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Vico
Acitillo 124
Poetry Wave Recensioni e note critiche Franco Capasso:
poesie del fuoco
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Nel mentre
un tal editore partenopeo si arrovella cercando di storicizzare
la poesia
contemporanea, coadiuvato da un poeta e critico napoletano, segnalando
e rive
del Garigliano quale linea di demarcazione fra la poesia “vera” (in questo
caso del Nord Italia)
e la poesia
“non attendibile” (quella al Sud del fiume), altri volumi di poesia
che si rispetti vengono fortunatamente offerti al pubblico e agli addetti
ai lavori in maniera più che tangibile
ed apprezzabile.
Fra gli
ultimi giunti sul nostro tavolo il lavoro di cesello che Franco Capasso
ha affidato
alle edizioni Marcus di Napoli.
La prefazione
di Marcello Carlino riesce a stimolare quella equilibrata attenzione
che una
simile operazione di scrittura richiede.
“Questa
poesia tratta del fuoco – egli scrive – e non solo perché il fuoco
vi è tema che torna,
ora esplicito
e diretto, ora franto e disseminato. Il fuoco è anche metafora,
e motore e quintessenza, dell’autobiografia che di questa poesia
è l’origine prima ed è, forse, il fine ultimo:
e dunque
un esistere letto, e proposto, in chiave di tensione che sale, di febbre
che brucia,
di quiete
che è porto sempre lontano, di illuminazione e di calore che freneticamente
si cerca
in una viandanza senza termine: un esistere offeso e deriso, malato e intrappolato
“in un
carcere cieco” che bussa ed affiora alla coscienza, e si riconosce e si
invera, sperando salvezza, nella poesia.”
Anche se
di eventi autobiografici le pagine dicono le occasioni, Franco Capasso
stringe intorno
al ritmo
tutta la sua energia di vero scrittore, per far si che ogni suo verso,
anche se centellinato
in un assolo,
abbia la tensione e la fragranza descrittiva di ampi respiri. Una forza
che potesse
rischiare
l’aggancio alla valenza delle interrogazioni, alla perplessità della
salvezza,
fuori della
necessità di sopravvivere, lasciando che tutto si svolga nel vacillare
di ogni certezza.
“In quell’orgia
disumana
la feccia
grama colava dagli interstizi
dalle
fratture
della terra
rovinata
Piansero
le prefiche
Piansero le donne in riva al mare
Nel silenzio
della brughiera
Nell’ignominia
delle genti
malsane
movevano la ruota del tempo
in catene
di torture
In
quell’agguato vinse la polvere
dei gechi
osannanti
dei gufi
parlanti e civette
Armatori
di merde
calavano
per i buchi della notte
su mercantili
di paura
si struggevano
in alambicchi di cenere.” (pag.22)
Improvvisamente
si affollano i sentimenti più vari che nella definizione di
una stravagante
passione
culturale diventano motivi in luce analoga a quelle passioni che
ci tengono svegli
di notte,
la materia viva di cui è fatta la vita e per la quale vale la pena
sopravvivere:
l’odio
e la paura, la vergogna e l’orgoglio, la gioia e la rabbia, l’amore e il
disprezzo,
la speranza
e il disincanto.
Una delle
caratteristiche principali di F.C. è quella di saper comunicare,
con un tremore
razionale
suo proprio, quelle testimonianze di vita vissuta con ritmi sempre equilibratamente
incalzanti,
per i quali la storia rimane una sorta di fantasma lontano,
che ripropone
violentemente la sua presenza attraverso la scrittura.
“Non so
ancora se sono riuscito
a sconfiggere
il destino
io il mio
destino non lo conosco
però
lo conosco parte di me
come un
piccolo cane bastonato e impaurito” (pag.64)
“E’ tutto
bruciato
e bisogna ricominciare
Tutte le
sofferenze patite
non sono bastate
Ci voleva
anche il fuoco!
Metà del mio spirito è bruciato
l’altra metà aspetta di risorgere” (pag.65)
Il frantumarsi
del mito sembra sparpagliarsi intorno alle catastrofi, per cui il
racconto
dirà
se stesso attraverso le metafore, sulle tracce ineluttabili del vero, irrecuperabile,
enigmatico
e antico come il mondo, e che esige la rivelazione del terribile, per affrontare
e soffermarsi
a quelle occasioni di percezione improvvisa, di accelerazione,
di attenzione
e disincanto necessarie al sopravvivere.
L’urgente
svolgimento e superamento sembra estinguersi nella ineluttabilità
del fato,
così
come nelle antiche elegie del mondo classico, ma qui la scrittura inquieta
e magmatica
propone
una poesia intarsiata, ricca di quella espressione che sconvolge, senza
paradossi,
ed all’unisono
accompagna con grazia nella sorpresa del dettato.