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Giovanna
Frene, Spostamento
Lietocollelibri,
Falloppio (Como) 2000, pagg. 49, € 10
E’ rarissimo nel panorama poetico di ogni paese dove si pratica la poesia che un libro, tanto più di una poetessa giovane come Giovanna Frene nata nel 1968 ad Asolo in provincia di Treviso, arrivi alla quarta edizione; la penalizzazione della resa in termini economici della cosa chiamata poesia, inflazionata del resto come secondo un’affermazione di Maria Luisa Spaziani, in cui l’autrice paragona la massa cartacea di quanto si scrive (poiché tutti pagando possono pubblicare un libro di poesia), alle borse piene di cartamoneta che usavano prima del nazismo o al suo inizio, le donne tedesche per recarsi al mercato, nel suo essere cinica, coglie nel segno il disagio della nevrosi postmoderna occidentale per cui chiunque da un giorno all’altro può definirsi poeta, cosa tuttavia nobile anche se pochi, pochissimi, entrano nell’Olimpo, perché, c’è una meritocrazia oggettiva in questo campo anche se si può essere felici anche della vittoria di un premio per la cui partecipazione bisogna pagare e si vince una medaglietta e non si esce su nessun quotidiano nazionale o forse rivista. Dopo
questo rapido excursus, torniamo al testo di Giovanna che ha vinto meritatamente
il Premio Lorenzo Montano del 2002 organizzato dalla Rivista Anterem nel
cui Comitato d’Onore risultano presenti Stefano Agosti, Giuliano Gramigna,
Claudio Magris, Edoardo Sanguineti e Andrea Zanzotto, tutti nomi di notevole
importanza nel contesto della letteratura italiana contemporanea; veniamo
ora a considerare a livello contenutistico e formale il testo della Frene
che porta nell’interno del libro come sottotitolo la dicitura
Poemetto
per la memoria: se per Goethe la poesia è sempre di occasione,
qui, proprio a proposito della memoria, il testo trova il suo nucleo e
la sua cifra essenziale: in memoria: di chi? La causa scatenante, quella
senza la quale la Frene scrive è un evento molto doloroso, la morte
per suicidio di un suo caro zio: sarebbe riduttivo parlare di dolore sublimato
in poesia, visto il meccanismo che ci sembrerebbe troppo automatico, mettendo
in scena, con approssimazione la critica psicoanalitica: motivazioni più
profonde che affondano nel mistero della creazione artistica, sottesa a
sentieri che il giorno non conosce e dove tuttavia la poetessa, la Frene
in questo caso, lascia un’impronta formale attraverso l’elaborazione personale,
tramite la sua persona a livello di scatto biologico che è unico,
come sono i suoi strumenti stilistici, il suo controllo, la sua poetica,
il suo stile sempre originalissimo, punto fondamentale per essere veri
poeti. Qui
è davvero il caso di dire che Giovanna riesce magistralmente a dominare
nei suoi versi, caratterizzati da un incontrovertibile nitore, le sue emozioni
per quanto intense e dolorose possano essere, caratteristica della vera
poesia: la poetessa riesce a realizzare una forma-poemetto, seguendo
con successo, di verso in verso, da sintagma a sintagma, un poiein che
potremmo definire permeato da una classicità postmoderna: c’è
un forte e teso distacco, tra l’argomento tristissimo di cui si parla e
la voce poetica forte e una fervida fantasia, un’incredibile padronanza
dell’incandescente materia trattata… le gocce di lagrime presunte si condensano
in brina, e il gesto fatale dello zio riesce a divenire un argomento, un
leit-motiv che rende il tutto, il poemetto, dicevamo, un vero e proprio
requiem di natura italiana o mitteleuropea che sia, per usare una metafora
musicale, nella finezza e anche nel dettaglio mai macabro, mai permeato
da morbosità, come afferma Giovanna in un pezzo intitolato Perché
non sono un poeta necrofilo, pubblicato sul sito delle edizioni Lietocolle Se
la poesia è sempre metafisica, nel componimento intitolato dell’irradiazione
ne traiamo un chiaro esempio /luce della luce dei corpi senza luce/
luce dell’essere dei corpi senza essere/ essere un tempo dei corpi senza
tempo/ diversamente linguaggio ai bordi della parola/ appena pronunciata
sulla tela immaginaria contorno/ lenta illuminata irradiazione di insufficienza
ovale/ evanescente scendi sul suo capo sul suo cranio opaco/ come sentita
natura di uranio di cera/ nella notte svanisce della sera il tuo crepuscolo
di sasso/ non a un passo dalla chiusa di soluzione/ mortomorto senza assoluzione;
qui si prova il senso della pietrificazione della morte. … Uno
stile stretto, compatto, non rinuncia a presentarsi nella sua originalità
che pur quasi si arrende a un pudore nei riguardi dello spettro di una
informità definitiva, e dà la giusta misura dell’intelletto
d’amore dell’autrice. Ma quale dorato barocchismo di visioni, e infine
quale stravolto scintillio d’immagini muove il tessuto denso e coattivo
di questo dire!”, afferma nella nota introduttiva Andrea Zanzotto,
cogliendo nel segno la poetica dell’autrice che in Spostamento manifesta
in modo particolarmente profondo il collassare dell’animo per la tragica
scomparsa del carissimo zio, quasi nel percorso di una paventata e pur
necessaria maniera di sincrono annichilimento; proprio questo annichilimento
diventa arte, filtrata dalle bellissime immagini della Frene che hanno
qualcosa anche di filosofico e un misticismo che direi naturalistico. Memoria,
dunque, scatto che dalla corporeità passa alla fine senza la minima
sbavatura, senza il minimo cedimento all’emotività, senza mai gemersi
addosso, il tutto alla ricerca di un fondamento di senso che si fa, per
un’urgenza del dire, del verbo, del comunicare, poesia veramente alta. 3 gennaio 2003 Indice generaleImmagine: Antonio Belém, Phorbéa, Napoli 1997 Per informazioni, si prega contattare la direzione |