aurorali sfiorate
appena nel regno dell’infanzia:- L’anima si mette sotto la pioggia, prova
a scheggiare il Nulla, a scalfirlo, a ferirlo con la “strofa altezzosa”
Dalla parte delle parole l’assedio dell’assenza sembra meno feroce, meno
ossessivo l’assalto del fantasma del desiderio. Solo l’amore per l’altro
(“mi assopisco nell’impulso indefinito”) può stravolgere l’inerzia
della noia, la fiacchezza della rinuncia). E allora, come nel primo componimento
intitolato d’una battaglia dimenticata nel sangue:- “Vai, vai, scorri tra
la diafanità e la tempesta, / volteggia nell’inesistente etere//
Descrivi con la parola l’inesprimibile lavorio/ dell’acutezza e canta una
strofa altezzosa in/ presenza della storia.// Tu, che in virtù del
tuo essere sei l’irriducibile/ guerriero antieroe, degno, della
sprezzante realtà/ di una battaglia dimenticata nel sangue.//
Distinto, distinto con capelli inalberati in fronde d’ombre/ e l’angelo
che s’innalzò nelle profondità dell’ Io.// Vai, vai, fermati
tra le mie braccia ansimanti, canta una / melodia intonata al requiem di
un re caduto sul campo// Qui c’ è
un tu e una scenario variegato: c’è natura (diafanità e tempesta),
storia (la presenza d’una battaglia dimenticata nel sangue). Misticismo
(l’angelo che s’innalzò nelle profondità dell’ Io): il tu
di cui si diceva è probabilmente una figura femminile: ( “…vai,
vai, fermati tra le mie braccia ansimanti, canta una melodia...”): allora
è proprio la figura salvifica femminile, musa, amante, (che può
essere il riflesso del poiein poetico stesso), a dare una possibilità,
non un antidoto , per gettarsi nella sfida contro il Nulla, la vanità,
la precarietà dell’esistere: distinta da una cifra originale, quando
le emozioni sono incanalate sapientemente in sintagmi icastici, dove il
verso dalla lunghezza irregolare, in strofe generalmente di pochi versi,
questa plaquette coglie nel segno, in alcuni componimenti vibranti: così
dal testo eponimo :- Ti avvince e ti avvolge in crude coperte/ e fermarti
può, qualsiasi momento,/ nell’anacronismo eterno//… L’anima bagnata,
silenziosa,/ in rivoli di fiumi scorre/, L’onda al mare l’ombra allo spirito/
e l’acqua al mare//. In un eterno
presente, in un tenue scorrere di tempo, amore, storia, aneliti mistici,
il poeta così giunge ad elaborare un proprio discorso e, nel breve
spazio di sedici pagine, un accenno di poetica che, ci auguriamo, si articolerà
in altri libri, dopo questo felice esordio. Una poesia a volte lirica a
volte inquieta quella di Recine, costellata da una brillante varietà
di linee di pensiero e di tematiche che, come fili di un ordito, creano
un tessuto vario e intrigante. 29 luglio 2002 Indice generaleImmagine: Antonio Belém, Phorbéa, Napoli 1997 Per informazioni, si prega contattare la direzione |