Vico Acitillo 124
Poetry Wave

Recensioni e note critiche

Daniele Baldinotti: Segni dal tempo
di Antonio Spagnuolo


Daniele Baldinotti, Segni dal tempo, ed. Il ponte vecchio, 2000, pagg. 48, L. 10.000

Incontrare i giovani poeti è, per me, sempre motivo di panico. Molte sono le ragioni
che ormai mi pongono, da decenni, in posizione di difesa, e prima fra tutte la quasi certezza
che l’interlocutore non voglia confrontarsi sul piano della discussione e della lettura dei testi,
perché immerso nella argentea sensazione di essere il nuovo vate pronto a cercare soltanto consensi.
Perché non accettare il dibattito? Perché non leggere insieme alcuni versi e crescere ambedue
nella ricerca del più attento?
Spero che Baldinotti non me ne voglia per questo incipit così arido, ma l’occasione del suo volumetto
“Segni dal tempo” mi ha confortato nella speranza che finalmente si possa colloquiare con serenità
intorno alla poesia scritta e da scrivere.
“Eravamo l’infinito dove
lo sguardo non può arrivare,
la gioia della vita nascosta
dalle tenebre del giorno.

Eravamo le cime più alte,
nessuno ci poteva capire,
ora siamo solo le parti di un
mosaico senza più valore.”  (pag. 19)
Il coraggio di dire, senza infingimenti , il pessimismo che alimenta il subconscio ed il preconscio
della quotidianità non accetta rischi di sorta e pone il lettore in bilico fra un Dio sconosciuto e la chiusura fortunatamente non ermetica degli spiragli malleabili…Di qui la cautela ed il rispetto dell’insignificante
“Ho attaccato il tempo,
come il cane la preda,
mentre sbocciavano rose nei
giardini bruciati dal vento gelido,
portato da chi non comprese.

Io,
piccolo giunco,
prato calpestato,
tela che nessuno ha mai
osato dipingere:” (pag. 21)
E poiché l’umano è sempre l’umano, in una ripetizione orgogliosa del dispetto e dell’orgoglio
di un tramonto che ritorna,  la melodia  ed il ritmo potrebbero gonfiar vela verso l’orizzonte
per offrire al mendicante cieco il suono di una chitarra indifferente ai costumi ed al paesaggio.
“I versi di Baldinotti – scrive Davide Argnani nella prefazione – si slegano con tono pacato,
senza esibizionismi, piano, razionali, con tutta una loro particolare preferenza esistenziale
del pessimismo, mascherato spesso dal ghigno del nichilismo.”
“Ho levigato il tempo,
lì, dove lasciai l’anima
inghiottendo i resti
di un amore
che era solo  mio”  (pag. 28)
Il riscatto di una rabbia contenuta riesce a passare attraverso alcuni versi, ove le scelte diventano
involontariamente o sapientemente passaggi fuori del tempo , ma entro il tempo stesso della vita,
innanzi a quelle cronologie della mente,  che spesso offrono soltanto contorsioni e invisibili ripensamenti.
Qui la conquista affrontata dall’autore per rendersi libero nella espressione di una scrittura tutta propria.


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Immagine: Antonio Belém, Phorbéa, Napoli 1997


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