|
Vico
Acitillo 124
Poetry Wave Recensioni e note critiche Ted Pearson:
le evidenze dello scrivere poesia
|
Diffidare
dell'evidenza è sempre buona pratica, nella poesia come nella vita,
se non fosse che il termine inglese contiene in sé una molteplicità
di significati, difficilmente veicolabili attraverso una traduzione letterale
in italiano. "Evidence" è infatti, sul piano più immediato,
l'evidenza di ciò che è (appare), ma è anche la prova,
testimonianza o traccia ambigua che rimanda (o forse è solo un'illusione?)
a un altrove di senso indeterminato. Un termine assai più complicato
della sua pura e semplice evidenza, dunque.
E' appunto
tale complessità che riecheggia nelle pagine di questo libro di
Ted Pearson, che raccoglie il meglio della sua produzione dalla metà
degli anni '70. Poeta raffinato e affinato al laboratorio degli "oggettisti"
americani George Oppen e Louis Zukofsky, Pearson rielabora in un modo tutto
suo le indicazioni di metodo provenienti da questo filone ancora in buona
parte misconosciuto (almeno in Italia) della lirica statunitense contemporanea.
La concezione di una poesia quanto più prossima possibile agli oggetti
e di un linguaggio capace di rendere fedelmente se non altro l'estrema
ambiguità dei fenomeni è presente in Pearson, ma mediata
da una sensibilità tutta contemporanea per gli allettamenti formali
(e meta-formali) della parola poetica. Tra queste due polarità si
muovono le sequenze lunghe di Evidence, dai titoli richiamanti vagamente
le trame non-figurative dell'Action Painting o i cromatismi distorti espressionisticamente
di un William Carlos Williams: The Grit (La ghiaia), Reaped Figures (Figure
mietute), Refractions (Rifrazioni), Ellipsis (Ellissi), The Blue Table
(La tavola azzurra), etc.
Se la serialità
e l'indeterminazione appaiono i tratti di poetica che Pearson più
spontaneamente appare condividere con tanti Language poets della sua stessa
generazione, molto personale è tuttavia l'intonazione lucidamente
consapevole dei processi di erosione della parola prodotti dall'incessante
lavorio del silenzio ("without silence / is no gain"). E' così che
fin dalla prima pagina di The Grit leggiamo:
Somehow
it seems
to destroy us
sun rock sea
these elements
at the
edge
of a continent
windswept
there is
a wearing down
there is
a wearing away
there is
a way
["In qualche
modo / sembra distruggerci // sole roccia
mare // questi elementi / al limite / di un continente // spazzati
dal vento // c'è un consumarsi / c'è un logorarsi // c'è
una via", da The Grit, p. 11.]
Sembra
di sentire risuonare l'eco del migliore Creeley in queste pagine dove il
non-detto distilla frammenti di visione attraverso il filtro di una lingua
poetica oltremodo essenzializzata, scarnificata (nel senso letterale del
termine) o, se vogliamo, denudata di tutte le ingombranti sovrastrutture
della letteratura. Il fatto è che, per Pearson, la realtà
non può esimersi dall'essere semplicemente ciò che è,
al di là dei nostri goffi tentativi di imporre un ordine mentale
(o linguistico) al caos dei fenomeni. Fenomeni che di per sé
si presentano, del resto, al focus nitido di uno sguardo eroticizzato ed
esatto sotto la veste ambigua e inquietante dell'indeterminazione. Solo
ciò che si presenta conta infatti nell'universo poetico di Pearson,
che è fatto di eventi, contingenze, tracce di cui si è perso
il senso, (evidence, appunto) piuttosto che di sostanze solide e di narrazioni
compatte:
of all
things no one
living
but flares
and is lost
the marvels
scattered
lines
staggering
empty at
last
unintelligible
sleep
harbor
no tide strains
who sang
of the moon
and dry
weather
["di tutte
le cose nessuna / vivente se non i bagliori // ed è perduta // le
meraviglie / versi dispersi / barcollanti // vuoti alla fine / inintellegibili
/ sonno porto // nessuna marea tira // chi cantò
della luna / e del tempo asciutto", da Reaped Figures, p. 41]
Contrariamente
alla carriola rossa di Williams, la "blue table" di Pearson non è
un referente assoluto per lo sguardo poetico, ma nella sua astratta indeterminazione
emerge come "a figure // drawing attention / from the difficult // events
in the room". Al limite, non esistono per Pearson statuti ontologicamente
definiti per ciò che comunemente si intende con oggetto o soggetto:
si tratta di posizioni o prospettive che si intersecano tangenzialmente
nella contingenza dell'evento. Lo "script" di questo percorso di rivelazione
del reale attraverso il linguaggio poetico appare "indecipherable", che
è sicuramente più di "ermetico", nell'accezione che questo
termine è venuta ad acquistare nel Novecento italiano. Con il rischio
di semplificare forse più del dovuto, si può dire che il
personalissimo dettato poetico di Pearson risulta da una singolare evoluzione
della slantness dickinsoniana e, dal punto di vista prosodico, del variable
foot williamsiano in una versificazione rotta, frammentata e discontinua,
dagli esiti difficilmente prevedibili e tutta votata all'"horror vacui"
del nulla che la sottende. In fondo a tale lucida consapevolezza del vuoto
è tuttavia dato intravedere qui e là, seppure sotto forma
di folgorazione intuitiva più che di sintesi costruttiva, una sorta
di mistica fede animale nelle capacità regenerativa della parola
e, attraverso la parola, della vita stessa. E' così che leggiamo
in The Blue Table come il "something else" che è "beyond what is",
difficilmente identificabile con una prospettiva trascendente in senso
religioso ("hardly a covenant / though the heart opens"), si configura
in definitiva piuttosto come quella "travel light // intimate knowledge
/ at the ends of nerves // the end of speech // faith".
Altrove,
come in Coulomb's Law, la vena di irrazionale misticismo materico che pervade
il libro viene approfondita alla luce degli inconciliabili contrasti analogici
che il linguaggio non cessa di generare da se stesso sotto la spinta delle
occasioni concrete offerte da una realtà multiforme e ambigua. Come
già in C. Olson, metafore di apertura e flusso vengono veicolate
attraverso una terminologia mutuata dalla fisica, nello specifico la legge
elettrodinamica di Coulomb, secondo la quale due elementi di carica opposta
si attirano, mentre due di carica identica si respingono. L'apparente effetto
di compattezza delle quartine (o distici) che compongono la sequenza è
data dalla risonanza che ciascun frammento proietta sull'insieme, piuttosto
che da una ricerca di unità formale precostituita. Come in una agnostica
coincidentia oppositorum senza paradisi a buon mercato dietro l'angolo,
la poesia di Pearson raggiunge in queste pagine una singolare densità
visionaria, che non significa affatto concentrazione lirica nel senso usuale
del termine:
city limits
sleep cycles frayed
nerves
versus metal fatigue arpeggiated wonders
body and
soul the celebrated
pleasures
of the mouth
["limiti
della città cicli di sonno
sfilacciati / nervi versus fatica mentale
meraviglie arpeggiate / corpo e anima i celebrati
/ piaceri della bocca", da Coulomb's Law, p. 148.]
Le associazioni
di termini eterogenei sono veicolate dalle corrispondenze di suono, prima
ancora che dal livello semanticamente connotato. In ogni caso, il gioco
dell'associazione analogica è spinto così all'estremo che
ciò che tiene insieme le unità elementari di ogni sequenza
non è tanto una continuità di tipo dialettico bensì
una forza di tipo inconscio, transpersonale e translinguistico, la quale
agisce al di sotto e al di là di ogni volontà di costruzione
o di coerenza formale. Che si tratti di una forza fisica o psichica, o
forse di entrambe, non conta molto: nelle derive di linguaggio che essa
pone in atto, miracolosa appare persino la semplice aggregazione di due
unità minimali, due puri zeri o nulla, la cui somma approda al due
("strange to have come to two / when one had come to none").
Tutto ciò
che rimane, al di là o intorno alle macerie di un linguaggio ridotto
a quel punto di non ritorno che appare essere il "matter's terminale" per
Pearson, sono scampoli di visione su zone dell'essere inaccessibili
allo sguardo o alla logica comuni. Infiltrazioni di una grazia quasi magicamente
rubata al silenzio che attanaglia la parola, scampoli di un paradiso o
una luce "apocryphal" sui quali puntare l'ultima maledetta posta della
scrittura, l'antico "truly primitive / weight of beauty at
anchor" tralucono in brevi effimere folgorazioni attraverso le maglie sfilacciate
delle parole. In Catenary Odes è l'utopia whitmaniana del "body
electric" contrapposto alla "western mind in a jar" che determina singolari
aperture di campo, capaci di far collimare l'universo di disperazione e
nulla che è la scrittura con le liberazioni momentanee indotte dai
non infrequenti "provisional moments of grace". Anche in questa sede ritorna
l'idea, con la quale si apriva il libro, di obbedienza all'occasione come
unica reale motivazione per lo scrivere poesia ("each thing equal to the
shape of its moment / dressing edenic meat"), dal momento che i processi
formali sfuggono al controllo dell'intenzionalità cosciente e che
non è possibile veramente indirizzare qualcosa dalla quale non si
finisce di essere indirizzati:
the continuity
there is something
had been
shattered a world
we call
it but not the details
grammar
suffers the fatality
of the
given the forms
we are
lost in them known by
["la continuità
c'è qualcosa / che è stato frammentato un mondo / lo
chiamiamo ma non i dettagli // la grammatica
subisce la fatalità / del dato le forme / siamo
persi in loro da loro conosciuti", da Catenary
Odes, p. 259.]
Perdersi
senza fine nelle forme: è forse questo per Pearson il significato
più elementare delle evidenze che costituiscono l'inspiegabile modo
di essere della poesia.