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Marco
Ercolani, Il demone accanto, Edizioni L’Obliquo 2002
17 febbraio
2003
Indice
generale
“Non so
cosa consigliarti. D’altronde, non è che tu mi chieda niente. Ti
appaio e basta. E’ mezzanotte e ventisette minuti. Continua a dormire”
e … “Dormi con calma . Ma un giorno dovrai svegliarti. Sentirti cosciente.
Inorridire.”(pag. 12). Così si apre questo libro di Marco Ercolani,
autore di racconti fantastici e saggi critici – poetici e svelanti- su
alcuni poeti contemporanei, oltre che redattore della bella rivista di
letteratura, filosofia e psico-analisi “Arca”. Così inizia e subito
inchioda alla lettura questo poliedrico, funambolico e ambivalente monologo
e - come il lettore - l’autore, colto in piene notte semidormiente, viene
svegliato, poi coinvolto e infine scosso dal procedere denso, fitto di
intuizioni e visioni che lo assalgono e lo pungolano Ma chi è la
voce che esorta, interroga, consiglia e provoca? E’ un “demone” che si
rivolge all’autore e questi lo lascia parlare, si fa di lato, scompare
e ascolta soltanto. Questo “demone” - che non rivelerà mai la sua
precisa identità- ricorda il “demone” socratico: non ha nulla a
che fare con creature infernali di dantesca memoria o con certe creatura
delle ghost stories, ma è una voce interiore, la voce di una zona
non conscia che può emergere nella notte e farsi presente all’autore
come fosse altro, eppure da lui inseparabile, sua vera identità,
soffio: “Non smetterò mai di esserti accanto”- afferma il demone-
e più oltre “…il problema sono io. Io, aggrappato a te; io, che
sono tutto quello che tu non sei. Io, il tuo non-essere ”(pag.60). Al centro
di tutto il libro però non c’è una questione psicoanalitica
di identità, bensì domande inerenti il senso stesso della
scrittura, con i risvolti estetici ed etici sul senso del prendere parola
e farsi testimone del/nel mondo, sino a scoprire la voglia di gridare se
nessuno ascolta: “Non esiste luogo dove mettere la rabbia, dove pensarsi
in rivolta. Se non vuoi impazzire, esci. Ma non accrescere il numero dei
morti. Una via di salvezza c’è. Scrivi”(pag.15). Nel procedere delle
pagine si scoprono i toni differenti - mai ripetitivi o mono-tonali- con
cui il “demone” parla: ora irato, ora deluso, talvolta lirico, sovente
oracolare. . Il monologo si fa serrato, diventa colloquio allo specchio
tra chi parla e chi ascolta: il demone-autore parla in una prosa intensa
e visionaria, concettuale e immaginifica insieme che non ha nulla dell’intonazione
saggistica o critica: non fredde elucubrazioni, ma un bruciante interrogarsi
che si sviluppa a spirale e - come per partenogenesi – un’immagine ne produce
un’altra, un pensiero uno ad esso connesso ma più scavato, più
sfuggente e più preciso al contempo. Registro linguistico e
ritmo del libro avvicinano quest’opera alla prosa poetica, ma anche a certi
testi filosofici tardo rinascimentali – penso a un certo Giordano
Bruno – in cui il furor intellectualis si fa potenza creativa di immagini-concetti,
sfiorando talvolta il tono tragico. Lo scrivere infatti si risvela
essere un destino cui non si può sfuggire, pur nelle contraddizioni
interne da cui si è tormentati e persino travolti: atto di presenza
al mondo e -allo stesso tempo-luogo di assenza o clandestinità.
“ Si scrive sempre in mezzo agli altri, anche quando si è perfettamente
soli. E’ un rito che solo apparentemente si consuma dentro una stanza.
In quella stanza ci sono spiriti, enigmi, nodi da sciogliere…” (pag. 92).
Eppure, procedendo nella lettura ci rendiamo conto che non ci sono risposte,
che non si può definire la condizione di “osservatore addolorato
e partecipe”(pag. 98) che è dell’autore e del demone stesso, ma
solo sfiorarla, aggirarla e perderla di nuovo. La voce del “demone” comunque
non tace e non la si può fermare: “ Lascia che parli solo io. Non
interrompermi. Sarò io, quando lo vorrò, a tacere .” (pag.
136). E proprio come era iniziato- aprendosi un varco nel buio e nel silenzio-
il monologare avrà fine improvvisamente:“Ora basta: Cerca di dormire.
Cerca di dormire”. E dopo aver seguito (talvolta anche solo per tracce
e intuizioni) la voce che ci parla dalle pagine, risulta davvero impossibile
chiudere gli occhi e scordare tutto ciò che questo libro è
riuscito a chiamare in causa e ad agitare in noi lettori. Il “demone” che
Marco Ercolani ha evocato ci sta appresso, ci abita, è diventato
voce di gioia creatrice e di dolorosa incapacità di afferrare le
parole, fonte di consapevolezza lucida e insieme eco di grida. Siamo costretti
a seguirlo, ne vale davvero la pena . Immagine: Antonio Belém, Phorbéa, Napoli 1997 Per informazioni, si prega contattare la direzione |