Se
i “Meridiani” di Mondadori iniziarono trent’anni fa con Ungaretti che è il più
grande poeta del primo novecento, oggi ospitano Zanzotto che Gianfranco
contini ha definito il migliore dei poeti italiani nato in questo secolo.
Giusto allora che Le poesie e le prose scelte attraversino il millennio
con le 1802 pagine che innalzano l’autore tra verso, narrazione e saggio.
Curato da Stefano Del Bianco e da Gian Maria Villalta, il volume ci incontra
dall’introduzione di Fernando Bandini che vuole l’amico Andrea testimone
del dramma poetico e ci avvicina all’interpretazione con Stefano Agosti
che vede lo scrittore come ragno che crea e s’avviluppa nella tela. Il “Meridiano”,
che ripercorre il cammino dal 1951 ad oggi, disegna un messaggio sofferto
e potente. Da Dietro il paesaggio a Pasque, da Idioma a Meteo agli inediti,
il viaggio lirico e visionario si compie in stile alto tra le forze di ironia
e dramma. Il dramma è dell’uomo il cui io è esploso in schegge
di linguaggio
che si fanno musica della parola entro il Canone. L’ironia è del
poeta, che scende
nel magma biologico, nella palude inconscia, nell’archetipo humus albale,
ove le voci si stanno ancora originando e serve ogni arte d’ascolto per coglierle
e loro dar luce. Non c’è centro nella sostanza zanzottiana: una pulsionalità
vagante si cifra nell’inconsolabile verbo. Non c’è realtà
gratificante e per questo
la scrittura parla in più lingue e dialetti ed esibisce le cicatrici. Nell’universo
di Zanzotto tutto è testo parlante e il poeta stesso è parlato
al punto che
la pagina diventa specchio di un’anima giocata tra lacerazioni e forte orchestrazione,
immersa in un mare di brusii, mormorii, borbottii, improvvise intuizioni,
visitazioni d’immagini e pensieri, terraformata coscienza, inabissamneti, graffi
del tessuto linguistico e suo estremo, inesauribile, impacifico, strappato
canto.
Andrea Zanzotto,
“Le poesie e le prose scelte”, Mondadori, pp.1.802, Lire 85.000