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AUTOGRAFO
44, Maria Corti, Congedi primi e ultimi
Indice
generale
Rivista fondata da Maria Corti Centro di ricerca sulla tradizione manoscritti di autori moderni e contemporanei Università di Pavia Interlinea edizioni, pagg. 238, € 25
La
rivista semestrale Autografo, fondata e diretta da Maria Corti, esce con
questo numero monografico proprio con un congedo alla sua fondatrice, la
grandissima critica letteraria, oltre che poetessa, che ci ha recentemente
lasciato. Figura di grande prestigio nel panorama poetico italiano, la
Corti ha implicitamente lasciato un contributo fondamentale, di scritti
coltissimi e struggenti, come per esempio, nei suoi diari, pagine che sottendono
una grande umanità, una forte tensione verso la vita e sentimenti
che lei magistralmente ci trasmette e che appartengono, probabilmente,
in misura maggiore o minore a noi che la leggiamo. Molto
bello anche il repertorio d’immagini fotografiche che chiudono il volume,
a partire dalla foto di Maria bambina, scattata nel novembre del 1919,
in un parco: da questa immagine trapela il senso e il fascino di un’altra
epoca, l’inizio del secolo: i vestiti indossati dal padre e la madre di
Maria, il padre con i baffi, trasudano un grande fascino per noi figli
del postmoderno occidentale, un’epoca ormai spesso rimossa dalla coscienza
dell’ uomo contemporaneo, immagine felice anche perché scattata
nel 1919 alla fine della Grande Guerra. Leggiamo
in un suo scritto del 1942:-“C’è qualcosa di più tremendo
della disperazione. E’ una certa cosa statica di dentro, che viene dopo
la disperazione”…, che, in senso ontologico, può essere una
disperazione universale ed esistenziale, connaturata all’animo umano, un
senso di smarrimento connesso forse anche agli anni della dittatura fascista
e della seconda guerra mondiale, fenomeni tragici che hanno minato la dignità
e la libertà umana tanto più care alla Corti in quanto persona
creativa, sensibilissima proprio per la sua identità di poetessa
e critica letteraria, oltre che docente universitaria. Leggiamo
in un altro appunto diaristico risalente al 10 maggio 1942:-“Eppure
forse uscirò da tutta questa storia, la mia vera misura è
più alta: devo essere fedele a tale misura e maturare. Certa volte
mi sembra di dover trattare la Maria Corti che ama, che piange ora ecc.
come fa una mamma, che abbia messo su un alto muricciolo il bimbo e gli
abbia detto:-“Sta lì fermo, non ti muovere, aspetta che io torni”…
E quando tornerò, cara Maria Corti di ora, tu non sarai che il mio
più caro personaggio. Penso che devo essere fedele a me, soprattutto
quando mi ricordo della mia infanzia e di come allora presentissi ciò
che sarebbe a me accaduto in avvenire: questo presentimento mi rendeva
estranea agli altri fanciulli e nel gioco mi rendeva distratta e inferiore
a tutti: la palla, rimbalzando di mano in mano nel cortile del collegio
delle Marcelline, ove allora si giocava, raramente giungeva alle mie manie
quando giungeva, esse la lasciavano cadere; mi restava allora in cima alle
dita vuote il senso di una gioia perduta. Mi
diedi tutta a un libro e a un altro libro e così ancora, ma non
sapevo leggere, non sapevo che si ha da dare tutto, mi comportavo con un
libro come il frate con il crocifisso della sua cella, non vedevo il sole
che al di là della grata riscaldava l’erba. Fu così che quella
volta a Pellio, entro il camino di marmo rosso, sul sedile affumicato bruciai,
mentre leggevo, la gonna, le calze e non me ne accorsi: papà spaventato
non mi lasciò più leggere. Questo
provvedimento era per me incomprensibile.” Nel
brano suddetto notiamo una fortissima fede per la lettura, per il
libro oggetto di culto e di bellezza: questa sicurezza in un periodo storico
travagliato, questo volere evadere dal tempo naturale e della Storia, dagli
orologi, con un’immersione totale nella presunta fantasia di un libro,
fino al paradosso della bruciatura della gonna e delle calze nel camino,
ci fa pensare alla reale funzione formatrice e necessaria della lettura
che è stata dimostrata,
anche in epoca odierna dalla psicologia:
leggere buoni libri fa bene. Inoltre si nota, connaturata all’atto della
lettura, una forte tensione mistica, come quando viene rievocato il convento
delle Marcelline o l’autrice paragona, l’atto della lettura al rapporto
tra un frate nella sua cella con il crocifisso: il libro diviene mistico,
apotropaico e salvifico come il crocifisso per il religioso. Leggiamo
un altro frammento diaristico di Maria Corti datato 10 ottobre 1948, vale
a dire in tempi migliori, nell’epoca postbellica e della ricostruzione
europea dopo la seconda guerra mondiale, tre anni dopo:-“Visita ai quadri
di S. nel suo abbaino: non so come la critica lo lodò tanto; però,
Maria, non dimenticare la meravigliosa posizione di quell’abbaino. Con
l’ascensore all’ottavo piano, da lì una scaletta che saliva all’abbaino
e pareva che portasse “natural burrella” a un cielo, chissà, di
sante dorate. Poi
quattro parete bianchissime a calce, un soffitto basso a volta, tele, pennelli,
tavolozza su una sedia; a destra, scritto a matita sul muro, un motto di
Cézanne sulla geometria cosmica. Poi una finestra e tutto riusciva
aereo per via di quella finestra e di quel cielo di abbaini, senza limiti
di sorta: i muri bianchi della soffitta si allungavano, all’infinito, oltre
l’orizzonte! C’era anche una branda, tre scranni, una tavola piena di tutto
e una lampada verde, che guardava quel tutto. C’erano persino delle ciliegie,
sparse sul legno, rosse come labbra di donna sulla tavola francescana.
Anche un passero, prima che me ne andassi, si posò sulla finestra,
guardò col capino smorto e volò via, trillando esilarato. Sì,
ma i quadri erano indegni di tutto ciò. Qui si nota una forte
tensione verso il bello, anche se i quadri di S. erano indegni di tutto
ciò e da ciò emerge un disagio esistenziale che si esemplifica
nel brano diaristico datato 5 aprile ’49, secco e lapidario”Datemi forza,
mio Dio, Datemi forza!”. Qui si vede, insieme all’ansia per il bello
una forte tensione mistica che è presente in tutti i brani citati,
una ricerca di Dio, Dio in cui abbandonarsi per trovare la forza di proseguire
il cammino terreno. Nel brano del 10 0ttobre ’48, notiamo che la Corti
rimane delusa dai quadri ma affascinata, ammaliata, dalla cornice che
li racchiude (l’abbaino all’ottavo piano, il fascino della salita in ascensore
per raggiungerlo, le quattro pareti bianchissime, il motto di Cézanne
sulla geometria cosmica e delle ciliegie rosse, sparse sul legno, rosse
come labbra di donna sulla tavola francescana), (qui si coniugano erotismo
e misticismo). Il
testo è scandito in diverse sezioni: la prima è intitolata
Congedi, poi Pagine di Maria Corti da cui abbiamo citato, poi Lettere di
Maria Corti a Benvenuto Terracini e poi “Cara Maria”, Tra
i Congedi, particolarmente pregnante quello di Ezio Raimondi che,
acutamente, afferma che anche la produzione preromanzesca della Corti,
quella saggistica, è intrisa di linfa narrativa che si esemplifica
in Viaggio testuale: qui è molto interessante notare che
tutto si riconduce a quello che Raimondi chiama”il senso narrativo”,
il flusso della vita, il senso, per usare una parola cara a Maria Corti:
interessante il discorso sui minori che dovrebbero essere recuperati da
quel grande cimitero che è la Storia per rivalutarne le loro potenzialità
e metterli in confronto dialettico con i maggiori. Grande
figura, quella della Corti, giustamente salutata da questo numero monografico
di Autografo che è stato fondato e diretto dalla stessa Corti, Autografo
che, dopo la morte della sua animatrice e direttrice, dovrà trovare
nuove coordinate, ovviamente seguendo tutto ciò che Maria ci ha
lasciato. 12
marzo 2003
Immagine: Antonio Belém, Phorbéa, Napoli 1997 Per informazioni, si prega contattare la direzione |