|
||
Antonio
Spagnuolo, Rapinando alfabeti, Prefazione di Plinio Perilli
23 febbraio
2003
Indice
generale
L’Assedio della poesia, Napoli, 2001, pagg. 96, s.i.p. Chi conosce
le opere di Antonio Spagnuolo sa che, per lui, il corpo femminile è
emblema poetico da sempre. Pertanto la vicenda erotica, che fa da supporto
ai versi, finisce per essere un pre-testo di un’altra vicenda, quella della
parola e del suo rapporto con la realtà che la ingloba e la significa.
Ciò è tanto più vero con questo Rapinando alfabeti,
che già nel titolo esplicita “...una aspra e inquieta dichiarazione
di poetica...” come dice Perilli nella Prefazione, e come risulta chiaro
compulsando i primi tre versi di pag. 42: “Rapinando alfabeti/ decompongo
lo spazio di ginocchia,/ nella spanna di sillabe e cesure” con gli ultimi
quattro di pag.56: “dai gesti altro rimanda il tuo respiro/ nello spezzare
vertebre e meningi./ Anticipando le tue evanescenze/ contraccolpo di reni”. Ecco che
allora il corpo femminile si metamorfizza nel corpo della parola (e anche
viceversa), diventa un campo aperto dove operare qualsiasi effrazione,
una specie di stabulario se si vuole per esercitare la propria passione
di ricerca, per scoprire nuove possibili vie al piacere in funzione dell’amore.
“Nei testi si accalcano più voci, spazi, soggetti diversi, prospettive
differenti tese a ricondurre il corpo-linguaggio ad una perduta unità,
ad uno stato di salute (fisico e spirituale) originario, nel quale la natura
sia finalmente placata, per l’intervento del poeta, che nel Rito ha sacrificato
se stesso e la sua voce...” scrive Massimo Pamio nella monografia dedicata
a Spagnuolo, passo che Perilli riporta in Prefazione. E’ una passione che
muove dall’amore della conoscenza e dall’amore teso e inteso a ricondurre
a unità le varie parti del corpo/linguaggio disarticolate o anche
violentemente sezionate ma per ricercarne le intime essenzialità.
“Dalle tue intime stoffe strappo le palpebre/ ad esorcizzare ogni mia esattezza,/
mentre l’incenso fruga luoghi avvezzi/ alla disperazione” (ancora pag.56). Si ha così
una doppia lettura: quella della vicenda umana, in cui l’incipiente degrado
del corpo sollecita rigurgiti di resistenza, non prevede la resa, invece
“Sperando che la mia vecchiaia/ sia ancora luogo della perdizione”; e la
vicenda intellettuale all’interno della quale il linguaggio, come il corpo,
tende ad invecchiare, a diventare inutile, e che perciò è
necessario rivitalizzare, non curare ma riscoprire nelle sue nuove e inedite
possibilità, come la consapevolezza di essere ...”voce fuori dal
discorso,/ anche fuori dal tempo, a ribadire proditoriamente/ che la poesia
somiglia al fango/ nell’impasto emorragico/ di un’arteria in dissezione”
(pag.74). Spagnuolo fotografa il momento dell’effrazione, quello che precede
alla ricostituzione di una nuova vita. La rapina
degli alfabeti, come la rapina delle membra di un corpo lo muove in una
direzione oscura anche a se stesso dove il segno dolente che lo marca non
riesce a diventare forza di luce. “Nell’offrirti per la prima volta,/ ti
prego svelami il segugio/ della mia disperazione”. “Disperazione stilistica,
disperazione sperimentale, disperazione contenutistica – presto magari
ribaltate in assuefazione, in consumazione, in attenuazione...” momento
di debolezza che non si fa sostanza, perché la forza insita nella
vita porta il poeta a ritrovare altre strade, altre possibili effrazioni
per risalire alla luce. “Rapinato, l’alfabeto ritorna meglio in nostro
possesso, ci salva dalla spoliazione della coscienza, dall’afasia dei valori,
dalla morte dell’anima, dall’espiazione del corpo...” scrive ancora Perilli. Ecco allora
che la poesia di Antonio Spagnuolo è metafora della vita, della
vita che continua e si rinnova e non si dà pace, se non quella che
consiste nella ininterrotta sperimentazione del proprio essere. Immagine: Antonio Belém, Phorbéa, Napoli 1997 Per informazioni, si prega contattare la direzione |