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Lasciati gli apparati retorici e stilistici, libero da una cultura raffinata e ponderosa che lo studioso ha setacciato e filtrato lentamente e progressivamente, in Volano in cento Paolo Valesio ha trasfigurato teologia in poesia, l’atto religioso autentico in autenticità poetica che conserva intatta ogni ascendenza, ogni ricordo, ogni legame nelle parole che si dispongono e si svolgono con linearità e forza. Scrive
Auden: “La contraddizione tra l’apparenza profana e la rivendicazione di
sacralità, è per l’immaginazione, impenetrabile.” Su
questa linea si muove Valesio, lasciando l’immaginazione per coniugare
fantasia intelligenza e realismo, quel realismo che smaschera la realtà
e la mette a nudo come reale, ovvero come condizione permanente. Valesio
sbuccia il mondo come Cézanne le mele e va alla polpa, all’intimo
per vedere dove e come sono declinabili l’esterno con l’interno, per non
cadere nel disagio niciano, rispettando, accettando il reale nelle sue
sembianze, nelle sue multiformi fattezze. La
vita sta nell’arte e l’arte nella verità ( Nietzsche). Pensare è
credere ( Duchamp ). Tempo
di autenticità originalità responsabilità. Responsabilità per non abusare della propria libertà, per non cadere nel libero arbitrio, per rimanere autenticamente originali nel segno dell’impegno a denudare l’oggetto del discorso e nel contempo denudare la propria parola sino alla sua scarnificazione, vicina al silenzio che non è mutismo, ma grande fragore di luce, grande allagamento di parola che comprende tutte le parole possibili, tutte le possibili, passate e contemporanee esperienze all’interno della mia, quella di Valesio, esperienza che non è ripetibile e rimane marchio e orma di fuoco. Valesio
non segna i suoi testi poetici col sangue, ma col fuoco. E
il fuoco è ambiguo ( non ambivalente ), possiede la lingua profana
e quella divina che Valesio riesce a connettere in una sola direzione,
seconda una unitaria prospettiva. Non
è questa poesia religiosa, non è poesia laica. Questa
di Valesio è poesia sacra che tende al divino, dove l’io si allarga
nell’ego e tenta la cattura degli altri enti, di tutti quelli che, in modo
specifico e speciale, tendono a diventare esseri. Essere per la Poesia,
essere per il Cielo non dimenticando, anzi continuando ad amare la Terra.
Ma quando la connessione Terra e Cielo avviene, come avviene nei testi
di Paolo Valesio, allora non sai più dove l’alto e il basso, dove
la destra e la sinistra e tutto diventa rotondità che conclama il
talento, le capacità singolari al limite del soffio, del dire sotteso,
perché sa l’autore che non tutto il rythmos da lui proviene,
ma dall’alleanza rischiosa col dio. 1.
Valesio non scrive da solo, scrive al plurale, guidata la mano felice dal
Vento che spira misteriosamente e rende leggere le cose le parole le indicazioni
le urla le sommesse domande. Antonio
Porta, parla di gola secca che soffia un ultimo senso. ( Invasioni,
1981 ) Paolo
Valesio in Volano in cento, ha umettato le labbra e la gola per
poter dire sul filo dell’inesprimibile tutto quello che con drammatica
tensione e tenzone ha condotto con l’Altro; si è umettato di sincerità
e di semplicità per cui le parole escono e si stagliano dinanzi
a noi, nel nostro animo e sul nostro corpo, in questo sinolo che supera
la divisione cartesiana e riporta sulla pagina, sul cuore, sull’intelligenza
non solo senso ma anche significato. La
lotta è radicata e radicale per ricercare la Figura che è
Segno - Parola con la quale dialogare metafisicamente e non rimanere sul
versante paludoso dell’immaginare. Poesia
non è solo immaginazione e senso, né ispirato sentimento,
ma è il sentire, il cogliere il conoscere il sapere il capire quel
significato che riassume ogni altro significato. E la poesia ultima di
Valesio riassume e dice questo significato senza protervia, senza hybris,
ma con un andamento che ricorda l’umiltà responsabile di Apollinare
( Dardo 100 ), come l’originalità baudelariana ( Dardo 71 ). Con
il fuoco, il poeta ha limato le parole e il discorso si è affilato
ed affinato, è diventato un simbolo per ogni occasione: il bruciare
del credere: Tu dunque trionfi / anche perché ogni giorno
mi sloghi. ( Dardo 67 ), il trafiggere la scrittura: Parlo con
Cristo, e con la carta bianca. ( Dardo 49 ), il purificare lo stile:
comàndati lentezza ( Dardo 28), il desiderare l’ascolto:
Mantienimi in un continuo stato / di allarme bianco.
( Dardo 23 ), l’invocare: In fondo al buio, canta ( Dardo 68 ),
il chiedere soavemente: Ancora sto chiedendo troppo poco ( Dardo
73 ), il richiedere alto: Ti regalo la mia ira ( Dardo 3 ), il partecipare:
Signor Signore dimmi la tuasorte ( Dardo 69 ). Con
il fuoco, il poeta ha scolpito i volti delle figure e ha definito la propria
all’interno di quell’aura che è propria di una dimensione mistica
- da mystikos, stessa radice sanscrita di mito e mistero - ombra
che si apre la sole, cammino verso un progetto di luce che trova le radici
soprattutto in Dante, non solo sul piano dell’esteriorità numerica:
“ per me sei qualcosa come un sole” ( Dardo 1
). Paolo
Valesio conosce e sa i movimenti della poesia non solo italiana, prima
e dopo le avanguardie, conosce la retorica di queste e quelle degli anni
’50 e ’70 e sotterraneamente con queste si confronta, come lo fa’ con le
grandi correnti della mistica tedesca, con quella spagnola e quella italiana,
rimanendo sempre dentro il proprio registro fonetico e lessicale, mai debordandone,
mai tradendolo, anche quando l’eco è più vivo e vicino. Paolo
Valesio si misura (Dardo 100 ) con Apollinaire stravolgendo il senso e
il significato della chiusura di un’epoca rivoluzionaria, giacché
si rivoluziona nel chiedere perdono a tutti coloro che ha intraveduto nella
galleria della vita, perdono a tutti coloro che ha sfuggito e non saputo
chiamare prima “fratelli” ed ora, non tardi forse, li vuole tali perché
risolta è la prospettiva di una relazione sostanziale. Paolo
Valesio si misura ( Dardo 63 ) con Antonio Porta chiedendo di non avere
dita mani pelle massacrate, di non avere offese alla gola che non è
più senza lingua ( parola ) per dire del sacro (
preghiera ) che batte d’anticipo il male-dicere ( bestemmia ) e
la gola non è uno strozzo e non rimane, come in Porta, afasica e
bloccata Valesio
risolve, Porta no. Non
c’è più il dubbio, non c’è più l’insicurezza:
il permanente e il sostanziale il poeta ha capito che si ritrovano nella
figura di un Volto che altro non è che lo specchio del volto proprio.
Bellezza verità autenticità e non illusione come vorrebbe
Baudrillard contro la società della simulazione. Ma poesia vera
non è né illusione né simulazione, e contro la civiltà
dell’immagine e dell’inutile contrappone un pensiero autonomo e contrapposto,
un pensare diretto e relazionato al reale per sfuggire all’emozione, al
sentimentalismo e rimane ancorato a quello che di forte e di duraturo la
nostra intelligenza incontra e non può fare a meno di riconoscere. E’
questo che la poesia di Valesio compie, il rendiconto non diaristico di
un viaggio che lo ha condotto ad Itaca, la terra sì dell’Inizio,
ma terra d’Origine da dove tutto si è svolto e dove tutto si risolve. Poesia
fedele a se stessa e all’autore, nell’ottica della massima realizzazione
di relazioni come pretendono Auden e Nietzsche, contro lo smascheramento
della realtà contingente, tramite bellezza di parole, per un desiderio
di vero e verità. 23
novembre 2003
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