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Vico
Acitillo 124
Poetry Wave Recensioni e note critiche Cesare Viviani,
Silenzio dell'universo
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La
forma del poema è quella di questa opera che si propone come originale
in se stessa e nell'ambito della produzione di Cesare Viviani: ci sono,
nella poesia degli anni novanta, prove significative di testi che approdano
felicemente ad una compatta unitarietà poematica: basti pensare
alla Giovanna d'Arco di Maria Luisa Spaziani, all'Angèl di Franco
Loi, o anche all'originale testo di Ottiero Ottieri intitolato L'infermiera
di Pisa: pare che una vena di misticismo più o meno marcata accomuna
il presente testo con quello della Spaziani e con quello di Loi.
Si
diceva di un'evoluzione in Viviani che, a partire da Ostrabismo cara del
1973, dove era forte uno scarto poetico e il tessuto dei sintagmi si sviluppava
al di fuori della normalità e cercava consapevolmente una liberazione
dalla norma stessa, attraverso il percorso segnato da testi importanti
come Merisi, Preghiera nel nome, L'amore delle parti, fino all'Opera lasciata
sola, dove il linguaggio diviene più piano e fruibile, anche se
era in quest'opera la presenza di vorticosi climax lirici nei quali la
tensione della parola si trasfigura in momenti alti, essendo già
presenti un elevato grado di spiritualità e misticismo, trova qui
un fertile nuovo terreno
Si
può dire che in questo Silenzio dell'universo, Viviani compie un
altro passo verso la chiarezza del dettato, correlata ad un forte nitore,
una semplicità che sottende però una chiara intenzione e
coscienza letteraria. Il dettato è misurato ed espressione della
tensione dell'io lirico verso il Creatore, la natura, l'amore, la provvisorietà,
la morte e la vita: la religiosità fortissima in una tensione che
sembra essere sottesa ad un'afflato che pare mettere le sue radici nel
pensiero cristiano medievale (vedi il rapporto amante-amato, creatura e
Creatore). Proprio il termine Creatore è ripetuto, nelle varie strofe
che costituiscono il poema, con una iteratività, una frequenza e
ridondanza, ed è stimolo per una ricerca che va verso la bellezza
nell'ossessione. Amore disinteressato per Dio o amore interessato: questo
sembra essere un altro degli interrogativi che la creatura affronta, distanze
da colmare, quando si ripetono parole come amore e Creatore come dei mantra
che potrebbero farci intuire "prestiti" dall'induismo. Interessante anche
l'uso della rima quasi a scandire percorsi oltre il tempo a sugellare il
battito, il ritmo di quest'opera::"- Il cuore sia il Creatore-/ non si
perda in bontà e in amore./ Il battito la forma, la materia, non
siano altro che sé non siano/ funzione e descrizione;/ siamo solo
quel che da sempre sono;/ la propria creazione.../; un'ontologia qui si
carica di senso mistico, nella ricerca della nostra identità in
quella numinosa del mondo o di altro. Cesare Viviani sembra essere giunto
al punto di una parabola poetica che vede il compenetrarsi di valori
assoluti con la massima padronanza ed esprime con questo poema la caratteristica
dominante della condizione umana sottesa ad un credere in una forza superiore:
creatura o persona, l'io lirico si trasfigura con il rivolgersi ad un tu
al quale chiede salvezza: si nota uno smarrimento in questo rapporto con
qualcosa che ci sovrasta e che in diversi modi viene invocato: la parola
si fa preghiera:-"Dominio della parola/ che non si ferma, non si astiene
e torna/... (in principio era la Parola viene spontaneamente in mente):
la ricerca di Viviani qui non si contamina mai di aspetti quotidiani della
vita: oggetti, "personaggi", paesaggi, natura o altro: in questo poema
c'è luce, universo, Dio, afflato, non c'è storia o amore
tra persone... In questo si differenzia notevolmente dalla suddetta Giovanna
d'Arco della Spaziani. Qui si gioca solo sul piano della tensione tra le
parti più profonde di un certo modo d'intendere la vita, per cui
quest'opera è un unicum nel panorama contemporaneo della poesia
italiana.