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Luigia
Sorrentino, C’è un padre
Ed.
Manni, 2003, pagg.112, € 12,00
Limpida
la suggestione, quasi luce riflessa su di uno specchio d’acqua, come se
la realtà stessa svelasse la sua intima mobilità, scavando
nella frantumazione del reale e mettendo in discussione la percezione,
la nominazione, la significazione.
E’
la capacità di far apparire e sparire il gioco delle parole, fuori
dalle esitazioni, al di là delle sfumature, in una caleidoscopica
eleganza del dire, interamente protesa alla ricerca de di una istanza psichica.
Si
staglia il simbolo nello smarrirsi del corpo attraverso il suono/racconto/sospensione
di ogni pagina, ed il ritorno anche fisico ai luoghi del passato rivela
l’abbandono al flusso della vita che scorre.
La
valenza, apparentemente silente, di stratificazioni verbali, per le quali
il narrato si spezza nel non detto per essere immediatamente ripreso nel
possibile a dirsi, è musicale fluire della espansione in un viaggio
coinvolgente ed impervio.
Gli
spazi, mai vuoti, si susseguono senza respiro, nel cogliere, per blocchi
ritmici, accumuli che recuperano la vicenda verbale, in un equilibrio rigoroso
e privilegiato.
“Mano
che raccoglie la
fronte
tra noi, assorto
sulla
testa sta già indicando
l’altra,
gioca con il mio
male
io gli sono
cara
anzi
carissima
non
affatico il vuoto
soffiandogli
dentro” (pag. 55)
Una
forza conflittuale scandisce il rapporto del poeta con tutti gli elementi
che lo circondano e lo affascinano, dal fuoco (Vesevo) all’aria, alla energia
sprigionata dall’acqua, alla terra madre e non matrigna.
Non
vi è pianto nella memoria, vi è una astrazione/presenza
degli affetti che insistono in metafore spesso interrogative:
“…uno
sfondo mediterraneo
fino
al vecchio mulino
scala
per arrivare urgentemente
a
toccare l’azzurro con gli occhi
coltre
di un tramonto
che
mi spingevo dentro” (pag. 74)
La
mobilità si proietta in misure stilistiche ricche di puntuali ed
acute soluzioni, nella personalissima dimensione poetica, animata da caleidoscopiche
alternanze di fughe e provocazioni, di armoniosi ritorni e voluttuose variazioni
.
“Non desiderare l’abbraccio ascolta
il rumore del vento
soffia
la tuo orecchio
e
ti parla
pietra
e ghisa sono la sua
casa
sulla fronte ha
la
quercia che lambirà
le
fiamme
noi
due seduti di fronte
rispettosi
come
davanti
la
porta dell’abisso” (pag. 87)
Luigia
Sorrentino sorprende nelle sue sculture astratte e magmatiche, fra immagini
apparenti e in apparenti delineate nella consapevolezza di
un racconto che ha radici remote e sussulti attuali.
12
ottobre 2003
Immagine: Antonio Belém, Phorbéa, Napoli 1997 Per informazioni, si prega contattare la direzione |