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La
lingua che si traduce in scrittura è un itinerario complesso – affettivo,
esistenziale, ideologico, politico, psichico, innanzitutto – ed implica,
dunque un percorso che abbia una vicenda di evoluzione con uno, o molteplici
esiti: così la poesia, che è esperienza, fatica, apprendimento
e comunicazione dei percorsi compiuti, delle tracce seguite e lasciate
sul proprio cammino. Questo viaggio assume una forma, ha delle tappe, delle
svolte, parole-chiave, e vive dei rapporti tra questi elementi. Dominata
da un’alternanza tematica irradiabile, la poesia vive dell’intensità
e delle contraddizioni che sono proprie dei sentimenti, e della vita che
si manifesta oltre i codici della ratio; utilizza il generico come
lo specifico, legami logici come equivoci, che d’improvviso possono tradire
lo schema prefissato, generando sorpresa e perfino non-sense. La
poesia è testimone, ma di un tipo occulto, della vita e della morte,
della ragione e della follia, dell’amore e dell’odio, insomma, della concordanza
degli opposti. La sua forza espressiva è proporzionata tanto alla
raffinatezza linguistica dello scrittore, del suo bagaglio lessicale,
quanto alla sua intensità percettiva e capacità di selezione
dei segni da comunicare. Necessita inoltre di termini di negoziazione per
la trasmissione del suo messaggio, che non è mai semplice, piano,
ma legato a una vasta gamma di complessi sistemi extralinguistici, al tempo
e alle circostanze in cui la scrittura poetica, quale istanza comunicativa,
ha luogo.
La lingua della poesia è dunque ambigua, si esprime attraverso immagini e locuzioni astratte in una combinazione mai prevedibile di modi e d’usi. Questa elusività non va considerata un indice di disordine, quanto piuttosto un progetto, una legittimazione di scelte individuale pur anche arbitrari. Magicamente, questi alti livelli di ambiguità in poesia non scoraggiano, ma invogliano il lettore all’interpretazione. Si tratta dunque di un’ambiguità produttiva, creativa, la quale invita il lettore a trovare un ordine nell’apparente disordine. Nel caso di Amelia Rosselli, questa negoziazione possiede una trama di squarci immaginativi trasfigurati da una condizione farneticante della voce narrante, contraddistinta da un linguaggio volutamente ossessivo e afasico, che si spinge oltre le regole del senso, il quale tuttavia riesce a demarcare spazi e tempi storici (‘pronta sarò riceverti con tutte le dovute intelligenze’). Non si tratta di un carenza della percezione dell’Io, quanto piuttosto di una sua iper-funzione che ne devia i contorni, come in questa strofa da La libellula. Panegirico sulla libertà (1958), che può essere letta come una dichiarazione di poetica: La
vendetta salata, l’ingegno assopito, le rime
Pier Paolo Pasolini così ne commenterà lo stile: ‘In realtà questa lingua è dominata da qualcosa di meccanico: emulsione che prende forma per conto suo, imposseduta, come si ha l'impressione che succeda per gli esperimenti di laboratorio più terribili, tumori, scoppi atomici. (…) Sicché la lingua magma - la terribilità - è fissa in forme strofiche tanto più chiuse e assolute quanto più arbitrarie.’(P.P. Pasolini, 1963). E Pier Vittorio Mengaldo aggiungerà: ‘Scrittura-parlato intensamente informale in cui per la prima volta si realizza quella spinta alla riduzione assoluta della lingua della poesia a lingua del privato’. Del 1976, la raccolta Documento contiene opere composte tra il 1966 e il 1973. Nel 1981, viene pubblicato Impromptu, un poema diviso in tredici sezioni, e nel 1983, Appunti sparsi e persi, scritti tra il 1952 e il 1963. Nel 1992, appaiono in raccolta i versi di Sleep, in inglese. Autrice di uno stile di scrittura contenente codici e sottocodici di intricata decodificazione, la Rosselli attingeva, dunque, ad una vasta gamma di soluzioni formali, con un sottrarsi e ritrarsi della scrittura intorno alle forme canoniche del linguaggio poetico. Si tratta spesso di meccanismi di inversione e sostituzione, che hanno attinenze con il linguaggio afasico. Partendo dalle condizioni strutturali della lingua, Roman Jakobson ha ipotizzato due diversi tipi di afasia che la psichiatria ha in seguito verificato. L'afasia, dunque, come o perdita della funzione selettiva o della funzione associativa del linguaggio. Si noterà come nei versi afasici della Rosselli, la voce narrante, nonostante continui a poetare, a parlare, dunque a volere comunicare, sembri esercitare un controllo solo marginale sulla miriade di significati che gravitano intorno alle metafore e alle metonimie che impiega o che salgono in superficie dal pozzo della coscienza. La Rosselli afferma questa logica, e lo fa in modo evidentemente sperimentale, considerata l’epoca in cui produce un poemetto audace come La libellula (1958): all’espressione di un’idea (poetica) fa subentrare una elevata densità di figure retoriche, quali occasioni fornite dalla lingua mai rinunziate. Così sceglie un termine anziché un altro in modo apparentemente arbitrario, o scambia una data parola con un intera espressione dal vasto menù paradigmatico che la lingua offre. Al contempo associa sintagmaticamente una parola arbitraria ad un altra parola altrettanto arbitraria al fine di generare senso. Le possibilità di queste scelte selettivo-paradigmatiche, afferma Jakobson, fondano la creazione delle metafore, in quanto offrono questa possibilità di libera sostituzione, come nel caso del verso ‘non si ride se la gioia è una giostra disoccupata’ (La libellula), laddove ‘giostra’ sta per ‘esistenza disoccupata’, e lo stesso accade con le possibilità delle scelte associativo-sintagmatiche che creano una ricchezza metonimica, come nel verso ‘rovina l’inchiostro che si fa beffa della tua ingratitudine’ (La libellula). Ne deriva una spiccata ricchezza simbolica e immaginifica, essendo, il linguaggio non partecipe dell'obbedienza alle norme imposte dallo strumento. Questo avviene a partire dal non rispetto del sistema convenzionale più vistoso della lingua, la sua sintassi – che viene distorta e riattivata all'interno di strutture mobili a variazione, costruite su complesse concatenazioni di frasi e periodi. Per illustrare meglio lo stile afasico della Rosselli, bisogna precisare, citando la concezione che Michael Foucault ha della discontinuità della storia e della lingua,che la struttura epistemica alla base della sua scrittura postmoderna nega sia le cose sia le parole che esse rappresentano, alludendo invece alla grammatica nascosta, preposta alla loro relazione. La
Rosselli definiva con queste parole la sua scrittura: ‘la lingua in cui
scrivo volta a volta è una sola, mentre la mia esperienza sonora
logica associativa è certamente quella di tutti i popoli e riflettibile
in tutte le lingue’. Partendo dalla polifonia degli idiomi appresi, l'autrice
si avvalse, dunque, di questa ricca varietà di materiali linguistici,
per ricondurli all'amalgama postmoderna, a cui faceva riferimento nella
sua nota critica Pasolini. Pertanto, si può parlare di una versificazione
apparentemente sciolta, ma al fondo salda e coerente, traccia di una ‘logica
associativa’ che, sistemata in poetica, riconosceva all'assemblaggio
lo spirito autentico del moderno postumo, come nelle liriche di Variazioni
belliche (1959) e Diario ottuso (1968):
(o vita!) non
stoppano, allora sì, c'io, my
ivvicyno
allae mortae! In tutta schiellezze mia anima
tu
ponigli rimedio, t'imbraccio, tu, -
trova
queia Parola Soave, tu ritorna
alla
compresa favella che fa sì che l'amore resta.
La destituzione dell’Io, il suo andare verso la ‘mortae’, è parodiato dall’uso gergale del linguaggio (‘sciellezze’) che devia verso l’interno la direzione imposta dalla volontà al soggetto, come nelle forme schizoidi. La dissoluzione dell’equilibrio mentale che avviene nelle estreme crisi psicotiche si ricompone nel linguaggio poetico come ‘Parola Soave’. L’improvviso manifestarsi della ‘favella’ ardente, libera e scellerata, a scapito della realtà, non è un’occorrenza insolita nei versi rosselliani. Anzi si dà come ipercoscienza della vocazione poetica, avvertita come responsabilità (‘alla compresa favella che fa sì che l'amore resta’) .Ne deriva che l’attitudine di questa ossessiva ipercoscienza linguistica condizioni direttamente il giudizio sulla realtà anche nel lettore quale esito di una complicazione comunicativa ineludibile. Il giudizio ordinario viene ad apparire superfluo, ingombrante, perfino in qualche senso difettoso, carente, dinanzi a questo sistema di controllo autoflesso, che genera una dinamica di continuo sospetto verso il reale (‘mia anima’ […] ‘tu ponigli rimedio, t'imbraccio, tu’). ‘La libellula’, il poemetto del 1958, infatti recita: E
cos’è quel
Le immagini di guerra sono quelle di una lotta che, combattuta internamente e in modo radicale, ora dubita dei propri esiti e strumenti (‘quale nuova libertà cerchi fra stancate parole?’). Louis Sass, in Madness and Modernism (1992), indica la presenza, e la cura, di un ‘doppio registro’, in quei fenomeni del linguaggio presenti nella schizofrenia.Nei versi de ‘La libellula’, la Rosselli propone un’identità delirante ‘altra da sé’, che rende il poemetto simile a un monologo drammatico, trascrizione di una follia a di cui è stata non già protagonista, ma spettatrice. Non si tratta di un’identificazione senza riserve, in quanto il testo sospende il giudizio, proponendo interrogativi (‘E cos’è quel/lume della verità se tu ironizzi?’). Due versioni della realtà per due registri, dunque, che tuttavia non godono dello stesso statuto. Uno è quello della scrittrice, l’altro dell’io narrante, fittizio, incredulo. Vale l’osservazione di Charles Baudelaire sull’esistenza di un’estetica, o di un ordine, ‘impossibile da confinare in una definizione’, inattuabilità, proprio per questo, fondante per la poesia. Il linguaggio della Rosselli si rifiuta di concedere giustificazione ai suoi nessi, di sistemarli in un organismo logico dichiaratamente metafisico, anzi li pone come rimemorazione, automatismo dell’esistenziale-affettivo. Ciò che lo stimola è la fenomenologia del ricordo, verbalizzato tramite catene associative solo ingannevolmente spontanee. Infatti, non si tratta di un abbandono della parola ai percorsi sconnessi della memoria, ma di una riconquista di ciò che sembrava destinato alla deriva, come accade alla mente afasica nella sua quotidiana lotta per la riconquista della facoltà della parola. La sperimentazione della parola 'soave' è esperienza dell'informazione data all'esterno della memoria personale e collettiva che si vede dispersa e, quindi, ricongiunta al cuore dell'afasia; esperienza, questa, forse, pre-verbale, appartenente alla libido pre-edipica, fuori e oltre la trappola logica del linguaggio quotidiano, e dunque abitatrice del procedimento poetico stesso: Non da vicino ti guarderò in faccia, ne da quella
lontana piega della collina tu chiami
la
tua bruciata esperienza. Colmo di rimpianto tu
continui
a vivere, io brucio in un ardore che non
può
sorridersi. E le gioconde terrazze dell'invernale
rissa
di vento, grandine, e soffio di mista primavera
solcheranno
il suolo della loro riga cruente. Io
intanto
guarderò te piangere, per i valli
del
tuo istante non goduto, la preghiera getta tutto
nelle
sozze lavanderie di chi fugge: prega tu: sarcastica
ti
livello al suolo raso della rosa città di cui
tu
conosci solo il risparmiato ardore che la tua viltà
scambiò.
(da Variazioni belliche, 1959)
Come nota Keith Sagar, “tragic art is a sort of intentional schizophrenia, giving an intelligible context to experiences otherwise chaotic and terrifying, objectifying them in images and myths, distancing, creating a space for contemplation, transforming chaos into clarity or harmony.” i tratta di un metodo che, annientando lo spazio tra il significante e il significato, indica l’intima relazione tra l’individuo e il Caos attraverso un atto sacrificale: ‘Io brucio di un ardore che non può sorridersi.’ La parola poetica viene, qui, offerta in forma di codice (‘le gioconde terrazze dell’invernale/rissa di vento, grandine, e soffio di mista primavera’), come a difendersi da un ascoltatore nemico, sembrando, la lotta per la vita, la preoccupazione primaria della voce monologante, come lasso ineffabile, incerto tra nascita e morte. Per questo motivo, in una simile esperienza esistenziale certo penosa (‘che tu chiami/la tua bruciata esperienza’), ogni verso sembra contenere un segreto, ma di eccellenza estetico-contenutistica del linguaggio, che si pone come crogiolo della metafora allo stato puro. Nella poesia della Rosselli, dunque, le norme che regolano la parola ‘soave’ sono quelle che, pur dandosi in forma ludica, o folle, acquisiscono piena legittimità di senso, in quanto sistema attentamente congegnato di nuove modalità linguistico-espressive, le quali, essendo fittiziamente ‘afasiche’ , quindi simulate, artificiali, designano la poetica stessa della Rosselli. Tali norme non possono fare a meno del discorso come traccia di una nostalgia dell’indifferenziato, dell’arbitrario, del dominio del canto spogliato di tutta l’arroganza della retorica tradizionale. D’altra parte, chi cerchi un’analogia tra vita e poesia, noterà come la vita, nella lirica, varchi sempre la soglia della propria rappresentazione logica, per diventare discorso arcano di un Altro da sé. Al tema della parola ‘soave’, si aggiunge quello più squisitamente psicologico della ricerca di una rigenerata identità artistica, la quale appare ricomposta solo dopo la sistematica scomposizione delle vecchie istanze liriche. Tale rigenerazione non è solo l’esito di una sbrigliata potenza fantastica, ma di un nuovo modo di pensare e verbalizzare l’essere, che si fonda nella sua stessa possibilità. La poesia parla appunto della fine di un discorso che non si può più dire e l'inizio di una prospettiva la quale, benché distorta e lesa, pure ha una valenza rivelatrice, rigeneratrice: ‘O rondinella che colma di grazia inventi le tue parole e fischi libera fuori...’ I limiti del linguaggio e della funzione poetica sono in questi versi travalicati con leggerezza, come di una tragedia tradotta in autoparodia, o posta a distanza: la parola ‘soave’, 'la grazia', 'l'invenzione', 'il fischio' canzonatorio pagano il riscatto e offrono al linguaggio della Rosselli quella libertà espressiva che seppe amministrare in senso autenticamente nuovo. Tra
le opere di Amelia Rosselli:
–
(1958, ristampa 1985), La libellula, Milano, Sellerio, con uno scritto
di Pier Paolo Pasolini;
–
(1987) Antologia poetica, Giacinto Spagnoletti Editore;
–Le poesie, E.Tandello ed., Milano:Garzanti.
Breve
nota bio-bibliografica
Poetessa italiana, nata nel 1930 a Parigi, Amelia Rosselli crebbe tra la Francia, l'Inghilterra e gli Stati Uniti in un ambiente lacerato da tragiche vicende di storia privata, politica e sociale. Figlia di Carlo – esule antifascista, fondatore del movimento "Giustizia e Libertà", assunto a eroe dalla Resistenza italiana della Seconda Guerra Mondiale – nel suo profilo psicologico, intellettuale e artistico ebbe un grave impatto l’angosciosa vicenda familiare, che, a sette anni, la vide testimone oculare dell’assassinio di suo padre, e del fratello di questi, Nello, dinanzi all’intera famiglia, perpetrato da alcuni fascisti. Il trauma dell’assassinio del padre, addizionato alla follia e alla morte della madre, indusse nella Rosselli una grave psicosi, che doveva segnare l'inizio di una lunga serie di degenze presso ospedali psichiatrici. Nel 1969, le fu diagnosticato il morbo di Parkinson. Trascorse gli ultimi anni della sua vita nella sua mansarda in via Del Corallo a Roma dove, nel 1996, si tolse la vita. L'ampiezza
delle competenze linguistiche acquisite nel corso di questa condizione
di esule consentì alla Rosselli di comporre opere in versi e in
prosa anche in lingua inglese e francese. Nel 1958, pubblica La libellula,
che inserisce in modo trasversale nel tessuto verbale del poemetto gli
argomenti del patriottismo e della libertà di pensiero, del diritto
giudaico e dell'identità transnazionale. Nel 1964, esce con Garzanti,
la raccolta Variazioni belliche, seguita nel 1969, da Serie Ospedaliera
(1963-65), caratterizzata da poesie molto originali dal punto di vista
linguistico, basate su effetti di accumulo e densità semantica.
Nell'Italia post-bellica, la Rosselli affiancava all'attività di
poeta quella di musicista, sia in veste di compositrice, esperta in etnomusicologia,
sia d'esecutrice. Di rilievo anche l'attività di traduttrice letteraria,
consulente editoriale e collaboratrice di note riviste, attività
questa che richiama l'interesse di poeti come Zanzotto, Raboni e Pasolini.
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novembre 2003
Indice
generale
Indice della sezione Immagine: Antonio Belém, Phorbéa, Napoli 1997 Per informazioni, si prega contattare la direzione |