|
Vico
Acitillo 124
Poetry Wave Recensioni e note critiche André
Frénaud: Il silenzio di Genova
|
La città, confondendo Frénaud, lo aiuta a far nascere una delle composizioni più belle di questo poeta, già autore generoso nei confronti dei paesi da lui visitati durante le lunghe peregrinazioni che hanno caratterizzato la sua vita. Nonostante la presenza di molte poesie inedite, la riproposta di una nuova versione de Le silence de Genova ha una ragione, per così dire, non soltanto di genere affettivo; collocandosi vicino a quella ormai classica di Giorgio Caproni, consente qualche inedita apertura verso la lingua di partenza e quella di arrivo. Lasciare spazio a una certa vena anarchica, gauchiste, come Montale nel 1953 già notò sul "Corriere della Sera", può servire oggi a rendere più leggibile questa poesia sempre in bilico fra quanto le riesce di descrivere e quanto si lascia sfuggire, senza per questo dolersene. Nella trama del poema, in fondo, scorgiamo le giornate di un avventuriero ora immerso nell'oscurità, ora immerso nella luce bianca dei riflessi della lavagna, ma comunque disperso nei passaggi inaccessibili della città portuale, incapace d'introdursi nelle pietre accostate lungo il cammino. Tra queste solide pietre cittadine e i lontani paesini rivieraschi si formano le rapide visioni descritte dalla lingua "aggressiva" di Frénaud, il suo fiammeggiare nel fiammeggiante contenuto del giorno ligure.
e
ripetuto in queste pietre?
Al
mattino l'uomo si risvegliava per rispondere
alla
bellezza rabbiosa della notte.
S'incamminava
per strade, saliva scalinate,
elevava
torri, si delineava per un istante.
Si
congedava da porte di pietra,
scendeva
per rampe, si fermava
al
mercato del pesce per consolarsi
e
per ingannare il fuoco notturno.
Un
giorno chiudeva le arcate, poi le riapriva
scoprendo
altri ingressi o perdendosi nel bagliore.
Da
un'inferriata intravvedeva le insegne
delle
parti avverse. La piazza semichiusa
dai
dislivelli di terra. Se gli eventi cambiano,
inventano
comunque lo stesso percorso.
Nella
cordialità vibrava la fiducia
come
il colore del peperone.
Il
negro americano, il bel tipo
catturato
in porto, molto tempo fa,
dal
boato dell'onda alluvionale,
ancora
si aggira per gli stretti carruggi,
gli
splendidi seni delle ragazze poliglotte
che
conoscono la nostra lingua,
la
gente che inganna la vita nei quartieri bassi,
chi
sfida e chi tace ostinato,
i
palazzi dai portali chiusi, i pennoni,
le
gru stagliate che si vedono salendo,
e
più in alto il mare.
Quale
oscuro cambiamento del sole
quando
te ne andavi per queste vie
insicuro
e fiducioso,
una
snella ragazza al braccio, l'ardore sorpreso,
la
provocante allegria per tranquillo appoggio?
Quale
tuo resto t'incitava ad afferrare
nella
città sconosciuta, appena presentita
nell'assordante
effusione,
un
sogno che mai avevi manifestato qui?
Quale
testimonianza ti suggerisce questo labirinto ospitale?
Ma
chi resiste in te all'eco sfuggente
che
prolunga un'impetuosa parola, rinviata
da
tutti gli stridori del percorso?
Nei
lenzuoli di sudore delle notti sognanti,
bianchi
paraventi oscurati dalla fine del giorno,
saprai
scoprire le direzioni conosciute?
Quali
bagliori fissano i vetri sotto i cornicioni?
Chi
s'avvicina e, già prossimo,
si
allontana per sempre?
Era
qui, ma dove? Era già tardi.
La
festa dove sarai, forse.
Cuore
incerto, cuore insoddisfatto,
quale
debole energia si raccoglie
e
per quale avvenimento?
Avanzavi
per negare o per mantenere
complice
l'avversario, il prigioniero rabbioso?
Aggiungendo
i tuoi passi ai passaggi di pietra,
quando
ne rivelavi l'andatura, perché
ti
riconoscevi?
Consegnato
all'oscurità da un'illusione velata,
ti
risvegli al segreto soltanto camminando,
commosso,
nascosto ancora nell'ignoto che indugia,
tendi
all'azione sotterranea e l'ignori,
somigliando
a un cavallo impazzito.
Sarebbe
soltanto svenimento l'inaccessibile,
il
piacere inspirato e l'unità sorgiva,
come
unico scarto il gioire di gioia?
Saprai
presentire ancora il sogno inscritto
e
ripetuto in queste pietre?
All'uscita
dalla notte
il
treno spalancava esiti celesti,
fra
le gallerie ti svegliavano villaggi tranquilli,
dalla
cupa superficie affiorava lo sfolgorio del mare.
E
la stazione, la partenza trattenuta nei fumi,
la
lunga passeggiata, le scalinate, di vicolo in vicolo
un
passo dopo l'altro, i segreti del cambiavalute
da
sempre indecifrabili,
i
volti, l'indistinto oriente,
sulle
mura il lavatoio sfondato,
l'altare
nascosto dai drappi di porpora.
Sei
giunto qui diversamente che in sogno?
Sei
tu che insisti sui selciati
in
questo mattino deserto,
in
questo mattino
dove
tutto ti sembra eternamente vuoto?
Vano
l'andare e venire del sole benevolo.
Ammicca,
scuote la pioggia,
sulla
strada rumorosa costruisce l'ordine e l'ombra.
Oggi
la folla avanza nella città spoglia.
Malignamente
nessun vino nero vi riluce
per
infiammare la tua pace deserta.
Oggi
chi manca non pesa più. Nella solida pietra San Giorgio
nasconde
il fuoco del drago.
Se
non hai più nemici, egli ha vinto.
Senza
speranza né desiderio il tuo dolore si svuota.
Cammini
infaticabile e sconsolato
lungo
la linea dei portici,
dietro
la soglia di uno sguardo proibito
l'infinita
salita del dolore e del desiderio,
il
suo ripetersi, si è esaurito;
un
grumo di lacrime come muti cristalli
ha
fermato lo sciamare delle grida.
Uscirà
da te questa forza
che
immobilizza i giorni violenti?
Bambini
giocano. Perché aggirarsi per di qua
se
non puoi afferrarti né confonderti?
Se
oggi tutto è recintato, va' via.
Va'
nell'assolata campagna dove costruiscono
ad
ogni passo case senza passato.
Va'
ad ascoltare la sirena della nave
su
cui eri imbarcato -
Mediatrice
sempre incerta.
Nella
scia perennemente estenuata
dalla
nostalgia, invano speri
l'immagine
dolente, neppure oggi
l'assenza
le ridà potere.
Nient'altro
che movimenti marini, oggi,
o
questi esili pini che s'incendiano. Guardi,
ripetendo
lentamente il nulla, cercando
un
prestigio che si è dissolto,
come
lo spruzzo agitato dell'onda
o
il rosseggiare nella pozza.
Resterà
il fervore tradizionale del mare,
simile
a te simile al piccolo cane
ghiottone
che ingrassa e, tenero, lecca
e
si agita.
Così
tu stavi assonnato in camera.
Che
importa se non c'è erba nei tuoi sogni.
Il
fiammeggiare soffocato nel torpore acre.
Le
minacce udite dalle inferriate.
Gatti
sbucano veloci dalla melma.
La
mano tagliata, la neve apparsa sulla cenere.
Chi
muore, se l'orologio si copre di sangue?
Dimenticata,
una vela scomparsa
nel
violetto scintillante.
-
Certi pomeriggi
il
baccano del flusso stradale
sotto
i raggi del sole o nella penombra,
sul
letto solitario, talvolta ti appagava -
Gli
approdi della notte, che siano più propizi?
Nella
moltitudine di topi dagli occhi lustri
di
vico dei Tre Re,
il
campanile dagli otto profili sorprende
il
mucchio di rovine.
Di
nuovo la promessa, l'appello impaziente,
tutto
s'agita, tutto vuole turbarti: la breve schiarita
al
passaggio incerto della luna, le fresche folate
del
gran soffio d'altri tempi, i contadini dritti
che
si muovono sulle porte,
l'antica
voce aspra,
i
piani privi d'accesso che riecheggiano,
i
rampini nel marmo variegato,
la
femmina con l'ernia e la gamba di legno -
ti
cercano nel deserto d'ombre: le madri,
tutto
ritorna e proviene da qui, ti chiama, si schiude in te
e
s'unisce in un movimento solenne, fino alle nuvole...
Elevata
nella notte si socchiuderebbe
la
città gremita e dal ventre disponibile?
No,
il tuo cammino interminabile
mai
t'introdurrà in queste pietre,
né
i bagliori venuti da qui,
non
più d'un istante.
La
follia brucia i nodi, arriva
alla
zona perduta, all'universale
scorrere
che gli artefici
esalarono
indecisi;
sui
loro passi, che ti resta ormai?
Il
bene comune della sfortuna e d'una ricerca
assurda.
L'altro è ancora in te,
ovunque
disperso,
può
scorgerti in figure straniere.
Fratelli
che vivete qui, che sognate
un'assenza
poco chiara e ingannatrice,
se
non esiste conoscenza né risoluzione.
Questa
lenta violenza, il privilegio possibile
di
riconoscersi allo specchio dello straniero...
Avevo
creduto di riscoprire la mia terra sventurata,
cogliermi
tutto nella schiarita,
venir
meno e svanire, parlando.
Era
l'alba o la sera già si diffonde?
Che
cosa speriamo, che cosa mai cerchiamo?
Tutto
si riordina muovendosi nello spazio accogliente,
tutto
si ravviva e si tiene, si disperde.
Sviati
dalla passione invisibile che passa
nei
diversi flussi del loro sognare,
si
sono dimessi, sottraendosi alla pochezza dei giorni, per conservare
il
fuoco sicuro, per confermare i segni
che
hanno una risposta -
vivaci
e incuranti,
si
perdono nello splendore estivo,
nei
salotti affollati, vagano
sotto
pallidi lembi d'azzurro,
si
aggirano nelle feste delle case patrizie,
di
antica origine?
La
gentaglia, ad un cenno, si allontana,
la
giornata è conclusa: il dolore trattenuto.
Il
mare, perché volevano ritrovare il mare,
origine
inalterabile vista dall'alto,
questa
donna potente dalle cosce pesanti
e
questi ragazzi che osservano l'azzurro?
S'arrampicavano,
generosità rumorosa, fino al paradiso
negli
orti del convento, tra i fichi,
fin
dove conduceva la funicolare,
verso
la morte, stagione dopo stagione?
Genova-Populonia-Paris, 14 agosto 1961-14 aprile 1962
Traduzione di Elio Grasso