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Gabriela
Fantato, Northern Geography
17 febbraio
2003
Indice
generale
Gradiva Pubblications – Story Brook, New York 2002, traduzione di Emanuel di Pasquale, testo italiano a fronte. Cinquantasei pagine, prezzo tredici dollari I ventiquattro
testi che costituiscono Northern Geography di Gabriela Fantato sono come
prima cosa e primo impatto emozionale per chi scrive queste righe, un motivo
di soddisfazione e una rincuorante conferma della vitalità della
poesia italiana. Questo libro infatti introduce – come non manca di notare
Alfredo De Palchi nella prefazione -–un nuovo autore italiano presso i
lettori americani. La poesia italiana contemporanea sta ottenendo attenzione
in questi anni, soprattutto negli Stati Uniti e in Spagna. Gabriela
Fantato si aggiunge ora alla nostra pattuglia di poeti “under 50” che sta
sfondando il muro della connotazione territoriale portando all’estero la
voce della nostra cultura . La scelta
compiuta dalla casa editrice di New York è peraltro felice e basata
su una consolidata e raffinata solidità delle poesie di Gabriela. Fantato
sa infatti condensare, raggiungere, nella sua sapienzale poesia, i concetti
in dense immagini, lampi di significato stratificati… Cito qui subito qualche
verso: è l’incipit della poesia giorni di ieri ( pagina 18 ) “ e
non mi tornerete più/ con quelle risa dei vent’anni/ nelle borse
colme di cappelli/ dentro una pancia tesa di piacere/ (le corse tante per
restare/ sui baci in fretta, sulle punte/ quasi solo per morirci senza
male)// … Lampi di
significato – dicevo – stratificati come detriti di un fiume in piena nella
mescolanza logica di un espressionismo lirico che chiede heideggerianamente
un proprio decrittatore mentre i giorni di ieri, le risa dei vent’anni
e i baci, gli slanci d’amore, ci hanno nel tempo forse lasciati e la vita
nostra è divenuta muro autunnale, luogo dell’impatto frontale su
cui si sbriciola l’estate degli inizi… come Gabriela dice nei due ultimi
versi, bellissimi “ ma intanto l’estate era finita/ nel muro della vita.” Vorrei
dire ancora qualcosa ad esempio della poesia tempo dilatato la prima della
raccolta: anche questa infatti – come giorni di ieri la precedente – mi
pare contenere delle cifre stilistiche valide in generale per capire
i testi di Gabriela. Qui intanto, a livello teoretico, si conferma l’attenzione,
la riflessione costante, il desiderio di dire e penetrare nel concetto
di tempo… “ aspetto tutta la noia per goderlo/ tondo nella mano l’ozio/
senza colpa né paura/ e il tempo intanto s’allunga/ ruga precisa
dentro l’occhio/ che il martirio ora invoco/ al fondo del bicchiere denso/
e intero venga oblio/ con la sua corte muta/ consunta d’eterno, senza pace.”
Ecco Gabriela sa e ci dice come l’oblio attinga all’eterno perché
supera la vitalità del continuo cambiamento assicurata dal caduco.
E’ dunque – tutto ciò che attiene all’eterno – oblio delle cose,
è dunque senza pace, forse disperato… noia e ozio allungano il tempo
invece, scrive Gabriela Fantato, invocano il martirio di sé. Questo
libro così interessante e teoreticamente denso si avvale anche di
una acuta e definitiva introduzione di Milo De Angelis. De Angelis enuclea,
con sicura intelligenza della poetica di Gabriela, quella che giustamente
definisce “ nota dominante, suonata con maestria…” E’, ci
chiarifica Milo De Angelis, “… un doppio tempo, per così dire, della
visione. Il suo sguardo dapprima fissa una scena – domestica, consueta,
amichevole – e continua a fissarla, e nel suo insistere la trafigge, la
getta nel suo risvolto segreto, buio, fecondo, drammatico, un altro mondo”. De Angelis
qui arriva – grazie allo scarto della sua esemplare capacità metempsicotica
del poetico – alla radice nuda stessa della poetica di Gabriela. Dietro
alla visione si apre un baratro che è – direi io – la diacronia
della visione, la carica significale che la stratificazione le conferisce
mentre spezza la superficie e l’immagine, per accumulo, ritorna alla radice
delle cose: il tempo. Ritorna all’assenza, al nulla che contiene. Si guardi
una poesia come sullo sfondo, il testo di pagina 28, dedicato alla fanciullezza,
ai genitori, a Cronos padre del padre degli dei Zeus, verrebbe da
dire. Si legga questa netta, lucida poesia. Questa poesia terribile nella
capacità di andare alla radice, spietata nel tentativo di fronteggiare,
attraverso il tempo, l’enigma dell’essere. Con questo
testo senza appello vi lasciamo, lasciamo questo ricco, vivo libro… “ vi
ho visti svanire piano, piano/ contro il bordo del tavolo in cucina/ perduti
nella stanza dilatata/ girando la minestra con la zucca/ ( solo restano
le risate di mia madre/ ragazza di trentanni che mi culla)// adesso tutto
scorre nella scia/ su marmo lucido all’entrata/ tra i solchi di piastrelle/
giocando a nascondino// … // e restano labbra appena, appena aperte/ a
invocare il bacio, quell’incontro/ e fuori è già il giorno
che ci fugge.” Immagine: Antonio Belém, Phorbéa, Napoli 1997 Per informazioni, si prega contattare la direzione |