Vico Acitillo 124
Poetry Wave

Recensioni e note critiche

Gianni D'Elia: Sulla rive dell'epoca
di Antonio Spagnuolo


Gianni D’Elia, Sulla riva dell’epoca, Ed. Einaudi, pagg.132, L.18.000

Attento alle vicissitudini della lingua, intesa come esperienza di un dettato entro il quale

si possa verificare l’implosione della metafora, al di fuori di ogni costrizione temporale,
preciso nel segnare una scansione metrica in terzine, Gianni D’Elia ci propone una specie
di diario in memoria della sorella Lina, scomparsa nel 1996  a soli trentasei anni.

“O è questa la riva dell’epoca vera,

in questa morte medica alla cieca,
in questa lunga malattia covata nera

e all’improvviso rivelata e bieca,

lì a tagliare la strada in impotenza,
con tanta distanza tra sentenza HIV virale

e esecuzione di condanna mortale,

mentre l’anima col corpo si danna la vita
per Sindrome da Immunodeficienza Acquisita

e si dispera che il danno fu lo scambio

in contagio di sangue o di seme navigando
da siringa il flagello o da sesso fatto insieme

imprudenti portando su di sé  il proprio scanno,

seggio isolato e grado da appestati,
banco sommerso su cui frange il mare

dal ventre dell’onda alla cresta del male,

riemersa sabbia fino a soffocare tempestando
ogni vivo che vi si venga a rovesciare?…”     (pag.13)

In equilibrio fra le leggi terrene ed il destino che spinge i sensi a voltare angolo anche quando

non lo si vorrebbe, D’Elia disegna sulla pagina una proiezione quasi eterea o musicale, prolungatasi
nel ritmo, forse a costruire un attimo infinito nella corposità del finito. Ciò che riusiamo a salvare,
la parola-corpo, la pelle-arsura, il distacco-reazione, il dolore-elegia, con soffuso lirismo, propone
gli elementi di tentazione a riscrivere gli approcci della vita, che saranno poi il confronto non forzato,
non patologico della nostra stessa storia, al di fuori del foglio tratteggiato.

“O è il mondo che ronza per le strade

la tua pastura? Il mondo, lì, quando accade,
mentre t’invade in forma di natura

le nari e i padiglioni della sua cura

scintillante di spume o di lamiere,
di tubi schioccanti da un’impalcatura,

di calcinacci rovesciati da carriole in frane

lungo condotti di plastiche arancioni,
o nel rombato immoto dei motori in schiere

borbottanti ai semafori nei fumi, acri di benzene

quando il puzzle di fari e fanalini
si riscompone ossesso in mille rivi

e gli incroci inchiodati a braccia aperte

ripalpati da migliaia di cerchioni
rifriggono alla pioggia nei copertoni,

finché non doppia il mare il rombo della statale

e la burrasca rovescia sul litorale
i frantumi che il mondo si ostina a buttare?…

Ma tu sai il gorgoglio tra le scogliere,

quel rigogolo da incanto del profondo, a riva
col brusio dei passanti nelle sere

quel suono di perdono che viene…”    (pag. 31)

Grazie al linguaggio poetico, qui usato in tutta la sua magmatica plasticità del verso,

il mondo intero riesce ad apparirci in una interpretazione sublimata, quasi a confondere il senso
di denuncia, la sibilante consapevolezza di angoscia, con una oralità trasformata
in catartica recitazione.
Il ritmo, opera sacra dell’artigiano, trasmette le sue particolari tessiture con un arcobaleno
molto spesso e suggestivo.

Indice recensioni e note critiche
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Immagine: Antonio Belém, Phorbéa, Napoli 1997


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