Le
stazioni poetiche che Giacomo Bergamini, accanto a laconiche notizie biografiche
e
di collaborazione a varie riviste letterarie, fa conoscere di sé
sono le seguenti:
Hiatus
(Anterem, 1980), Finzione fàtica (Myself print, 1983),
Il martello di Faust (Tam tam, 1983),
Il
silenzio e il suo doppio (Tam tam, 1986), La malattia delle
parole (Anterem, 1997).
Si
apprende rapidamente il suo versatile interesse per il teatro, la poesia
sonora e in particolare
per
la poesia verbo-visiva espressa nei testi Transfert (Campanotto,
1980) e la citata Finzione fàtica.
Un
percorso tanto intenso e coerente pone l'autore nella zona limite, ambito
di scelta idiopermissiva
ove
l'osmosi tra figura e parola può attingere le preziosità
del sublime e il senso può percolare
nelle
penombre e pieghe sinestesiche del silenzio. E il tema del silenzio
viene giocato in una
delle
prove logo-iconiche Il silenzio e il suo doppio
prefata acutamente
da Adriano Spatola, ove
la
monotonia scabra iterativa dei segni, con lenta destabilizzazione esiziale
della forma in una
inextricabilis
via frecciata ossessiva, increspa anche l'eco virtuale del silenzio
che scombina
la
riflessione muta del doppio a simbolizzare una espressività
sospesa e depauperata
di
cenni ed ammicchi.
Ne
affiora l'umano più nobile e poetico che intende soccorrere
il proprio vivere e interrogare
gli
intimi generativi silenzi, in un
intorno
ormai soffocato da rumore fisico e informativo paradossale che svilisce
la creatività
e
l'armonia di mondi d'esperienza.
Nello
stesso registro di ricerca si colloca anche la prova un po' precedente
Finzione fàtica costituita
da
visioni di geometrie e simboli natanti nello spazio, di cose assurde o
impossibili, di paleoresti
geologici
asettici, una sorta di navigazione inesprimibile di un presunto IO, separato
imperfetto
dislocato
per mutamento infelice insistito nella vocale maiuscola I, sulla quale
il prefatore Gio Ferri
si
affila in incertezze ecdotiche «volontà del segno di sottintendere
astutamente un senso impossibile [...]
il
segno che non ha alcunché da affermare [...] rivela l'inconsistenza
significativa della propria struttura,
la
sua inutilità, il silenzio discorsivo».
Lo
sguardo in chiave psicoanalitica dell'osservatore insistente per altro
dialogo può fare balenare
anche
l'idea della costruzione letteraria di una rappresentazione d'un sogno
nato solo per essere
sognato
ed eludente il racconto. Nell' autore l'inclinazione al sincretismo scientifico
letterario continua
e,
tralasciando la staticità visivografica, realizza nello stesso
anno una plaquette in versi liberi
Il
martello di Faust (Tam tam, 1983), la quale a sua volta rapidamente
si riallaccerà all'opera più
impegnativa
e un po' precedente Hiatus (Anterem, 1980). Spatola nell'introduzione
ribadisce
la
propensione per gli oggetti d'antiquariato, emblematizzati dallo stesso
titolo, per «forme cerimoniali
del
linguaggio» e rileva, in accordo con Gio Ferri, «la disperazione
del poeta» per «non saper liberare
assolutamente
il segno della parola dalle sue memorie genetiche»
Lontani
dal cosmo iconico-simbolico si viene irretiti nell'atmosfera linguistico-espressiva
che
costituirà
l'empito processuale fondante dell'attività letteraria dell'autore.
Si tenterà di evidenziare
alcuni
elementi suggestivi della dimensione poetica composita nella quale spazia
Bergamini
mediante
una stratificata correlazione emotiva di sensazioni e riflessioni, tipiche
di una elaborazione critico-esperienziale finalizzata alla sperimentazione
di accostamenti, divaricazioni, inversioni (iperbato),
omissioni
(ellissi), condensazioni e adattamenti di stati estetici di vita, di convenzioni
e di azioni.
Sono
così recuperabili: a) un nominalismo anatomo-scientifico
(corna) ombelico, scabbia, zoppo,
ippocampo,
pupille, sembiante, scompenSo, sintomi, omero, lingua, ostio, bocca
e a topa, protesiale);
b)
una sintassi verbale franta e sconnessa, tarantolata (una versificazione
liberata con qualche raro
endecasillabo
nn. 2, 5, 15, ma in prevalenza assai riduttiva con frequenti versi
monoverbali
-
in 3 intacca, edifica; in 5 citando, uscendo; in 7 rinsalda,
interrogando; in 8 aggrotta; in 10 interferendo,
risalga,
agire; in li deificato; in 12 protetti, venendo; in 13
lavandos4 in 14 disturbo, recita, indelicato;
in
15 smiagola; in 16 chiede; in 18 animato> dilatando; in
19 tradotta); c) una elevata gerundività
con
funzione temporale, causale, modale, isolata (scovando, interrogando,
esplicitando, escludendo,
interferendo,
in tagliando, dilatando) o plurima (citando risalendo; conferendo,
citando, uscendo; tormentando, tormentando; venendo dilatando; svagando
trasfugando lavandosi; essendo mostrando) talora in forma
assoluta
come verso monoverbale (in 5 citando uscendo; in 7 interrogando;
in 8 pur esplicitando;
in
9 escludendo un; in 10 interferendo; in 12 venendo; in
13 lavandosi; in 18 dilatando); d) presenza discreta
di
enjambement (in 1 al 2°, 5° e 7° verso; in 3°
al 4° verso; in 9 al 1°, 3°, 5° verso; in 12 al 7°
verso;
in
13 al 2°, 3° e 6° verso; in 14 al 1° e 7° verso; in
15 al 6° verso; in 17 al 2° 3° verso; in 18° 4° e 8°
verso;
in
19 al 3° e 6° verso); e) la forte insistenza di parole con
doppia consonante, in forma più o meno
assiepata
sovente con rimandi accostati o a distanza (vedi 1, 2, 3, 4, 7; in
8 al 10° verso; 11, 12, 14, 15, 17,
18,
19, 20), viene a creare un fitto reticolo allitterativo assonante e dissonante
di particolare vitalità
ed
eccentricità, fluttuato da accensioni temporali dalle altre interferenze
figurali retoriche segnalate,
in
un effetto globale di accelerazione singolare linguistico-espressiva.
Opera
più corposa di poesia lineare prefata da Gio Ferri è Hiatus
che s'incentra nella citazione d'esergo
di
E. Zamjatin «il carattere formale di una letteratura viva è
simile al suo carattere intimo: nega la verità,
nega
ciò che ognuno conosce e ciò che si è conosciuto fino
a questo momento» anche se svolgendosi
si
palesa più che negazione una messa in discussione ironicoautoironica
sottilmente estetica
della
realtà con «spaesamenti periodici di dialogismo metonimico
fortemente astratto pur nel polisenso
di
un continuo narrativo». Qui l'autore, divergendo dagli stereotipi
tradizionali e con insistenza scettica
-
talora cinica - sull'angosciosa realtà sociale e sugli aspetti esaltati
erotico affettivi, costruisce ed
esibisce
il mosaico perplesso linguistico-formale già rilevato a commento
di Il martello di Faust.
In
una semiosfera tattilizzante irradiata giocano ammicchi, reticenze, sospensioni,
ambiguità verbali,
neologismi,
acrobazie foniche, tecnicismi morfosintattici, figure retoriche azzardate
implodenti
una
esperienza sperimentale al limite d'un possibile controllo e di una
nebulizzazione di senso.
La
scelta estremistica dell'autore si muove sullo hiatus, sull'orlo dell’abisso,
sull'orizzonte di buco nero
inferendo
una vertigine di suggestioni ed allusioni permeate di silenzio esoterico.
Il testo alterna
composizioni
sottili per folta presenza di versi monoverbali a composizioni compatte
(con accenni
a
pangramma acrostico, in VIII, IX) con frequenti enjambement e una pletora
di parole con raddoppi
consonantici
(particolarmente evidenti in X, XI, XIII, XVI, XVII, XIX, XX); aspetti
anaforici intervallati (VIII, IX); qualche rima interna, assolutamente
schivata la rima finale. Il laboratorio ossessivo si arricchisce
di
testi parodianti a combinazione speculare totale perfetta (IX) o rimaneggiata
alternata, incompleta
e
scombinata (XXIV, XXV, A Luisa); e di qualche gioco anagrammatico
sovraccarico di ironia (Acrostico di Padint).
L'opera
più recente La malattia delle parole (Anterem, 1997) segna
un certo divario rispetto
alle
esplorazioni elucubranti precedenti e si propone come fase di maturità
più adagiata. L'impegno altro
si
enuncia già nel titolo, ove lo stato patologico della lingua, nella
sua più articolata costellazione di rovine,
invoca
l'urgenza terapeutica per una restitutio ad integrum rinobilitante.
E l'autore pesantemente coinvolto
nel
conflitto pone persino la propria nominazione «il poeta bussa da
dentro / il suo nome» pag. 32 in verso
settenario
(in Volatile segnico pag. 16), con gesto non di presunzione ma di
tributo salvifico della poesia,
in
doveroso rispetto anzitutto della paternità genetica e nel contempo
di un padre esimio omonimo di poesia
(Giacomo
Leopardi) suffragato anche dalla parte iniziale del cognome (berg-amini)
che indica elevazione,
spinta
ad emergere. In questo libro si ritrovano, sia pure liberate da aspetti
manieristici ma sempre
in
chiave petrosa, le varie modalità espressive indicate nelle opere
precedenti ed offerte in maggior
diluizione
formale e discorsiva con ammicchi propiziatori e lenitivi del senso. Persiste
in gran parte il verso volutamente breve con amputazione frequente di endecasillabi
in enjambement con esclusione della rima
finale
e privilegio di consonanze rimate interne. Di un certo riscontro anche
anafore soprattutto intervallate
a
forte percussione (pag. 43). Più ricercata la scelta aggettivale
con effetti (anche 05-simorici)
assai
suggestivi (una eco claudicante; un soffio zumato / sul fantasma pag.
13; uno squarcio covato pag. 14;
giardini
inquieti pag. 18; slancio morente pag. 18; un capriccio placcato
pag. 21; quel segno scaturito pag. 26;
racconto
piovoso pag. 31; sorriso cesti-nato pag. 32; l’ombra pensosa
/ dell’eco pag. 37); qualche gioco anagrammatico (le ante e le tane
pag. 44). Ma vanno richiamati elementi di rinnovamento: 1)
una
tramatura più articolata e significante per ricorrenza di nessi
fonici vocalici consonantici e sillabici;
2)
inserti gerundivi discreti e più amalgamati; 3) nominalismi parasintetici
con prefisso privativo 5- a forte
realismo
espressivo (svaluta, sbattezzato pag. 15; scodificando pag.
20; sregolata pag. 21; slabbrate pag. 27; scoronare, scomporsi,
schiudersi, spiumare pag. 31; screma, scovando pag. 32; slaccio
e smanto pagg. 40-41; spettinato, sfilacciato pag. 45; e dis-
(disincanto, disvelo pag. 16; distrarre pag. 18; dispiegato
pag. 35;
disinnestare
pag. 37; dissodate pag. 40; disattesa pagg. 40-41-42);
altri verbi parasintetici rari o di prima
coniazione;
una azione accelerativa dell'esposizione (infossare, intollera,
intomba pag. 16;
s’invernino
e
insepolti pag. 17; invilire, illacrimi pag. 18; dolorare
pag. 26; fiumare pagg. 31 e 38; letiziare pag. 41);
4)
variati esempi di deissi pronominale personale («instabili labbra
/ di lei» pag. 27; e quel «ti bacio [...]
mielato
a veleno da un dio io / giacomo bergamini [...] disvelo questo gesto mimato»
pag. 16;
«le
dita su di lei» pag. 26); pronominale e aggettivale possessiva
(la serie di SUO, Sua, sue e
miei
azzeramenti e mia penna, in Evento minimo pagg.
35-38;
la serie del suo e suoi in Dei luoghi del sole
pagg.
11-12); pronominale dimostrativa di questo
a questi, quello,
quella (in Variantidi pagg. 40-42,
ma
soprattutto a percussione anaforica anche intervallata in Specchi e
riti pagg. 5, 29)
una
prova di varianti (Variantidi pagg. 40-42) assai più elaborata,
in intensiva stratifi
cazione
di registri con prestiti, lussazioni nominali, neologismi e costruzioni
sintagmatiche di alta suggestione.
Il
raccordo delle varie esperienze attraversate dall'autore ci costringe a
"salti" e a scorciatoie spigolose
in
tempi e diversità culturali con vasti aggiornamenti indotti
dal predominio di scienza e tecnica e
dal
mutato atteggiamento storico-politico e sociale, che sollecita a stabilire
nuove forme relazionali e
di
confronto interpersonali e collettive tale da favorire spinte eclettiche
e desideri di emancipazione.
Per
il nostro autore, fortemente implicato in problematiche eccentriche
e di decostruzione, bene
si
addicono per i riflessi personali alcuni passi del sonetto petrarchesco
CXCV «Di dì in dì vo cangiando il viso
e
il pelo ... et ch 'i' non odi et ami / l'alta piaga amorosa che mal celo.
/ Non spero del mio affanno aver
mai
posa, / in fin ch'i' mi disosso et snervo et spolpo» che evidenziano
il rovello psicofisico del soggetto
nella
complessità dell'esserci. Il vissuto estetico esperienziale, non
quantificabile, si può esprimere
ipoteticamente
ma in modo intraducibile tramite le vie dell'ineffabile, del poetico, del
silenzio.
Di
fronte alla relatività relazionale fra mondo lingua e idee si ripropone
la dialettica reale e ideale,
fra
l'esistere pensabile e quello impensabile, la tensione a configurare
ciò che per natura è invisibile,
un
nuovo porsi estetico del soggetto e del linguaggio letterario, di fronte
all'inespresso, il quale si darà
vita
nel silenzio, nella epoché, nell'attesa, nella reticenza dilatando
così per il linguaggio la potenzialità
del
desiderio del dire esaustivo. Giacomo Bergamini, cultore eroico d'una poesia
biologica della fantasmagoria lessicale e concettuale, patito della
centralità dell'uomo e delle sue incombenti problematiche, incarna
in
fondo la conflittualità dell’intellettuale riattizzata dal continuo
declino d'orizzonti, dalla inconciliabilità
fra
realtà eidetica e concretezza empirica, dalla fragilità babelica
verbale, ben conscio che, come sostiene
P.
Pepe, «l'impossibile della realtà è il corrispettivo
dell'invisibile della fantasia, del nulla della riflessione,
del
grado zero dell'invenzione».