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Poetry Wave

Recensioni e note critiche
 

Marino Piazzolla, I detti immemorabili di R. M. Ratti
di Raffaele Piazza

Marino Piazzolla, I detti immemorabili di R. M. Ratti
Fermenti, Roma, 2001, pagg. 144, € 10.32

Corredato da interventi critici di Giovanni Battista Bronzini, e dall’introduzione di Donato Di Stasi, il libro di Piazzolla, poeta lirico, critico letterario e filosofo, attraverso una serie di aforismi, ci illumina sulla versatilità e sull’intelligenza di questo autore che manifesta la sua profonda ironia nei confronti della vita; la presente opera, uscita dapprima in due volumi (rispettivamente nel 1965 e nel 1966), e in una seconda edizione nel 1979, occupa un posto di tutto rispetto nel panorama della produzione di Piazzolla e testimonia quella sensibilità che caratterizzò sempre la sua vita, riflessa nello specchio della letteratura.

I detti opera dell’autore, nato a San Ferdinando di Foggia nel 1910 e morto a Roma nel 1985 (che quindi ha vissuto la drammatica realtà novecentesca dei due conflitti mondiali), è frutto della sua multiforme creatività impegnata e del suo spirito trasgressivo e ironico: gli episodi che traspaiono dalla vita come da un negativo fotografico dalle tinte di una fotografia, esprimono la visione della vita e del mondo, come dice Bronzini, di un intellettuale solo e sconfitto dalla vita; ma, si potrebbe aggiungere, dalla lettura di questi detti (e qui emerge il dato saliente, l’etimo dell’unica possibile espressione della poesia), che il poeta, il filosofo, il critico, in queste forme dalla natura epigrammatica, non finisce mai con lo gemersi addosso e, tramite lo strumento dell’ironia, riesce a dare una visione di sé e del mondo che può essere utile per il lettore come strumento, forse minimale, di conoscenza di se stesso e della vita che, tout court , al livello della struttura, è uguale per tutti e, che, come afferma Mario Luzi, coincide con la poesia.

La raccolta di aforismi che non presenta scansioni è preceduta da un Autoritratto, una poesia lirica programmatica: Dove sono nato? Non ve lo dico. Sono!/ Sono un settimino clandestino ./ Ho due occhi, dieci dita e due piedi ./ La bocca saluta il naso/ E mi fa compagnia. / Ho duemila capelli. / E sul collo due voglie: Una di latte e l’altra di sangue// A un anno belavo;/ A tre feci un comizio/ A una zanzara emigrante/ Da solo m’innamorai di una bambola Lenci. Qui notiamo da parte del poeta una strenua ricerca d’identità che va dall’intimismo: Da solo m’innamorai/ D’una bambola Lenci, fino al tema di un senso infantile politico … A tre feci un comizio/ A una zanzara emigrante.

C’è qualcosa nell’icastica forte tensione del poeta, e nello stesso tempo di sofferto, sofferenza però controllata estremamente bene ritualizzata dalla parola.

Tornando al discorsi sugli aforismi c’e da dire che essi spaziano tra i più disparati campi dell’agire umano, dal misticismo del Miracolo: Quando sto zitto, mi ascolto e imparo a conoscermi fino a Trauma: Sono andato alla tavola calda e mi sono commosso appena è apparso un pollo cotto sul tavolo del mio vicino, detto del tutto diverso da quello precedente per la sua natura materiale e pateticamente sentimentale.

Come pure leggiamo: Altro che animale ragionevole: L’uomo è una belva. Ma finge di non saperlo per tema di non esserlo abbastanza o Paura: Stamane mi sono specchiato e ho avuto paura di me come un bambino, oppure Errore anagrafico: All’anagrafe risulto donna. Hanno solo scritto Maria Ratti, nubile, oppure Maieutica: penso male: partorisco concetti settimini o Adozione: Non avendo figli mi sono adottato. Da domani mi chiamerò papà.

C’è qualcosa di fortemente paradossale in questi aforismi nei quali è chiaro che spesso le regole della vita sono ribaltate e tutto questo nella tenace ricerca di trovare un fondamento (del resto labile) al senso, anzi al nonsenso delle cose: il tentativo di trasgredire dal senso comune spesso ipocrita, per arrivare all’essenza priva di timori per gli ordini sociali, una ricerca maieutica per arrivare al sé , per capovolgere barriere e ostacoli che si frappongono tra l’uomo, canna al vento laica, per di più poeta e filosofo. Leggiamo Fiaba minima. C’era una volta l’Italia. Un prete si mangiò tutto e fece un rutto: irriverente verso la religione, iromico, eppure fortemente etica la tensione del Piazzolla verso un’oggettività delle cose inappellabile, vista la corruzione oggettiva della Chiesa e di tanti sacerdoti.

In Piazzolla, come osserva Di Stasi, l’identica logica della solitudine e la medesima lucidità di pensiero si riscontrano nel predecessore più riconoscibile di Ratti, quel Filippo Ottonieri, protagonista a sua volta di Detti Memorabili trascritti da Leopardi nel 1824, e forieri dello stesso dell’antieroe piazzolliano:”Nato alle opere virtuose/ e alla gloria/ vissuto ozioso e disutile/ e morto senza fama/ non ignaro della natura e della fortuna sua

E allora per questa singolare e poliedrica personalità di letterato e filosofo pare bene attagliarsi il detto di Paracelso: I re i potenti non mi hanno voluto ma i miei pazienti si”… E dunque recuperiamo Marino Piazzolla da suoi pazienti, cioè suoi lettori.

20 novembre 2002

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Immagine:
Antonio Belém, Phorbéa, Napoli 1997


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