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Tarantelle e tammorriate: devozione e irriverenza nelle celebrazioni del calendario religioso partenopeo. Conferenza Salford, 22 February 2003- Gruppo 62 Italy Cultural Studies: Centers and Pheripheries Questo mio
intervento sulle relazioni esistenti tra le espressioni musicali e coreutiche
di tarantelle e tammurriate, di cui sono particolarmente ricche le tradizioni
popolari pugliese e campana, e il culto della Madonna nei vari paesi dell'area
vesuviana, inquadra il fenomeno da una prospettiva espressamente antropologica.
È mia intenzione fare riferimento ad alcune esperienze dirette,
da me acquisite nel corso di spedizioni didattico-formative di ricerca
sul territorio
durante i miei studi accademici presso l'Università di Salerno.
L'occasione era offerta da una serie di feste popolari che hanno luogo
annualmente nella provincia di Salerno, di cui la ricorrenza
a carattere religioso di Pagani, denominata 'La Madonna delle Galline',
riveste un particolare interesse per la compresenza di forme sacre e profane
fortemente caratterizzanti all'interno di uno stesso rituale. Il gruppo
di ricerca che si è occupato di tale evento specifico operava sotto
la guida dell'antropologo Paolo Apolito, professore del dipartimento di
Beni Culturali della Facoltà di Lettere e Filosofia dell'ateneo
salernitano. Alla fine degli anni Ottanta, tali studi sui simboli, i miti
e i tabù delle celebrazioni sacre presenti nell'area dell'agro-nocerino-sarnese,
ebbero il merito di contribuire a scoprire, rivalutare e divulgare i codici
e le norme di quelle forme specifiche di ritualità, non solo, ma
anche e soprattutto di gettare luce su determinate realtà sociali
ed economiche proprie della periferia di questa vasta area etnografica.
Per il contenuto di questo saggio sono, dunque, del tutto debitrice all'insegnamento
e alla guida del caro amico Apolito che, a suo tempo, e ponendomi nel ruolo
d'osservatrice privilegiata e compartecipe, aiutò a chiarire a me
stessa le complesse articolazioni di senso di quelle sfere del sacro e
del profano attive, non solo come residuo, nella mia identità personale
laica e moderna. Nell'area
dell'agro-nocerino-sarnese e in quella vesuviana situate tra il Golfo di
Napoli e il Golfo di Salerno, vale a dire nel territorio naturale e urbano
che circonda il Vesuvio, con le sue campagne e città antichissime
come Pompei, Scafati, Nocera Inferiore, Pagani, la celebrazione delle festività
religiose - in particolar modo di quelle che coincidono con le date del
calendario liturgico connesso al culto della Madonna - offre il pretesto
alle annuali 'tarantelle' e 'tammurriate' che accompagnano messe solenni
e sontuose processioni. Spenderò
qualche parola a chiarire i due termini tecnici che mi sentirete impiegare.
In primo luogo, l’aggettivo ‘coreutico’ si riferisce a tutto cio’ che é
ed inerisce alla danza. La performance
della tarantella impone ai ballerini un ritmo di grado e tensione notoriamente
molto elevati come chiarisce l'etimologia stessa del nome, che ha per radice
la parola 'tarantola'. Secondo un'ipotesi comune, infatti, il suo ritmo
vivace si svolgerebbe in un crescendo che dall'inizio del brano musicale
giunge alla conclusione, simulando quella peculiare patologia psicomotoria
definita 'tarantismo'. Quest'ultimo definirebbe quel complesso di convulsioni
indotte dal veleno iniettato nel corpo della vittima dall'aculeo della
"Lycosa tarentula". Tale ipotesi è sostenuta dal carattere stesso
delle evoluzioni della tarantella, che conducono a una fase di accelerazione
parossistica del suo ritmo, fondato su un tempo musicale di 6/8 e 3/8 molto
sostenuto. Prevalentemente ballata da coppie e/o gruppi di donne, tale
peculiarità coreutica concorreva a deciderne il carattere 'isterico',
indicandone i legami con quel tarantismo pugliese analizzato dall'etnoantropologo
De Martino nel suo studio del 1961, La Terra del Rimorso sui fenomeni di
possessione e delirio mistico nell'area salentina. In generale,
nella tarantella classica, sono tre i modelli coreutici, che tendono ad
una condensazione e ad una successiva dilatazione di accenti. Tali modelli
sono suggeriti e appoggiati dagli strumenti e dal canto. Il primo modello
è dato da gesti con i quali si verifica il rapporto con lo spazio;
di conseguenza, il rapporto tra danzatori assume un carattere più
aggressivo. Il terzo modello, detto "rutella" (o "a vutata), è il
momento più frenetico della tarantella. Qui il tamburo batte in
uno, il cantatore cadenza su una nota molto prolungata o aggiunge dei versi
più brevi e i danzatori girano su se stessi o tra loro. I danzatori
muniti di "castagnette" associano al movimento delle braccia e delle mani
movimenti del bacino, gesti di diniego della testa e tutta una serie di
segnali tendenti principalmente allo sblocco delle tensioni muscolari.
Nel corso di una festa, alla presenza del maestro di tarantella, gli altri
danzatori si fanno da parte e osservano per lasciarsi guidare dal suo esempio.
Prima di De Martino, altri studiosi di etnoantropologia avevano fatto notare
come le modalità stesse della tarantella ricordino gli stati di
eccitazione psicomotoria del 'furore bacchico', raggiunto dai celebranti
nel corso dei culti dionisiaci. Andando a ritroso nel tempo, una menzione
di questa danza popolare, catalogata tra le cosiddette 'danze frenetiche',
è rintracciabile in un trattato del Seicento, di Athanasius Kircher,
lo studioso tedesco di Musica e Scienze Naturali, vissuto a Roma, che ebbe
modo di osservare da vicino il fenomeno della tarantella nel corso di ricerche
sugli effetti terapeutici della musica e del ballo nella cura di alcune
malattie nervose a carattere psicosomatico. Nel Seicento e Settecento,
questa danza gia’ risultava far parte in modo stabile di quelle tradizioni
popolari campane di tipo secolare, legate al tempo profano della semina
e della raccolta, quali eredi delle ritualità pagane connesse al
culto antico della Madre Terra, che ora si riversano nelle varie celebrazioni
religiose collegate al culto della Madonna. Oltre alla
tarantella, l’altro termine che sentirete citare e’ la tammurriata: si
tratta di una forma di accompagnamento musicale che viene eseguito con
delle tamorre, vale a dire con degli strumenti a percussione di piccole
dimensioni, altrimenti definiti tamburelli, a sottolinearne la maneggevolezza.
Negli spazi scenici in cui il rituale ha normalmente luogo, tali forme
musicali a ritmo battente scandiscono la fusione degli elementi coreutico-cromatici,
conferendo ulteriore espressività ai balli popolari a loro associati,
del tipo tarantella. Sebbene
resti formalmente contenuta nel tempo sacro delle festività religiose,
come nel caso della celebrazione annuale della Madonna delle Galline (Pagani)
studiata e rivalutata da Apolito, la tammurriata (che è una versione
meno veloce e complessa di tarantella) sembra mantenere intatte nella pratica
collettiva le sue qualità terapeutiche. Come evento musicale e coreutico,
la tammurriata dunque consente ai danzanti lo sfogo delle frustrazioni
accumulate nel tempo profano, tempo in cui le problematiche dell'esistenza
individuale e collettiva si concentrano soprattutto attorno al lavoro e
alla produttività. In tal senso, nell'agro-nocerino-sarnese, la
tammurriata puó essere considerata una forma di esorcizzazione dei
pericoli insiti nella natura stessa del territorio alle falde del Vesuvio.
Infatti, come espressione fulcro di questo complesso rituale laico e religioso,
e in contrasto emblematico con la solenne compostezza dei rituali della
religione istituzionalizzata, i celebranti, che per le strade partecipano
a mantenere ininterrotta la performance collettiva della tammurriata, accompagnati
da tamorre, putipú, triccaballacche e muniti di nacchere, forse
nutrono in primo luogo la speranza di neutralizzare in tal modo le energie
negative prodotte dalle forze nullificatrici del tempo produttivo. Nell'ambito
dei linguaggi magico-rituali delle feste popolari dell'area vesuviana e
agro-nocerino-sarnese, la tammurriata e la tarantella, come espressioni
affini e interagenti, si situano, dunque, in uno stesso perimetro cerimoniale,
la piazza, il cortile, il sagrato dinanzi alla Chiesa, definendo un medesimo
circolo coreutico-musicale-cromatico. A ciascun appuntamento importante
del calendario religioso - come La festa della Madonna dell'Arco, della
Madonna dei Bagni, della Madonna delle Galline, la Madonna Avvocata, di
S.Anna a Lettere, della Madonna di Materdomini,
e della Madonna di Montevergine - si assiste a una sorta di raduno 'spontaneo'
dei cosiddetti
'tammorrari' (ovvero dei suonatori di tamorra), che accorrono per accompagnare,
con i loro ritmi, il popolo danzante. La tammurriata richiede al soggetto una partecipazione
dinamica cosí intensa e 'competente' da rivelarsi presto all'osservatore
esterno come una forma d'arte popolare non gregaria delle forme alte di
danza, e per giunta visibilmente estranea alla mimica della ritualità
religiosa. I danzatori ne esprimono appieno la matrice popolare autonoma. In questa
luce, la danza e la musica della tammurriata vengono a svolgere nel sociale
quell'azione coesiva di cui parla Baktin nella sua analisi del mito come
forma di dialogo e scambio simbolico tra individui al di lá del
controllo imposto dalla rigida gerarchia di valori e ruoli imposti dagli
istituti della religione ufficiale (Baktin, 'Dialogue - II, in Sbranie
sochinenii v semi tomakh, tom 5, Raboty 1940 -kh godov, S.G. Bocharov and
L.A. Gogotishvili [eds], Moscow, 1996, p. 223). Passiamo
adesso all’occasione religiosa inq uestione: la Madonna delle Galline.
Il suo culto origina dalla sovrimpressione di riti cristiani e preesistenti
culti pagani: la leggenda vuole che nel 1503, il giorno stesso in cui fu
rinvenuta l'effige miracolosa della Madonna del Carmine, alcune galline
stessero saltabeccando là dove attualmente sorge il Santuario barocco,
edificato in suo onore per sua volontà. E' ipotizzabile che il significato
più profondo della denominazione di questa festività nasca
dall'esigenza di notificare l'impatto che la presenza di questi animali
da allevamento ha sull'economia del territorio. Centinaia di volatili sono
annualmente offerti in dono alla Madonna affinché vengano poi rivenduti
ai fedeli in visita al Santuario: il giorno della celebrazione, la piazza
antistante la Chiesa viene ritualmente affollata di una moltitudine di
gallinacei e volatili, pulcini, oche starnazzanti, galli e galline, colombe
e tortore, anatre, e tra questi,
il pavone, che nell'antichità' era ritenuto il custode delle messi
ed è oggi il magnifico elementocoreografico che accompagna la statua
della Madonna delle Galline in processione attraverso la città di
Pagani. Mediante questo rituale religioso, quindi, il mondo contadino contribuisce
alla sfera del sacro, allestendola e condizionandola, entrando a fare parte
della sontuosa architettura barocca del Santuario e dei luoghi deputati
al culto della Madonna. Mentre la processione avanza al seguito della statua
della Madonna delle Galline attraverso le strade della cittadina, gruppi
di danzatori danzano ininterrottamente le loro tammurriate. Protagonisti
di questi spettacoli improvvisati tra vicoli e corti, sono uomini e donne
del popolo, mezzadri dei paesi limitrofi che da generazioni si cimentano
in questa speciale forma di ballo dalle radici popolari così antiche.
Le celebrazioni hanno luogo per la durata di tre giorni, durante i quali,
nei cortili, la gente, insonne, si da' a danze ininterrotte fino a che
non viene il mattino. Nell'assistere
a queste espressioni di energia collettiva, l'antropologo è indotto
a chiedersi quanto dei riti coribantici greci sia filtrato attraverso i
secoli, facendo pervenire fino alla nostra contemporaneità
quelle molteplici funzioni terapeutiche rivestite nell'antichità
dalla musica e della danza. Nel coribantismo, afferma Rouget nel suo studio
sulla connessione tra musica e trance, il rito pubblico istituzionalizzava
la ‘possessione’, imponendo l'ordine delle discipline artistiche al disordine
selvaggio pulsionale. Ma bisogna pensare che queste sono momenti collettivi
che vivono di dinamiche complesse tra il centro e la periferia che non
non cosí facilmente liquidabili e , dunque, della reciproca e problematica
incursione del sacro all’interno del profano, e viceversa, del profano
nella sfera del sacro. Ma a che
punto del calendario liturgico ufficiale hanno luogo queste danze popolari?
A Pagani, la tammorriata vera e propria ha inizio la domenica dopo Pasqua
con la Processione cantata che attraversa
le vie del paese e si srotola per i viottoli della campagna circostante
sotto una pioggia di petali di fiori e sullo sfondo di variopinte coperte
di raso ricamate appese fuori dei balconi a fare da degno fondale al passaggio
della statua in stile barocco della Madonna. Su entrambi i lati, al suo
passaggio, si sfrenano le tarantelle e le tammurriate dei danzatori e della
folla dei fedeli. Tra i molti doni offerti all'icona della Vergine, prodotti
dal lavoro di contadini e artigiani locali, un rilievo particolare hanno
le nacchere e tammorre, offerti dai musicanti quali simboli della loro
partecipazione attiva e decisiva. Nella serata della domenica - al ritmo
inarrestabile e coinvolgente dei canti e delle danze, battute dal suono
di nacchere e tammorre, ha inizio la Veglia alla Madonna. Infine, all'alba,
i tammorrari in corteo che raggiungono il Santuario dove, dopo il "Canto
a figliola", deporranno le Tammorre ai piedi della statua della Vergine. Sul piano
dell'estrinsecazione fisica di quei rapporti sociali di scambio osservabili
tra gli individui compartecipi
di un dato rituale - a cui si riferisce Baktin nel saggio citato 'Dialogue,
II' - gli aspetti spettacolari delle tammorriate non costituiscono soltanto
variazioni che le pratiche del culto ufficiale assumono, ma segnano il
momento spettacolare stesso della sociologia dell'altro, vale a dire l'occasione
in cui il singolo si rispecchia tangibilmente nel suo vicino - legittimando,
tra l'altro, anche forme di sottile aggressivitá o ostentata seduzione,
come diviene evidente nella performance stessa della tamurriata, man mano
che le coppie di danzatori, composte da individui di sesso ed etá
non necessariamente uguali, entrando in un contatto che si fa sempre piú
intimo, intensificano le figure di cui si compone il ballo (si notino,
a questo proposito, la complementarietá delle movenze facciali,
il mantenimento dell'eye contact, l'incrocio erotico delle gambe,
il vicendevole stimolarsi delle mani che battono il tempo con le nacchere,
i movimenti ad avvitamento dei corpi dei danzatori piú esperti). Dai primi
studi condotti da Paolo Apolito nell'agro-nocerino-sarnese, numerosi sono
stati gli appassionati di taranta e neotarantismo, e danze folkloristiche,
che hanno voluto arricchire la tradizione, modernizzandola e interpretandola
in modo a volte anche personale, come nel caso della 'Nuova Compagnia della
Tamorra'. Infatti, se, come indica Luckmann ne La religione invisibile,
"la condizione antropologica della religione va ricercata nella 'dialettica'
tra individuo e società di cui sono pervasi i processi attraverso
i quali si individuano la consapevolezza e la coscienza" (Luckmann, p.
108), allora concluderei notando come anche nei rituali della Madonna delle
Galline, la soggettività si riconosca nella collettività,
differenziandosi al contempo dall'ordine gerarchico di questa, grazie a
quella peculiare esperienza di sé conferita dalla libertà
espressiva di tali forme musicali e coreutiche. Tarantelle e tammurriate
costituiscono, dunque, una parte centrale dei momenti di coesione popolare
nei paesi della periferia di cui mi sono occupata in questa sede. Da tempo
immemorabile la matrice popolare partenopea di tali feste ha innestato
le sue espressioni musicali e coreutiche, pregne di vitalità ed
euforia, nel tessuto stesso della religiosità ufficiale, operando
una trasgressione dei criteri stessi della devozione ortodossa, e rivelando
al contempo una grossa porzione di sensualità e irriverenza, malessere
individuale e angoscia collettiva. In tal
senso, la tammurriata, danzata a cerchio nella piazza del paese è
la rappresentazione corporea dell'incistarsi del micro-perimetro popolare
partenopeo nel macro-centro delle celebrazioni ufficiali della cultura
cattolica. A questo proposito, vale ricordare la riflessione antropologica
di George Bataille, in La letteratura e il male, nel capitolo in cui riesamina
il fenomeno dei sabba, trattato da Michelet in La strega (La sorcière):
in questa ottica, i riti della magia nera, dei sabba, della possessione
nelle messe nere non sarebbero che forme alternative dei culti istituzionalizzati,
scaturite da un 'folle desiderio di libertá' del popolo, come incarnazione
dell' 'umanitá sofferente perseguitata dai potenti' (Bataille, 59).
Queste forme popolari sono, secondo la definizione di Bataille, 'riti di
contaminazione', il cui senso risiederebbe in una logica dell'inversione
operata sui temi del cristiano; inversioni considerevolmente ardite che
acuiscono i ritmi pomposi della ritualità ortodossa, esasperandoli,
proprio come accade nelle tammurriate dell'agro-nocerino-sarnese. Come
aveva anticipato Michelet, questi riti sarebbero forme di auto-regolazione,
auto-neutralizzazione, ma anche, im qualche misura, di preavviso di quelle
più 'grandi e terribili rivolte' che sia nel Medio Evo sia nel Seciento
avevavno dato vita alle sanguinarie sommosse popolari del proletariato
urbano e rurale contro il potere. La rivalutazione
di queste forme folkloristiche oggi non sta solo a cuore agli studiosi
del settore, ma alla stessa gente del popolo, divenuta orgogliosa delle
proprie tradizioni anche grazie all'etnoantrologia. Veicoli anticamente
inconsapevoli e spontanei – ma ora consapevoli e intenzionali – della
trasmissione di questi cerimoniali attraverso le epoche, la gente di Pagani,
ad esempio, ha acquisito piena consapevolezza delle virtù catartiche
delle loro 'tammorriate', così vitali e, se si vuole, così
lietamente sovversive.
Bibliografia: • Apolito,
P., La religione degli Italiani, Editori Riuniti, Roma 2001.
Ref. Siti
Internet:
CALENDARIO Eventi Sacri 1. 17 gennaio
(sera) - Fuochi di Sant'Antonio. Sant'Antonio Abate
Erminia
Passannanti
12
marzo 2003
Immagine: Antonio Belém, Phorbéa, Napoli 1997 Per informazioni, si prega contattare la direzione |