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Vico
Acitillo 124
Poetry Wave Recensioni e note critiche Verso l’inizio.
Percorsi della ricerca poetica oltre il novecento
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Il volume
presentato dalle edizioni Anterem raccoglie testi che sono in vario modo
esemplari
delle varie poetiche espresse dai poeti che danno vita dal 1976 alla rivista
omonima
e si suddivide in due parti: un’antologia poetica ed un nucleo saggistico.
Difficile,
data la mole, iniziare un discorso recensivo senza sottolineare la presenza
di numerosi
autori, elencandoli in ordine alfabetico: Paolo Badini, Giacomo Bergamini,
Giorgio
Bonacini, Brandolino Brandolini d’Adda, Davide Campi, Mara Cini, Flavio
Ermini,
Marco Furia,
Vito Giuliana, Marica Larocchi, Madison Morrison, Rosa Pierno, Ranieri
Teti,
Siro Tommasoli,
Ida Travi, per i “testi poetici” e Stefano Agosti, Alberto Bertoni,
Vitaniello
Bonito, Marisa Bulgheroni, Peter Carravetta, Silvia Ferrari, Gabriele Frasca,
Ugo Fracassa,
Carlo Gentili, Giovanni Infelise, Antonio Pietropaoli, Cesare Ruffato,
Lucio Saviani,
Angelo Stella, Chiara Zamboni, Andrea Zanzotto per le varie
introduzioni
critiche.
C’era una
volta un’Italia che sognava versi o sonetti, e poeti come Pascoli, d’Annunzio,
Carducci
che riuscivano a proporli ad un popolo felice di bagnarsi nel mare nostrum,
o di recitare
al lume raccolto e silenzioso del crepuscolo pagine d’amore e di rime baciate.
Lo stesso
popolo si è improvvisamente trovato a recitare la fine di mani pulite,
le mille
disavventure
giudiziarie del cavaliere, i successi strappati con arguzie ai tribunali,
le assurde
e pur vere prescrizioni dei reati. Il cambiamento degli umori collettivi
non poteva
essere più spettacolare, giungendo sino al disinteresse clamoroso
della cosa
pubblica e di pari passo alla disattenzione più sincera per la poesia.
Quanti
sono oggi i lettori, parlanti la nostra lingua, che la sera, spegnendo
il riflesso
inebriante
e sciocco della televisione, prendono da uno scaffale Myricae, e vanno
a rileggersi
“quelle nel vespro tinnule campane”?
La poesia,
il poeta, non è capace di far denunce rabbiose, anche se fasulle,
non offre
risposte
alla quotidianità, non risolve i problemi della sopravvivenza, non
illumina
un pubblico
spesso e volentieri disinformato, poco interessato alla politica, alle
prese
con le
difficoltà economiche e, risolte qualche volta queste, con la noia
in agguato.
Andrea
Cortellessa stende per questa antologia un saggio dal titolo “Per una parola
liminare”,
proprio in contrasto con la recettività della massa, in vista della
non consapevolezza
della parola
poetica, bagnata dal silenzio, tra le ombre e le luci che delineano quel
non se che,
che in
fondo alimenta la vita umana.
Egli propone
un excursus esaustivo ripercorrendo le caratteristiche del linguaggio che
hanno
attraversato
gli strumenti di crescita letteraria, ma anche le diffidenze dei gruppi
precostituiti
e delle
amalgame consorziali.
Dal “gruppo
63” ai tumultuosi seminari del Club Turati, dai progetti dei premi Viareggio
e Montale,
alla “logica
della esclusione” dei Meridiani , dalle esperienze di “Altri termini”,
del citato
Franco
Cavallo ed alle quali parteciparono anche Franco Capasso, Felice Piemontese,
Antonio
Spagnuolo e Ciro Vitello, al “gruppo 93” , Cortellessa taglia una riflessione
originale
sugli avvenimenti
degli ultimi trent’anni, scrutati con lucidità, intelligenza e pazienza,
precisando
che molta poesia e molti poeti, che pur lavorano con impegno, rimangono
a lui
sconosciuti,
per la irraggiungibilità di gran parte della produzione editoriale.
Un lavoro
eseguito con una prospettiva che non capovolge il senso dei fatti, attraverso
una lettura
dei testi
che riesca a far degli autori i veri protagonisti della antologia.
Da par
suo Gio Ferri riscrive la presenza di “Anterem” nel suo breve saggio
“Per una
parola liminare”, segnalando le capacità di questo laboratorio,
che negli ultimi venticinque
anni ha
senza dubbio partecipato ad una linea costruttiva e non costituzionale.
Sempre
Gio Ferri, con meticolosa precisione, traccia per ogni autore delle “note
ai testi”,
che commentano
le sequenze, le associazioni, le declinazioni delle varie poesie, rosicchiando
pesso come
un tarlo sapiente fra verso e verso, per porre in risalto le varie traiettorie,
i diversi
ritmi, le più inebrianti rifrazioni.
Ricca di
esplosioni la premessa firmata da Edoardo Sanguineti “noi che riceviamo
la qualità
dei tempi”,
indicando in pochi righi la convinzione durevole che la poesia muta con
il mutar
dei tempi,
e indicando con sottile ironia, ma con forte persuasione che tutta la “modernità
che ancora
viviamo nella forma di una inesaurita e inesauribile anarchia” prende vita
proprio
dall’anarchia
stessa.
Flavio
Ermini apre il volume con un : “I poeti proposti in questa antologia ci
indicano
che si
tratta di ricominciare la storia della parola o piuttosto di strappare
la parola alla storia,
facendone
compiutamente luogo della sporgenza dell’essere sul pensiero che pretende
di contenerlo”.
La costruzione
nasce e regge contro le illusioni di una singolare anonimia, che potrebbe
controllare
la lingua e con essa differenziarsi dai codici della lingua materna, dove
la memoria
e i ritrovamenti vengono progettati individualmente, fra l’esistere ed
il pensare
o fra il
pensare e la fantasmagoria della parola.