Adam
Vaccaro, La casa sospesa
Joker,
Novi Ligure 2003, pagg. 99, € 11.50
Adam Vaccaro,
ed è doveroso dirlo, in questi giorni così dolorosi per l’intera
umanità, e per tutte le coscienze, viste le sorti a rischio del
pianeta per la guerra che ormai appare inevitabile, scrivo il diciannove
marzo 2003, ha curato con Giacomo Guidetti, la raccolta Poesia in azione,
“Versinguerra”, ottobre 2001-gennaio 2002, opera che comprende testi
di autori prestigiosi, pubblicati sul sito www.milanocosa.it,
“Artisti in uno scenario di guerra”, in collaborazione col Sindacato
Nazionale Scrittori.
Componimenti
poetici, questi di Adam Vaccaro, scritti tra il 1997 e il 2000, che, scanditi
in quattro sezioni intitolate, Palla rossa, La casa sommersa, Miti
tempeste e territori e Paradisi emersi, presenta i caratteri di
un’opera composita, pur nella sua unitarietà stilistica, ed è
pregnante il titolo, La casa sospesa, proprio per la sua magica
aurea d’impalpabilità, cosa che si riscontra in tutti i versi di
questa raccolta: sospensione, appunto, e, nello stesso tempo, forte tensione
verso il reale e verso la vita, versi caratterizzati da leggerezza e icasticità.
Interessante,
per entrare nel mondo di Adam Vaccaro, per cercare il filo rosso del suo
poiein, la lettura della postfazione di Giò Ferri che chiude
il volume e che s’intitola “Adam Vaccaro e le sue “adiacenze” critico
poetiche” e che è un vero e proprio saggio su Vaccaro: scrive
Giò Ferri, collegandosi al suddetto discorso:-“Ne La casa sospesa
i conflitti e le soluzioni (piuttosto che “catarsi”dichiarati dai titoli
delle sezioni, sono affrontati secondo una logica ordinativa che, nel disteso
e polifonico andante di quasi tutti i testi, trova non tanto una pasta
bianca e serena (rileggi Ri-presa”), quanto una dialettica espressiva che
non cerca soluzioni, rivoluzioni o rese plateali, bensì vuol cogliere
sotterranee, metaboliche, dinamiche motivanti. In cui percepire, elaborare
essere siano i momenti inalienabili di un’autorevole, seppur sensibile,
delicata, presenza dell’uomo a fronte della propria scaduta e svenduta
apparenza”. C’è quindi, oltre ad una forte coscienza letteraria,
anche, un forte tentativo di elaborare un esercizio di conoscenza che si
apre a partire dalla constatazione della debolezza della condizione umana
che solo, in questo caso, lo scavo della poesia può mutare: scrivere,
forse, si potrebbe aggiungere, per superare il problema del tempo e del
limite, fissando ogni segmento nella feritoia dell’attimo Heidegeriano.
C’è
una forte eleganza in questi versi ed è interessante l’analisi che
ne fa Giò Ferri a livello di critica psicoanalitica, discorso che
si collega alla consapevolezza chiara dell’autore del fatto che, ogni poesia
deve sottendere, oltre e parallelamente all’elaborazione del processo creativo,
la domanda elementare ma cruciale su cosa sia la poesia stessa, attraverso
la quale ci si addentra nei territori della filosofia.
Interessante
la disquisizione sull’es, la parte istintuale della triade freudiana, ovviamente
connesso con l’inconscio, che è il serbatoio primario delle metafore
e di tutti i procedimenti poetici: il Super Io, che potrebbe collocarsi
come limitatore della libertà espressiva, invece controlla l’inconscio,
lo plasma, e da ciò scaturisce la fonte del controllo di questi
versi, in un equilibrio dinamico tra le varie forze che vengono fuori nella
scrittura e, come dice Barthes, il linguaggio prodotto dal poeta parte
da un etimo, un’Origine, che è la dove e per dove la cosa è
quello che è ed è come è. La cosa è nel suo
essere stesso, ciò che è nel suo “come” ed è come
è. La cosa è nel suo essere stesso, che noi chiamiamo la
sua essenza. La questione dell’origine dell’opera d’arte pone quella della
sua provenienza essenziale, originaria. E’ idea comune che l’opera nasca
dalla – e per merito della- attività dell’artista.
La
poesia che apre la raccolta (feroci innocenze e oltre, con i suoi
riferimenti ungarettiani e di Quasimodo, nei loro versi tra i più
salienti, dà un’esemplificazione della poetica di Vaccaro:-“Guardavo
scannare i maiali/ con allegra tranquilla innocenza/ lanciavano stecche
appuntite di ombrelli/ contro civette crocifisse alle porte/ e arrostivano
feroci zoccole finite/ disperate in gabbie fischiando/ un’uscita cercando
da fiamme d’inferno/ eppure già (di) versi contando: m’illumino
d’immenso// E nessuno può dire se fu quel piede fondato sulla terra
e/ nel letame che diede una spinta a sogni d’assalto al cielo/ o s’aprì
in quel primilampi di parole un oltre/ possibile// nel vortice sempre nuovo/
sempre vecchio di questi decenni/ pur avendo già un grido nel cuore/
che poi la curva ridiscende/ ed è subito sera: (in grassetto
sono i versi dei grandi poeti novecenteschi): dall’inferno di immagini
truculente e tragiche di un bestiario del tutto personale, si apre quel
percorso che sopra è stato articolato per linee teoriche: la salvezza
contro il limite del tempo e della condizione umana si connota, in un discorso
tra vortici e, nello stesso tempo canti: ci si può sempre illuminare
d’immenso, come Ungaretti nella Grande Guerra, o, in questo caso, nel postmoderno
occidentale, nell’epoca della globalizzazione con tutti i beni e i mali
che essa comporta.
16
aprile 2003
Indice
generale
Immagine:
Antonio
Belém,
Phorbéa,
Napoli 1997
Per informazioni,
si prega contattare la direzione |