Franco Fortini, Un dialogo ininterrotto
Ed.Bollati
Boringhieri, 2003, pagg. 750, € 40,00
Velio Abati raccoglie, con accortezza unica e con pregiata proposta,
le interviste rilasciate da Franco Fortini tra il 1952 e il 1994, comparse
su quotidiani, periodici o volumi.
“Nel
quarantennio che in questo modo viene a delimitarsi, – egli scrive nella
introduzione – le forme del giornalismo come quelle della rivista culturale
hanno però conosciuto notevoli cambiamenti, offrendo così all’opera
di raccolta un corpus di materiali che sfocia in zone centrifughe, dove la
decisione di pertinenza è in sostanza lasciata all’intervento del
curatore…” Ma il criterio di scelta qui non appare forzato, e la lettrura
sistematica dei centocinquentasei pezzi presentati spiega la chiara urgenza
di interlocuzione che il Fortini aveva in maggior conto.
Tra le
pagine i riferimenti alla storia personale dello scrittore mettono in evidenza
la solida preparazione culturale e la straordinaria sensibilità
che hanno sostenuto gli scritti , sia quando si fa appello alla coerenza personale,
sia quando egli indaga la collettività dei giovani a livello
politico-sociale.
La scrittura
letteraria rivelatrice dell’insostenibile e del non detto, o del rimosso,
diviene la protagonista di brani tutti spiegati con una capacità tecnica
ed una forza poetica tali da indurre il dettato in un metraggio ben definito
di ripiani e di occasioni, un ronzio profondo e preciso di misure .
L’analisi
dell’atto critico e della metodologia, utile a verificare le realtà,
è un illimitato processo interpretativo, entro il quale “il critico
dovrebbe guardare con un occhio la infinita potenzialità del senso,
e delimitare con l’altro un numero finito di sensi…”
Memoria
critica accademica e saggio- sosteneva Fortini - dovrebbero avere autonomie
insopprimibili, con vita propria e compiuta, tali da dare le più preziose
interpretazioni dei testi letterari e delle forme giornalistiche di divulgazione.
Alcuni
interventi, come “La critica letteraria in Italia” del 1960, o “La letteratura
si trasforma” del 1965, o “Il Politecncio, un discorso aperto” del 1976, o
“Della poesia, della prosa” del 1978, o “Scelte di campo” del
1980, o “Editoria di cultura e editori di moda” del 1986, o “Finis historiae”
del 1990, sono dei piccoli gioielli da consultare ripetute volte, perché
si distinguono per la loro elaborazione “immediata” e le “necessità”
del “pensato” come condizione primaria della “discussione”.
8
giugno 2003
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Immagine: Antonio Belém, Phorbéa, Napoli 1997
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