Vico Acitillo 124
Poetry Wave

Recensioni e note critiche

Il progetto per la luce nella poesia di Zanzotto
di Ettore Bonessio di Terzet



dietro il paesaggio ingorghi ctonici non ostacolano l’accesso alla parola, polifonia di gergo salito a lingua d’universo.
Tentata la disperazione del telaio, spuntati i rocchi scanalati si “ batte poesia “, conio politico che preannunzia l’affresco, deposta ogni sinopia.
 

Perché cresca l’oscuro e sia giustezza di scuro, il dare e l’avere, l’essere e il morire, l’interno e l’esterno non necessitano radici e morsure di alberi: l’albero cresce nuovo luccicante della pioggia, teso di vento alboso, verde come ghepardo di Doganiere che investe con linguaggio sorgente la nostra primordiale energia. Non rimaniamo passivi ed impagliati nel fittizio reticolo del distratto camminare:
 

Enrico ama l’autunno.
Sarebbe pronto a vivere per sempre in un mondo autunnale,
l’impenitente Enrico.

Enrico – Andrea porta il suicidio nella cerca dispersa di una profondità nicianamente chiusa, non ricerca di luce: un vivere verso un progetto concepito in allegria raccolta ( Ungaretti ) siccome il fischio della parola continuerà accompagnato dalla palla di cannone ( la differenza tra il pirico e il nucleare ? ), verso l’illuminazione di una annotazione solitaria che abbaglia il vedere e trama il capire.
Rimane oscurità e la tentazione.
Morte, essicco linguaggio a cui si arrende la lingua, quella lingua propria di suo galateo: il centro di un libro è centro di testo. Non a caso. Le mutevoli numeralità della parola non svolte in naturalità dicono l’orgoglio e la tracotanza di continuare l’immissione di essa in “ ragni semantici “ dove il significato è respinto da un referente sovrabbondante: senso e significazione non hanno spazio di trasformarsi in eternità.
Il tempo rattrappito dal respiro d’affanno conduce all’invenzione barocca, invenzione per difesa da altro linguaggio, da una lingua matrilineare avvolgente ( il dialetto ), nel mentre non preme il capirsi, l’intricarsi e ci si distanzia nella incomprensibilità tanto che occorre altra invenzione ridondante: la traduzione di sapore anfibologico: Di senso filologico. L’archivio dell’acqua. Scompare il respiro del bosco ed entra l’angelo quotidiano distruggente con sinuose alla maniera di Cranach, l’angelo quotidiano che ripone e non riposa, che inciampa e trascina il poeta giù se non si oppone con la pietà del proprio dire, del proprio trasfigurare in canto l’idea aggrumata ( l’oscuro ) che opprime e lo appesa, ma che, Andrea – Enrico, può statutariamente bucare e a sazietà ubbriacarsi nel “ disorientrasi / orientarsi “, perché  ancora un punto esiste, senza scombinarsi in lacerazioni.

La vita e la poesia concordano. Autonomamente. Se no: decadence.

Le lingue ammutoliscono, troppo essendo state risvegliate dall’incerta scelta ( l’elezione non sostenuta ) di lingua che conduce al proprio disorientamento, abbandonato agli attacchi degli idiomi.
La foresta avanza senza alberi. La guerra si meno sottile, scena di San Romano.
Il vento il fiume la carta il foglio sono devastati dal venticello storico di una avventura non ricucita: il dialetto perpetua baratri, trincee dove s’incespica prima di entrare e l’idioma diviene idiozia, persosi come lingua di parola: non fa storia, non istitutio, impotente sgarbo ( se non d’ansia
traslata ), linimento al ferire la carta, lo stampo.
La periferia senza percorso e discorso si avvale di una  circolare che non sosta e non taglia, nonostante le lance e le picche, l’elmo e i pennacchi, ancora una volta ceneri:

Dove si fonderà la parola, e dove risuonerà?
Non qui, non c’è silenzio abbastanza
Per quelli che vanno nell’oscurità
Il tempo vero e lo spazio non qui sono
………………………………………..
Nel buio. Pregar
Per chi sceglie e si oppone.

Il gesto rimane ingessato al blocco immaginativo perché il proprio idioma non fluisce nella naturalità sua infischiandosene di scolastici ed degli accademici che della poesia e dei poeti hanno fatto strage, rinchiusi nel campo dello sperimentalismo ( la cornice buona restaurata ), succhiata ogni forza di espressione come ogni fascinazione di devianza.
Il poeta, Lui, detta Poesia che rapisce ed ordina, vocabola i teorizzatori, regala loro grammatiche e sintassi nuove, lotta senza morire, morendo senza soccombere a Waterloo, dopo che ogni guardia è caduta, non l’asta “ benedetta “ al ristoro che lene della improvvida oscurità, del senso di accoglimento di Poesia ( l’avvento della gloria ) non facile al ripristino, certo possibile.


Indice recensioni e note critiche
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Immagine: Antonio Belém, Phorbéa, Napoli 1997


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