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Paolo
Virno, Quando il verbo si fa carne
Bollati
Boringhieri, 2003, pagg. 246, € 20,00
Volume di estremo interesse, questo lungo saggio del professore Paolo Virno, docente di filosofia nella Università della Calabria, interamente dedicato alla facoltà di linguaggio, realtà del possibile “dire” nel “ciò che si dice” e nel “fatto che si parla”. Può apparire un gioco di “parole”, ma lo studio approfondito che viene svolto in queste affascinanti pagine si propone con semplicità di dettato di affrontare i molti problemi della filosofia rapportata alla formazione dell’autocoscienza. La
prassi linguistica configura quella particolare “zona intermedia” che si
pone fra “interno” ed “esterno” del soggetto “parlante”, una possibile,
probabile distinzione tra “io” e “non io”, così come la semplice
“voce” emessa nell’ambiente quale parte del corpo e che torna poi
al corpo come parte dell’ambiente.
Se
si reputa che il linguaggio verbale rielabori la schematizzazione del contesto
ambientale, effettuata dai sensi, potremmo al contrario considerare la
possibile rielaborazione da parte dei sensi di una originaria schematizzazione
linguistica, così che il “simbolo” della parola detta/non detta
venga afferrato anche mediante prestazioni fisiologiche che prolungano
e completano la prestazione verbale.
I
tumultuosi andirivieni del pensiero, creatore della parola, si stagliano
a costituire il presupposto della persona che rischia di dissolversi nel
“dire” e con Saussurre ci mostrano come con malcelata disinvoltura si possa
trascurare l’atto di nascita del discorso umano, il cordone ombelicale
che lo lega a precedenti forme di comunicazione e di pensiero.
Illuminante
l’incipit del paragrafo dedicato alla “preghiera”.
“La
preghiera ad alta voce, che tanta importanza ha nel culto religioso, prolunga
e sviluppa il linguaggio egocentrico infantile. Ne eredita certe funzioni
salienti. E ne riprende sfacciatamente, sia pure complicandole a dismisura,
le tipiche modalità: la folla dei fedeli, intenta a lodare o a supplicare,
dà luogo a una sequela di monologhi collettivi, in cui predominano,
l’ecolalia, la fabulazione, l’annuncio, di ciò che si sta facendo
o si vuol fare…”
La
natura umana, mutevole nelle sue esperienze storiche personali e collettive,
conosce e vive mille occasioni di linguaggio, dotazione specifica dell’
homo sapiens, dell’io sostanza, ottenuta prendendo l’unità
nella sintesi del pensiero e percepita nel soggetto stesso del pensiero.
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